L’economia di mercato - la cui banale sintesi si appoggia alla necessaria e “naturale” fissazione del prezzo di qualsiasi bene o servizio scambiato in base al “libero” gioco della domanda e dell’offerta - è una faccenda dannatamente seria, per molti, troppi, motivi. Perché storicamente ha dimostrato di vincere sull’altra proposta storicamente determinata nei suoi reali contorni e contenuti, l’economia pianificata. Perché è diventato un meccanismo pervasivo, che ha tracimato la sfera dell’economia invadendo contesti umani regolati da altri principi, le sfere più intime della nostra vita dove ampio è sempre stato il posto della reciprocità, del dono e della solidarietà, o quelle che necessitano di regole e insieme di succo etico. Perché l’orizzonte del profitto individuale, il “malloppo del tutto per sé stessi e gli altri si fottano” è diventato sostanza pedagogica profusa in ogni segmento della vita sociale, in ogni momento importante dei processi di socializzazione primaria e secondaria, quel percorso di relazione con chi ci insegna “cosa dobbiamo essere, come dobbiamo comportarci, cosa dobbiamo aspirare a diventare” in questa reale, contingente, società.
Allora non deve sorprendere che molti economisti (anche quelli che stimo, e sono pochi..) rispondano con questa affermazione di evidente dominio della presenza del “libero gioco della domanda e dell’offerta” a chi, allibito, chiede spiegazioni al perché alcuni commercianti di Olbia abbiano fatto "uno sporco gioco", ovvero abbiano fatto immediatamente lievitare i prezzi degli stivali di gomma e delle pompe tira acqua: “c’è stato un aumento della domanda”, la naturale e semplice risposta, quasi banale nel suo essere disancorata a qualsiasi contesto in cui si sono sviluppate le vicende di cui si discute. In qualsiasi situazione della vita quotidiana, che si tratti di normale e sereno scenario o catastrofico e doloroso paesaggio come quello che la dura realtà restituisce di Olbia e della Gallura tutta, il prezzo dei beni è fissato dal gioco della domanda e dell’offerta: di che cazzo vi indignate? Vi andava bene in tempi di pace, in tempi di gioia, in tempi di sole e perché non dovrebbe andare bene ora, in tempi di pioggia, in tempi di buio, in tempi di disperazione, in tempi di necessità e bisogno diffuso, in tempi di dolore, in tempi di lutto?
Io li capisco gli economisti, capisco che ci siano delle verità intangibili a tutto, anche al dolore e alla contingente difficoltà umana come quella che una fetta considerevole di cittadini isolani sta sperimentando in questi giorni. Li capisco ma non riesco ad accogliere questa spiegazione nella mia sfera etica, e non era necessaria questa incredibile disgrazia per rimarcarlo a me stesso. Li capisco, perché è proprio la sfera etica che quasi tutti gli economisti hanno abbandonato nella spiegazione del fare economico, spiegazione che è diventata anche e soprattutto materiale per la concreta "costruzione" del fare economico: niente di umano, di culturale, di affettivo, di etico, niente di niente deve disturbare il libero gioco della domanda e dell’offerta: niente regole, niente valori. Eccetto uno, quello del “profitto per sé-gli altri si fottano”, del profitto ora e subito. È questa la logica che ha vinto, purtroppo; è questo il pensiero che, vincendo, è diventato paradigma diffuso e accolto in ogni parte del globo. Cosa è la dissipazione dei nostri beni comuni appena realizzata in Consiglio regionale se non figlia di questa logica? Che cosa è la diffusa tendenza a trattare il territorio come se fosse “cosa nostra” e non di tutti e dei nostri figli e dei figli dei nostri figli, se non figlia di questa logica? Cosa è l’ormai residuale presenza e la residuale difesa del “bene comune”, se non figlia di questa logica? Niente regole, questa è la sintesi.
Molto probabilmente, appena tornerà il sole, questi commercianti che non hanno fatto richiamo nel propri intimo se non a questa logica, saranno economicamente puniti dai consumatori eticamente avvertiti. Molto probabilmente per un po’ di tempo nella memoria collettiva si conserverà traccia del dominio di questa sensibilità mercantile nel momento del bisogno e della difficoltà. Poi le cose torneranno come prima, o come adesso, come nel momento in cui si pensa che sia “assolutamente nell’ordine delle cose economiche” che un paio di stivali vedano crescere in modo smisurato il loro prezzo laddove tutto è acqua e lacrime e tu sei uno dei pochi a disporne per la vendita.
