Non lo sai cosa significa?
Devi provare per capirlo.
Entri in classe, poggi lo zaino sul banco e, visto che la campana non è ancora suonata, loro, i bulli, non hanno limiti. Danno il via alle loro prese in giro, i coretti, i soprannomi.
E ridono. Cazzo, ridono tutti quegli stronzi.
Tu non sai che fare, capisci che sei solo contro il gruppo.
Provare a contrastarli con la loro stessa arma?
Azzardi una presa in giro a tua volta.
Ti fai forza, afferri il coraggio a due mani e rispondi con una timida presa in giro. No, sei troppo titubante, il cuore che martella come un tamburo. Non sei stato affatto credibile.
Hai forse peggiorato le cose.
- Buuuuh, ma sentilo! – E giù tutti a ridere.
Cosa fai, cazzo? Cosa puoi fare?
Sei solo. Contro tutti.
Non puoi sapere cosa significa.
Devi provare per capirlo.
Il docente fa il suo ingresso in aula, i coretti si trasformano e diventano bisbigli.
Ma non cessano, no.
Lui non li sente, sta compilando il registro, ma tu li avverti nitidi, non smettono, sono presenti alle tue spalle.
Sono un mantello che ti avvolge, ti circonda.
Sono il sordo ansimare di animale rabbioso che studia la strategia d’attacco.
E’ il ticchettio della sveglia mentre cerchi di addormentarti. Finché non lo senti va tutto bene, ma nel momento in cui lo percepisci è finita. Non smetterai di distinguerlo da tutti gli altri rumori.
Tic tac. tic tac.
La tua rabbia aumenta. E con lei anche la frustrazione. Il senso di impotenza occupa ogni angolo e sfratta la speranza. L’illusione che domani la musica possa cambiare è solo un’illusione.
Non puoi sapere cosa significa.
Devi provare per capirlo.
Il professore ti chiama all’interrogazione.
Ridacchiano quelli lì, appostati come predatori, pronti a cibarsi di ogni tuo errore. Stanno apparecchiando una tavola dove le tue imprecisioni, i tuoi sbagli, i tuoi silenzi alle domande della verifica diventeranno cibo. Piatti succulenti dei quali nutrirsi avidamente e poi ruttare davanti alla tua faccia.
E l’ansia per l’interrogazione si somma all’angoscia di servire altre pietanze di quel lurido pasto a quegli schifosi commensali.
Non puoi sapere cosa significa.
Devi provare per capirlo.
E poi, quando non trovi alcuna via d’uscita, finalmente decidi di dirlo a qualcuno. Chiami un docente, gli racconti qualcosa. Non hai il tempo per fargi un resoconto minuzioso. Non hai avuto il tempo di scegliere il docente giusto, perché avevi fretta. Perché eri esasperato e non ce la facevi più. Perché talvolta ci vuol coraggio ad uscire dal bozzolo nel quale, per proteggerti, ti eri rintanato.
E lui ti ascolta, ma tu lo vedi che lo sguardo è perplesso.
Che non si è messo nei tuoi panni.
Che ti capisce razionalmente, ma non emotivamente.
Dov’è l’empatia?
Dov’è quell’abbraccio che aspettavi?
Volevi sentirti dire: - Non preoccuparti, ci penso io a proteggerti. Non hai più nulla da temere! –
E invece sminuisce il tuo dramma. Ti dice di lasciar perdere, che sono ragazzate e che se fai finta di nulla tutto si smonterà col tempo.
Cosa dici, cazzo.
Cosa dici?
Hai sbagliato mestiere, bello mio. Dovevi lavorare in un ufficio, mettere timbri per 8 ore al giorno, senza entrare in contatto con alcun essere umano.
Potrebbe essere tuo figlio, tuo nipote.
Gli diresti di far finta di nulla?
Testa di cazzo!
Non puoi sapere cosa significa.
Devi provare per comprenderlo.
Non fermarti ad un docente, perché a fronte di un menefreghista arido con un sasso di fiume al posto del cuore, ce ne sono cento il cui cuore è, invece, palpitante e pieno d’affetto per gli alunni.
Cercane un altro, parlane con qualcuno.
Non tornare dentro al tuo bozzolo pensando che non ci sia una via d’uscita.
Troverai chi ti protegge e combatte con te.
Chi afferra per i bavero quegli stronzetti e conosce le strategie per farli tacere.
Perché il rimedio c’è sempre.
Ed è collocato dalla parte opposta del silenzio.