Volete gli insegnanti di religione all’interno delle istituzioni scolastiche?
Io non li voglio, ecco!
E avrei anche degli argomenti validi da portare a sostegno della loro inutilità perché, in estrema sintesi, le cose stanno così:
se un’intera classe, come quella del Liceo Colombo di Genova, lascia l’aula durante l’ora di religione e resta un solo striminzito studente ad ascoltare, qualche dubbio te lo devi pur porre, no?
E sì, ché a me girano un po’ le palle da anni per questo concordato tra Stato e Chiesa, di Mussoliniana memoria.
Mi girano le palle come persona, in quanto atea e convinta della laicità dello stato.
Mi girano le palle come docente, per l’iniquità della mole di lavoro affrontata e, soprattutto, per la tortuosità della strada percorsa per conquistarlo quel posto di lavoro.
Perché la maggior parte dei docenti di religione, al netto di isolati casi di individui validi e stimabili, è tanto impegnata a convincere i colleghi che la loro materia sia importante quanto le altre, che perde di vista il senso del proprio lavoro.
Ammesso che un senso quel lavoro ce l’abbia.
E resta attaccata con le unghie e con i denti a quest’unico obiettivo fino a rovinarsi la vita.
E fa male, molto male, perché una vittoria dove ci hai rimesso le unghie e i denti non è una vittoria: è un massacro.
Se solo riusciste ad utilizzare tutta la vostra verve per parlare di qualcosa anziché di niente…
Perché non riuscirete mai a convincermi che la Religione Cattolica in una scuola sia importante quanto la lingua italiana, la storia, la matematica e via dicendo.
Perché non è vero che se una cazzata la ripetete abbastanza a lungo diventa credibile e si trasforma in verità.
Che poi io questa cosa la devo dire, anche se so che mi attirerò l’ira funesta dei docenti di religione, dei bigotti e fors’anche di buona parte dei cattolici normopraticanti: le vostre attività didattiche si riducono ad un ibrido prodotto tra confusi concetti etici, tematiche che reputate vicine ai giovani e seminari di cinematografia spicciola con interminabili visioni di film, destinate a restare nella testa degli alunni il tempo di mezza mattinata.
Quando vi dice culo e qualche alunno vi ascolta.
Quando poi, come capita sovente, non possedete un piglio autorevole e deciso, la classe si sbizzarrirà in invio di sms, tornei di Scala40, stazionamenti no-stop su Facebook, giri sconfinati verso il bagno o a caccia di amici da prelevare nelle altre classi.
Perché voi docenti IRC, quando sedete in cattedra, vi comportate come bambini in gita scolastica, anche se avete 60 anni e una classe di scalmanati da governare.
Perché, al suono della campanella, lasciate la scuola senza mezzo compito in classe da correggere.
Perché non spendete un solo pomeriggio per preparare la lezione dell’indomani.
Perché spesso non vi prendete nemmeno la briga di fare l’appello, sperando che Dio controlli le presenze.
Perché usurpate una cattedra, con un contratto a tempo indeterminato, senza sostenere uno straccio di concorso per titoli ed esami.
Perché vi basta presentare un certificato di sana e robusta costituzione morale, rilasciato dal parroco della diocesi di appartenenza, per sollevare trionfanti il vostro dito medio sul mondo. In barba a migliaia di precari che quei concorsi li hanno ripetuti infinite volte prima di varcare la soglia di una scuola.
E perché, in fin dei conti, che non c’è niente che possiate dire o fare perché mi piacciate.
Punto.
Io non li voglio, ecco!
E avrei anche degli argomenti validi da portare a sostegno della loro inutilità perché, in estrema sintesi, le cose stanno così:
se un’intera classe, come quella del Liceo Colombo di Genova, lascia l’aula durante l’ora di religione e resta un solo striminzito studente ad ascoltare, qualche dubbio te lo devi pur porre, no?
E sì, ché a me girano un po’ le palle da anni per questo concordato tra Stato e Chiesa, di Mussoliniana memoria.
Mi girano le palle come persona, in quanto atea e convinta della laicità dello stato.
Mi girano le palle come docente, per l’iniquità della mole di lavoro affrontata e, soprattutto, per la tortuosità della strada percorsa per conquistarlo quel posto di lavoro.
Perché la maggior parte dei docenti di religione, al netto di isolati casi di individui validi e stimabili, è tanto impegnata a convincere i colleghi che la loro materia sia importante quanto le altre, che perde di vista il senso del proprio lavoro.
Ammesso che un senso quel lavoro ce l’abbia.
E resta attaccata con le unghie e con i denti a quest’unico obiettivo fino a rovinarsi la vita.
E fa male, molto male, perché una vittoria dove ci hai rimesso le unghie e i denti non è una vittoria: è un massacro.
Se solo riusciste ad utilizzare tutta la vostra verve per parlare di qualcosa anziché di niente…
Perché non riuscirete mai a convincermi che la Religione Cattolica in una scuola sia importante quanto la lingua italiana, la storia, la matematica e via dicendo.
Perché non è vero che se una cazzata la ripetete abbastanza a lungo diventa credibile e si trasforma in verità.
Che poi io questa cosa la devo dire, anche se so che mi attirerò l’ira funesta dei docenti di religione, dei bigotti e fors’anche di buona parte dei cattolici normopraticanti: le vostre attività didattiche si riducono ad un ibrido prodotto tra confusi concetti etici, tematiche che reputate vicine ai giovani e seminari di cinematografia spicciola con interminabili visioni di film, destinate a restare nella testa degli alunni il tempo di mezza mattinata.
Quando vi dice culo e qualche alunno vi ascolta.
Quando poi, come capita sovente, non possedete un piglio autorevole e deciso, la classe si sbizzarrirà in invio di sms, tornei di Scala40, stazionamenti no-stop su Facebook, giri sconfinati verso il bagno o a caccia di amici da prelevare nelle altre classi.
Perché voi docenti IRC, quando sedete in cattedra, vi comportate come bambini in gita scolastica, anche se avete 60 anni e una classe di scalmanati da governare.
Perché, al suono della campanella, lasciate la scuola senza mezzo compito in classe da correggere.
Perché non spendete un solo pomeriggio per preparare la lezione dell’indomani.
Perché spesso non vi prendete nemmeno la briga di fare l’appello, sperando che Dio controlli le presenze.
Perché usurpate una cattedra, con un contratto a tempo indeterminato, senza sostenere uno straccio di concorso per titoli ed esami.
Perché vi basta presentare un certificato di sana e robusta costituzione morale, rilasciato dal parroco della diocesi di appartenenza, per sollevare trionfanti il vostro dito medio sul mondo. In barba a migliaia di precari che quei concorsi li hanno ripetuti infinite volte prima di varcare la soglia di una scuola.
E perché, in fin dei conti, che non c’è niente che possiate dire o fare perché mi piacciate.
Punto.