“Io coprivo mia moglie Alice e loro picchiavano sempre più forte" ha raccontato Bobak Yan, uno dei quattro clochard massacrati a sprangate.
Era notte fonda, una di quelle notti buie e piene di nulla.
Loro dormivano, avvolti da coperte di fortuna, adagiati sopra i loro cartoni che al risveglio piegano e nascondono da qualche parte per riesumarli dopo il tramonto. Quei letti artigianali che sistemano all’angolo tra due muri per ripararsi mentre dormono.
I clochard, una vita dignitosa quanto quella di un cane randagio. Spesso guardati con un misto di disprezzo e compassione, proprio come le occhiate che raccolgono i cani senza padrone e fuori dal branco.
Non è certo una condizione a cui un essere umano in possesso di un minimo di cervello possa aspirare, eppure può succedere.
Può accadere, ora come non mai, che non ce la faccia più a tirare avanti.
Che lo stipendio non basti più a pagare l’affitto e che bollette e debiti si accumulino.
Può capitare che si venga licenziati e quei debiti diventino inestinguibili.
E si verifica quando uno stato, anziché aiutarti e coprirti le spalle, ti toglie anche il cappotto.
Lasciandoti lì, nudo e inerme a difenderti dal mondo.
Non lo contempli nei tuoi sogni di bambino, perché è il peggior incubo nel quale ti puoi ritrovare, tuo malgrado.
Ma può accadere.
E allora devi farci amicizia con la fame, il freddo, lo sporco e la solitudine. Perché capisci che la paura non ti salva e non ti protegge.
Due settimane fa, a Genova, quei balordi col passamontagna hanno scelto di cogliere i clochard nel sonno e tra tutto il deprecabile campionario di attacchi che la violenza offre ai pezzi di merda, loro hanno preferito quello più vile e bastardo.
Quando ti svegli di colpo, senza l’esatta percezione del luogo e del tempo, per un attimo perdi quella sincronia fatta di muri e difese e ti senti smarrito, in balia degli eventi.
All’inizio il dolore non esiste. E’ vuoto, buio, punto zero.
Ma poi, se quegli eventi sono randelli che ti arrivano sulla faccia, gli scenari che si spalancano diventano devastanti.
Si sono accaniti come invasati, con le loro spranghe ed il loro bastoni. Li hanno usati in tutti i modi: dall’alto, dal basso, lateralmente anche capovolti, come le carte dei Tarocchi.
Ma non si sono accorti che erano loro ad essere al contrario, non i loro bastoni.
Hanno picchiato duro, senza alcuna pietà.
Nemmeno quella d’obbligo per la solitudine, per la fame, per il freddo e per lo sporco.
Ci sono giorni in cui bisogna farsi forza per affrontare la lettura di alcune notizie senza timore di esserne schiacciati, con lo stesso ardimento con cui si andrebbe in battaglia.
E quell’audacia oggi non ce l’ho, non più.
Era notte fonda, una di quelle notti buie e piene di nulla.
Loro dormivano, avvolti da coperte di fortuna, adagiati sopra i loro cartoni che al risveglio piegano e nascondono da qualche parte per riesumarli dopo il tramonto. Quei letti artigianali che sistemano all’angolo tra due muri per ripararsi mentre dormono.
I clochard, una vita dignitosa quanto quella di un cane randagio. Spesso guardati con un misto di disprezzo e compassione, proprio come le occhiate che raccolgono i cani senza padrone e fuori dal branco.
Non è certo una condizione a cui un essere umano in possesso di un minimo di cervello possa aspirare, eppure può succedere.
Può accadere, ora come non mai, che non ce la faccia più a tirare avanti.
Che lo stipendio non basti più a pagare l’affitto e che bollette e debiti si accumulino.
Può capitare che si venga licenziati e quei debiti diventino inestinguibili.
E si verifica quando uno stato, anziché aiutarti e coprirti le spalle, ti toglie anche il cappotto.
Lasciandoti lì, nudo e inerme a difenderti dal mondo.
Non lo contempli nei tuoi sogni di bambino, perché è il peggior incubo nel quale ti puoi ritrovare, tuo malgrado.
Ma può accadere.
E allora devi farci amicizia con la fame, il freddo, lo sporco e la solitudine. Perché capisci che la paura non ti salva e non ti protegge.
Due settimane fa, a Genova, quei balordi col passamontagna hanno scelto di cogliere i clochard nel sonno e tra tutto il deprecabile campionario di attacchi che la violenza offre ai pezzi di merda, loro hanno preferito quello più vile e bastardo.
Quando ti svegli di colpo, senza l’esatta percezione del luogo e del tempo, per un attimo perdi quella sincronia fatta di muri e difese e ti senti smarrito, in balia degli eventi.
All’inizio il dolore non esiste. E’ vuoto, buio, punto zero.
Ma poi, se quegli eventi sono randelli che ti arrivano sulla faccia, gli scenari che si spalancano diventano devastanti.
Si sono accaniti come invasati, con le loro spranghe ed il loro bastoni. Li hanno usati in tutti i modi: dall’alto, dal basso, lateralmente anche capovolti, come le carte dei Tarocchi.
Ma non si sono accorti che erano loro ad essere al contrario, non i loro bastoni.
Hanno picchiato duro, senza alcuna pietà.
Nemmeno quella d’obbligo per la solitudine, per la fame, per il freddo e per lo sporco.
Ci sono giorni in cui bisogna farsi forza per affrontare la lettura di alcune notizie senza timore di esserne schiacciati, con lo stesso ardimento con cui si andrebbe in battaglia.
E quell’audacia oggi non ce l’ho, non più.