Oggi mi è stato detto: “ma tu che scrivi nel blog, perché non dici qualcosa che è il compleanno di Riva?” Allora ci ho pensato un po’ su. Ma cosa si può scrivere su Gigi Riva, uno dei più grandi calciatori della storia, esempio di onestà e lealtà sportiva, portatore di grandi principi e valori? Cosa si può dire che non sia già stato scritto? Certo il suo attaccamento alla Sardegna è proverbiale, è ormai uno dei grandi eroi eponimi dei sardi. Ma l’attaccamento alla maglia Azzurra non è stato da meno, dimostrando che le persone animate da valori e ideali profondi non hanno steccati. Amano e basta. E questo mi pareva giusto dirlo, che Riva giocando nel Cagliari non si risparmiava per la Nazionale, e in Nazionale non si risparmiava per il Campionato, come dimostrano i 2 gravi incidenti subiti con la maglia azzurra. E a proposito di incidenti sportivi, mi viene in mente questo racconto. Nella Milano degli anni ’60, questo ragazzo di 25 anni correva in bicicletta, e pure discretamente. Poteva anche passare professionista, ma la sua carriera fu stroncata da un grave incidente. Cadde in una gara di ciclocross, in mezzo al fango, e la gamba sinistra fu maciullata da un automezzo al seguito della corsa; gli andò in cancrena, rischiò l’amputazione. Sei mesi di ospedale e 12 operazioni subite. Nelle interminabili giornate di degenza ospedaliera, notò una giovane e minuta inserviente sarda, dal carattere, però, molto deciso. S’innamorarono. I due, prima di sposarsi, decisero di fare un viaggio, una visita parenti, in Sardegna. Il giovane claudicante vide questa terra stupenda e, dopo pochi anni, impiegato alle poste, riuscì a ottenere il trasferimento a Cagliari, con tutta la famiglia, moglie e tre figli compresi, negli anni in cui trasferirsi in Sardegna era una punizione. Esattamente come Riva. Era il novembre del 1970. In Sardegna gli echi dello scudetto appena vinto riempivano la vita quotidiana, le strade, le piazze, i mercati, i luoghi di lavoro, le discussioni nei bar e nei negozi. E allora quell’ex ciclista, ormai claudicante, decise subito di diventare sardo, esattamente come Giggirriva, e fece due gesti tanto concreti quanto simbolici: l’abbonamento ai casotti del Poetto, e l’abbonamento al Calcio Calcio, nonostante da sempre di fede interista. E lo fece per un motivo molto semplice. Amare una donna sarda e amare la Sardegna, con il suo mare e i suoi simboli calcistici, per lui era un tutt’uno, non c’era soluzione di continuità. Quando si hanno valori, e ideali profondi, è così. Quando si ama, si ama e basta, senza steccati. Ma non era solo amore per una donna. Era anche l’amore per la natura, che la Sardegna poteva offrire, e passione per i grandi valori dello sport, che quella grande piccola squadra di provincia incarnava. Poi quell’uomo se n’è andato un po’ presto, a dire il vero, esattamente 20 anni fa, in un ottobre come questo. Che la Sardegna se la sarebbe potuta godere ancora un po’. E io ancora ricordo delle lunghe, intere giornate d’estate passate nella spiaggia del Poetto, a sguazzare tra le onde e a giocare con la sabbia borotalco e a fare le formine, e ancora mi ricordo l’atmosfera di quelle incredibile feste popolari che erano le partite del Cagliari degli anni ’70, con la gente che affluiva da tutti i paesi vicino, con i pullman, le automobili, i vespini, le apiscedde, e si mangiava formaggio e salsiccia aspettando l’ingresso in campo dei giocatori, il boato della folla, il rito della formazione… Albertosi, Martiradonna, Mancin, Cera, Niccolai, Tommasini, Domenghini, Nenè, Gori, Greatti e… Boato, Riva. E ricordo di una staffilata di Riva che gonfia la rete, gol! il nuovo stadio Sant’Elia in festa. Ricordo tutto questo. E di tanto in tanto ci penso, che potevo anche non essere sardo, e non vivere in questo posto così bello, e allora mi viene di ringraziarlo, quello sfortunato ciclista milanese innamoratosi di quella donnina sarda. Grazie. E, dimenticavo, buon compleanno, Giggirriva.