Nel tempo il mio stomaco emotivo si è un poco dilatato, si è reso più insensibile. Riesce a tollerare decisamente meglio le contrarietà, i dispiaceri, le precarietà, l’ineluttabilità di alcuni eventi.
Eppure il mio stomaco ha fatto più d’una capriola nel guardare un video che gira da qualche giorno sui social network. Un filmato di alcuni ragazzetti in una scuola superiore di Bollate, in provincia di Milano, dove una studentessa viene pestata malamente da una compagna. La vittima piange e grida aiuto, mentre viene afferrata per i capelli e scaraventata per terra. Invoca i soccorsi quando le arrivavano calci violenti sulla testa.
- Qualcuno mi aiuti – urla disperata.
E quegli stronzetti intorno riprendono la scena coi loro smartphone.
Episodi che si originano in sordina, la cui genesi risale spesso a mesi prima dell’episodio evidente.
Nascita che prende il via con una banale presa in giro.
Ma un cerino acceso in mano non è sempre innocuo e l’atteggiamento derisorio talvolta prosegue in un crescendo di forza e intensità tali da rendere la vita impossibile alla vittima. E soprattutto timorosa di raccontare ciò che accade perché, in quel caso, la violenza dei compagni potrebbe avere una drammatica impennata.
In fondo nessuno può dirsi davvero responsabile, pensiamo per scagionarci.
E invece responsabili lo siamo tutti.
Lo siete voi genitori che, probabilmente, non credete di aver commesso errori, ma alla fine c’è sempre un filo conduttore, anche dietro le azioni dei vostri figli.
Lo siamo noi insegnanti talvolta ciechi e sordi a sintomi che sarebbero da indagare immediatamente e non solo sopprimere con decisione.
Avvisaglie bisognose di una profonda azione di ricerca.
Chini a quattro zampe, noi e voi, dovremmo scavare a mani nude per arrivare all’origine del problema e sradicare una volta per tutte i germogli malvagi che potrebbero ripresentarsi in futuro sotto altre forme.
E invece, nella nostra piccola zattera in mezzo ai flutti, ci teniamo saldamente alla boa e guardiamo la linea dell’orizzonte per sconfiggere il mal di mare e cercare nell’amore l’unico antidoto possibile.
L’amore aiuta, ma non basta.
Non siamo preparati ad affrontare e gestire problemi di questa portata, limitandoci talvolta a mettere una pezza e passare oltre.
Il bullismo rappresenta solo l'aspetto affiorante di una più ampia e complessa situazione di malessere evolutivo.
E’ la coscienza della sofferenza sociale del nostro paese.
Non liquidiamo come banali prese in giro tra ragazzetti perché loro, i bulli, sono abilissimi nel dissimulare e far credere che l’episodio sia stato solo un gioco.
Il bullismo non è un gioco.
Eppure il mio stomaco ha fatto più d’una capriola nel guardare un video che gira da qualche giorno sui social network. Un filmato di alcuni ragazzetti in una scuola superiore di Bollate, in provincia di Milano, dove una studentessa viene pestata malamente da una compagna. La vittima piange e grida aiuto, mentre viene afferrata per i capelli e scaraventata per terra. Invoca i soccorsi quando le arrivavano calci violenti sulla testa.
- Qualcuno mi aiuti – urla disperata.
E quegli stronzetti intorno riprendono la scena coi loro smartphone.
Episodi che si originano in sordina, la cui genesi risale spesso a mesi prima dell’episodio evidente.
Nascita che prende il via con una banale presa in giro.
Ma un cerino acceso in mano non è sempre innocuo e l’atteggiamento derisorio talvolta prosegue in un crescendo di forza e intensità tali da rendere la vita impossibile alla vittima. E soprattutto timorosa di raccontare ciò che accade perché, in quel caso, la violenza dei compagni potrebbe avere una drammatica impennata.
In fondo nessuno può dirsi davvero responsabile, pensiamo per scagionarci.
E invece responsabili lo siamo tutti.
Lo siete voi genitori che, probabilmente, non credete di aver commesso errori, ma alla fine c’è sempre un filo conduttore, anche dietro le azioni dei vostri figli.
Lo siamo noi insegnanti talvolta ciechi e sordi a sintomi che sarebbero da indagare immediatamente e non solo sopprimere con decisione.
Avvisaglie bisognose di una profonda azione di ricerca.
Chini a quattro zampe, noi e voi, dovremmo scavare a mani nude per arrivare all’origine del problema e sradicare una volta per tutte i germogli malvagi che potrebbero ripresentarsi in futuro sotto altre forme.
E invece, nella nostra piccola zattera in mezzo ai flutti, ci teniamo saldamente alla boa e guardiamo la linea dell’orizzonte per sconfiggere il mal di mare e cercare nell’amore l’unico antidoto possibile.
L’amore aiuta, ma non basta.
Non siamo preparati ad affrontare e gestire problemi di questa portata, limitandoci talvolta a mettere una pezza e passare oltre.
Il bullismo rappresenta solo l'aspetto affiorante di una più ampia e complessa situazione di malessere evolutivo.
E’ la coscienza della sofferenza sociale del nostro paese.
Non liquidiamo come banali prese in giro tra ragazzetti perché loro, i bulli, sono abilissimi nel dissimulare e far credere che l’episodio sia stato solo un gioco.
Il bullismo non è un gioco.