È normale dicono molti, troppi, economisti. No, non lo è, dicono tutti quelli che si dimenticano per un attimo del “profitto per sé-si fottano gli altri”, fanno appello ad altre regole, si danno delle regole e danno una mano d’aiuto, senza alcuna moneta in cambio se non un grazie.
Allora non deve sorprendere che molti economisti (anche quelli che stimo, e sono pochi..) rispondano con questa affermazione di evidente dominio della presenza del “libero gioco della domanda e dell’offerta” a chi, allibito, chiede spiegazioni al perché alcuni commercianti di Olbia abbiano fatto "uno sporco gioco", ovvero abbiano fatto immediatamente lievitare i prezzi degli stivali di gomma e delle pompe tira acqua: “c’è stato un aumento della domanda”, la naturale e semplice risposta, quasi banale nel suo essere disancorata a qualsiasi contesto in cui si sono sviluppate le vicende di cui si discute. In qualsiasi situazione della vita quotidiana, che si tratti di normale e sereno scenario o catastrofico e doloroso paesaggio come quello che la dura realtà restituisce di Olbia e della Gallura tutta, il prezzo dei beni è fissato dal gioco della domanda e dell’offerta: di che cazzo vi indignate? Vi andava bene in tempi di pace, in tempi di gioia, in tempi di sole e perché non dovrebbe andare bene ora, in tempi di pioggia, in tempi di buio, in tempi di disperazione, in tempi di necessità e bisogno diffuso, in tempi di dolore, in tempi di lutto?
Io li capisco gli economisti, capisco che ci siano delle verità intangibili a tutto, anche al dolore e alla contingente difficoltà umana come quella che una fetta considerevole di cittadini isolani sta sperimentando in questi giorni. Li capisco ma non riesco ad accogliere questa spiegazione nella mia sfera etica, e non era necessaria questa incredibile disgrazia per rimarcarlo a me stesso. Li capisco, perché è proprio la sfera etica che quasi tutti gli economisti hanno abbandonato nella spiegazione del fare economico, spiegazione che è diventata anche e soprattutto materiale per la concreta "costruzione" del fare economico: niente di umano, di culturale, di affettivo, di etico, niente di niente deve disturbare il libero gioco della domanda e dell’offerta: niente regole, niente valori. Eccetto uno, quello del “profitto per sé-gli altri si fottano”, del profitto ora e subito. È questa la logica che ha vinto, purtroppo; è questo il pensiero che, vincendo, è diventato paradigma diffuso e accolto in ogni parte del globo. Cosa è la dissipazione dei nostri beni comuni appena realizzata in Consiglio regionale se non figlia di questa logica? Che cosa è la diffusa tendenza a trattare il territorio come se fosse “cosa nostra” e non di tutti e dei nostri figli e dei figli dei nostri figli, se non figlia di questa logica? Cosa è l’ormai residuale presenza e la residuale difesa del “bene comune”, se non figlia di questa logica? Niente regole, questa è la sintesi.
Molto probabilmente, appena tornerà il sole, questi commercianti che non hanno fatto richiamo nel propri intimo se non a questa logica, saranno economicamente puniti dai consumatori eticamente avvertiti. Molto probabilmente per un po’ di tempo nella memoria collettiva si conserverà traccia del dominio di questa sensibilità mercantile nel momento del bisogno e della difficoltà. Poi le cose torneranno come prima, o come adesso, come nel momento in cui si pensa che sia “assolutamente nell’ordine delle cose economiche” che un paio di stivali vedano crescere in modo smisurato il loro prezzo laddove tutto è acqua e lacrime e tu sei uno dei pochi a disporne per la vendita.
È normale dicono molti, troppi, economisti. No, non lo è, dicono tutti quelli che si dimenticano per un attimo del “profitto per sé-si fottano gli altri”, fanno appello ad altre regole, si danno delle regole e danno una mano d’aiuto, senza alcuna moneta in cambio se non un grazie.