Il caso di Francesca Barracciu me lo ricordo bene. Ricordo anche una lettera aperta in cui si chiedeva all’allora europarlamentare un passo indietro nonostante fosse uscita vittoriosa dalle primarie. Nella lettera si chiedeva un segnale per azzerare tutto, sedersi al tavolo e ricominciare. L’obiettivo, si scriveva nella lettera «è di avere una squadra di Governo nuova, esperta, capace, non compromessa e riconosciuta come di alto valore anche sul piano etico. Alla guida della quale non può che essere candidato chi questi requisti non solo li possiede, ma soprattutto gli sono riconosciuti dal popolo elettore. (...) Pensiamo, anche se ciò provoca in noi un profondo disagio personale, che vada tracciata una linea netta tra le vicende che hanno screditato il Parlamento dei sardi e il futuro dell’istituzione autonomistica». Anche questa bella lettera contribuì a bloccare la candidatura della Barracciu e spianare la strada a Francesco Pigliaru che poi avrebbe vinto le elezioni. Ritengo fu una cosa eticamente valida nonostante la Barracciu – lo ricordo ancora – è tuttora solo indagata, accusata di peculato per uso improprio per i fondi destinati all’attività dei gruppi consiliari della Regione Sardegna. Va tutto bene allora? Certo. Benissimo. Peccato che uno dei firmatari di questa lettera pubblicata dai quotidiani nel dicembre 2013 fosse il senatore di Rifondazione Luciano Uras, oggi indagato per lo stesso reato e anche lui dovrà giustificare la spesa di 70 mila euro. Perché nessuno ricorda questo passaggio? L’etica ha un diverso peso nella sinistra? Non credo e non lo spero. Mi auguro, invece, che l’Onorevole Uras riesca brillantemente a spiegare come abbia speso 70.000 euro, così come argomenterà anche Francesca Barracciu. Il problema però è un altro: ma l’onorevole Uras, a dicembre 2013, quando scrisse la lettera insieme a Cappelli non ricordava di aver usato anche lui fondi destinati all’attività dei gruppi? Non sapeva che, prima o poi sarebbe accaduto anche a lui dover giustificare? Se la storia fosse accaduta prima delle votazioni al Parlamento avrebbe fatto il giusto e sacrosanto passo indietro? E adesso? Adesso non ci rimane che provare a scrivere la morale di questa favola per niente a lieto fine: “Su boe narat corrudu a s’ainu”.