La sinistra è il padre che ci ha lasciati quando non eravamo ancora pronti.
Lei è anche la madre che continua a sorridere e vietare, dolcissima e insopportabile.
E oggi non esiste.
Come si fa?
Quanti sanno come ricostruirla! Quanti scrivono manifesti perché è il momento di ricostruirla! Però ogni volta le ossa sistemate per ricomporre lo scheletro, ovviamente, cadono.
Allora sul mucchio si fa avanti un altro, prende un altro osso e dice: ricostruiamo la sinistra.
E così via.
Ma è mai nata una sinistra in questo modo? Dalla riunione di qualche testa pensante che periodicamente afferma “ il momento è arrivato”?
Non nasce più facilmente quando le cose spingono tutte insieme in una direzione e c’è qualcuno che se ne accorge e lo sa raccontare?
Io mi chiedo perché a migliaia ogni giorno arrivano in Italia dall'Africa. Mi chiedo cosa fa sembrare loro più conveniente la possibilità di morire in mare che la possibilità di restare fermi nel proprio paese.
Mi chiedo perché ritengono che, con la nostra crisi economica, siamo infinitamente più attrattivi dei loro villaggi e delle loro città. Che poi continuano ad amare. E quando affogano, con loro affoga anche lo strazio per una terra in cui avrebbero voluto vivere in pace, e non hanno potuto. Affogano per l’acqua nei polmoni e per la nostalgia. Mi chiedo se sia un problema di armi che sparano. Mi chiedo se sia un problema di pioggia, un problema di agricoltura che in Africa non funziona più, un problema di caldo sempre più insopportabile. Mi chiedo se sia lo stesso caldo che sentiamo noi.
Mi chiedo se sia giusto difendere i diritti di chi prende duemila euro di pensione al mese. Per non parlare di chi ne prende tremila, o seimila. Se sia giusto pagare questa pensione con i contributi dei precari che la pensione non l’avranno mai. Mi chiedo se qualcuno riuscirà a spiegarlo con chiarezza a tutti.
Mi chiedo se abbia senso distinguere tra capitale e lavoro. Molte battaglie e molte resurrezioni della sinistra (quelle tentate a partire dal mucchietto delle sue ossa), si nutrono di quella divisione. Mi chiedo da quale parte, in questo mondo diviso tra capitale e lavoro, tocca collocare le microimprese, le ditte individuali, gli artigiani senza dipendenti.
Mi chiedo che relazione ci sia tra la difesa di chi perde il lavoro per un’impresa che delocalizza, la differenza di costo del lavoro, la fame di Occidente e la mancanza di diritti di chi lavora per molto meno ed è forza lavoro appetibile, la mancanza di democrazia in Cina o in Arabia Saudita, l’indispensabilità di certi partner internazionali, la pretesa di alzare frontiere contro l’immigrazione. Poi mi chiedo a quanti sia sfuggita la somiglianza tra Matteo Salvini e Alvaro Vitali.
E mi chiedo se abbia senso, e quale, non vedere che il nazismo ogni tanto si affaccia, che nel sottosuolo del mondo, e specialmente d’Europa, continua a circolare e ogni tanto alza la testa e guarda fuori. Mentre noi, o facciamo istintivamente tifo per l’Ucraina, o ci giriamo dall’altra parte.
Mi chiedo se sia possibile meravigliarsi ancora per la vicenda del MOSE, per l’EXPO, e per il prossimo pentolone che verrà aperto e controllato dalla legge e dai media. Mi chiedo quanto sia colpa di tutti noi. Perché non ci credo che siamo innocenti. Come italiani, dico.
Mi chiedo quanta chiesa e quanto oscurantismo c’è nel nostro essere sinistra. Quanta paura del cambiamento, in sostanza. Che è paura della vita e del mondo, mica altro. E mi viene in mente, en passant, il culo di Paola Bacchiddu, e le polemiche, e come Barbara Spinelli l’avesse silurata insieme ad un collegio di tromboni, dopo quella foto in bikini, perché aveva danneggiato l’immagine della Lista Tsipras. Barbara Spinelli, dico. Un’altra animatrice di mucchietti d’ossa. L’ennesima. Sotto gli occhi di tutti.
Mi chiedo se, rispetto a un anno e mezzo fa, quando Bersani e Renzi andavano a primarie, la domanda “Ma Renzi è di Sinistra?” abbia cambiato senso. Perché un senso ce l’ha ancora, quella domanda, ma non è lo stesso di prima. Che –come diceva il Colonnello- le domande non sono mai indiscrete, le risposte lo sono, a volte.
Mi chiedo se abbia senso continuare a parlare di sinistra, o se non abbia più senso mettersi a leggere la complessità senza pretendere di avere troppe idee chiare.
Mi chiedo ma non capisco, davvero, e mi sembra che la sfida sia enorme, perché le cose perdono senso con estrema facilità.
Credo che siano importanti due parole: rete e confine. Quel mucchietto di ossa che una volta era la sinistra, aveva senso dentro confini che o stanno crollando o, addirittura, non esistono più. Esiste invece una rete di relazioni che collega tutte le cose del mondo. La sua cifra si chiama complessità: sembra difficile, ma è solo un sinonimo di “vita”.
Penso che, piuttosto che intestardirsi con le parole, ci vorrebbe il coraggio delle cose nuove. Il coraggio dell’esperimento e dell’eresia. Il coraggio della fuga e della resa. Il coraggio di sporcarsi con il fango giusto, quello che contiene almeno un po’ di letame. E ci vorrebbe la forza di seppellire, finalmente e per sempre, quello che ha diritto di riposare in pace.
E un po’ di saggezza, per distinguere tra quello che deve essere sepolto e quello che ancora dobbiamo imparare.
Lei è anche la madre che continua a sorridere e vietare, dolcissima e insopportabile.
E oggi non esiste.
Come si fa?
Quanti sanno come ricostruirla! Quanti scrivono manifesti perché è il momento di ricostruirla! Però ogni volta le ossa sistemate per ricomporre lo scheletro, ovviamente, cadono.
Allora sul mucchio si fa avanti un altro, prende un altro osso e dice: ricostruiamo la sinistra.
E così via.
Ma è mai nata una sinistra in questo modo? Dalla riunione di qualche testa pensante che periodicamente afferma “ il momento è arrivato”?
Non nasce più facilmente quando le cose spingono tutte insieme in una direzione e c’è qualcuno che se ne accorge e lo sa raccontare?
Io mi chiedo perché a migliaia ogni giorno arrivano in Italia dall'Africa. Mi chiedo cosa fa sembrare loro più conveniente la possibilità di morire in mare che la possibilità di restare fermi nel proprio paese.
Mi chiedo perché ritengono che, con la nostra crisi economica, siamo infinitamente più attrattivi dei loro villaggi e delle loro città. Che poi continuano ad amare. E quando affogano, con loro affoga anche lo strazio per una terra in cui avrebbero voluto vivere in pace, e non hanno potuto. Affogano per l’acqua nei polmoni e per la nostalgia. Mi chiedo se sia un problema di armi che sparano. Mi chiedo se sia un problema di pioggia, un problema di agricoltura che in Africa non funziona più, un problema di caldo sempre più insopportabile. Mi chiedo se sia lo stesso caldo che sentiamo noi.
Mi chiedo se sia giusto difendere i diritti di chi prende duemila euro di pensione al mese. Per non parlare di chi ne prende tremila, o seimila. Se sia giusto pagare questa pensione con i contributi dei precari che la pensione non l’avranno mai. Mi chiedo se qualcuno riuscirà a spiegarlo con chiarezza a tutti.
Mi chiedo se abbia senso distinguere tra capitale e lavoro. Molte battaglie e molte resurrezioni della sinistra (quelle tentate a partire dal mucchietto delle sue ossa), si nutrono di quella divisione. Mi chiedo da quale parte, in questo mondo diviso tra capitale e lavoro, tocca collocare le microimprese, le ditte individuali, gli artigiani senza dipendenti.
Mi chiedo che relazione ci sia tra la difesa di chi perde il lavoro per un’impresa che delocalizza, la differenza di costo del lavoro, la fame di Occidente e la mancanza di diritti di chi lavora per molto meno ed è forza lavoro appetibile, la mancanza di democrazia in Cina o in Arabia Saudita, l’indispensabilità di certi partner internazionali, la pretesa di alzare frontiere contro l’immigrazione. Poi mi chiedo a quanti sia sfuggita la somiglianza tra Matteo Salvini e Alvaro Vitali.
E mi chiedo se abbia senso, e quale, non vedere che il nazismo ogni tanto si affaccia, che nel sottosuolo del mondo, e specialmente d’Europa, continua a circolare e ogni tanto alza la testa e guarda fuori. Mentre noi, o facciamo istintivamente tifo per l’Ucraina, o ci giriamo dall’altra parte.
Mi chiedo se sia possibile meravigliarsi ancora per la vicenda del MOSE, per l’EXPO, e per il prossimo pentolone che verrà aperto e controllato dalla legge e dai media. Mi chiedo quanto sia colpa di tutti noi. Perché non ci credo che siamo innocenti. Come italiani, dico.
Mi chiedo quanta chiesa e quanto oscurantismo c’è nel nostro essere sinistra. Quanta paura del cambiamento, in sostanza. Che è paura della vita e del mondo, mica altro. E mi viene in mente, en passant, il culo di Paola Bacchiddu, e le polemiche, e come Barbara Spinelli l’avesse silurata insieme ad un collegio di tromboni, dopo quella foto in bikini, perché aveva danneggiato l’immagine della Lista Tsipras. Barbara Spinelli, dico. Un’altra animatrice di mucchietti d’ossa. L’ennesima. Sotto gli occhi di tutti.
Mi chiedo se, rispetto a un anno e mezzo fa, quando Bersani e Renzi andavano a primarie, la domanda “Ma Renzi è di Sinistra?” abbia cambiato senso. Perché un senso ce l’ha ancora, quella domanda, ma non è lo stesso di prima. Che –come diceva il Colonnello- le domande non sono mai indiscrete, le risposte lo sono, a volte.
Mi chiedo se abbia senso continuare a parlare di sinistra, o se non abbia più senso mettersi a leggere la complessità senza pretendere di avere troppe idee chiare.
Mi chiedo ma non capisco, davvero, e mi sembra che la sfida sia enorme, perché le cose perdono senso con estrema facilità.
Credo che siano importanti due parole: rete e confine. Quel mucchietto di ossa che una volta era la sinistra, aveva senso dentro confini che o stanno crollando o, addirittura, non esistono più. Esiste invece una rete di relazioni che collega tutte le cose del mondo. La sua cifra si chiama complessità: sembra difficile, ma è solo un sinonimo di “vita”.
Penso che, piuttosto che intestardirsi con le parole, ci vorrebbe il coraggio delle cose nuove. Il coraggio dell’esperimento e dell’eresia. Il coraggio della fuga e della resa. Il coraggio di sporcarsi con il fango giusto, quello che contiene almeno un po’ di letame. E ci vorrebbe la forza di seppellire, finalmente e per sempre, quello che ha diritto di riposare in pace.
E un po’ di saggezza, per distinguere tra quello che deve essere sepolto e quello che ancora dobbiamo imparare.