Chi collezionava le figurine panini lo sapeva: Luigi Riva, nato a Leggiuno il 7 novembre 1944. Io avevo dieci anni nel 1969 e quasi undici quando il Cagliari di Giggiriva conquistò il suo primo e unico scudetto. Collezionavo figurine e trotterellavo nella fantasia infantile con gaiezza e solide convinzioni: a me, giggiriva piaceva. Perché era uno del Nord ma giocava in una squadra del Sud, era uno che alzava le mani al cielo, perché segnava di testa tuffandosi, perché aveva un tiro portentoso, perché Gianni Brera lo aveva chiamato Rombo di tuono. Ma, soprattutto, perché era in campo il giorno di Italia-Germania 4 a 3, una delle poche partite che quasi ricordo a memoria. Un’impresa epica, una sorta di rivincita contro i tedeschi, nostri alleati e poi nemici, con i quali eravamo affondati nella polvere solo pochi anni prima e ci eravamo macchiati di terribili nefandezze. Io, tutto questo, chiaramente mica lo sapevo. Avevo giggiriva e Mazzola, Domenghini e Albertosi nel cuore. Questa era la mia poesia, insieme al Carducci dell’albero cui tendevo la pargoletta mano. I gol di giggiriva, gli abbracci ai suoi compagni, la maglia azzurra con dietro il solo numero: undici. Perché ai miei tempi i giocatori li riconoscevi senza doverti stropicciare gli occhi per leggere il nome sulla maglia. Li riconoscevi da come si muovevano in campo, da come correvano e da come segnavano. E giggiriva lo riconoscevi sempre.
Anche alla radio.
Perché Ameri cambiava tono di voce quando giggigheddu prendeva il pallone e, senza accarezzarlo, lo buttava dentro, per segnare, per gioire, per far sognare. E, come tutti gli eroi tristi, ha vinto poco giggiriva. E’ diventato campione d’Italia una sola volta, campione d’Europa in un campionato non proprio memorabile e capocannoniere. Poi vice campione del mondo e altre piccole cose. Non ha vinto altro.
Il problema è che tutti gli eroi tristi rimangono eroi. E lo rimangono per sempre. Probabilmente perché, ai nostri tempi, gli eroi si costruivano con poco o meglio, non si costruivano proprio. Giggiriva era immortale, doveva esserlo. Ed era l’orgoglio della Sardegna, quando l’orgoglio aveva un suo peso specifico, era riscatto verso tutti e contro tutti. Poi, da grande le cose le vedi da un altro orizzonte e capisci che per vincere gli scudetti non bastava giggiriva. Però aiutava. Io me lo ricordo Riva, come ricordo gli altri che fecero l’impresa: Albertosi, Martiradonna, Cera e Greatti, Domenghini e Gori, un giuramento eterno c’è nei nostri cuori. Avevo il disco e lo avevo imparato a memoria. Riva era il cannoniere: quando tira il rigore fa tremare il portiere. Scorrono come lente immagini ossidate e lontane quelle dove Giggiriva segnava ed esultava, al Sant’Elia come in Messico, in Austria come in Francia e io a guardare e sistemare le figurine. Quelle doppie da scambiare, quelle triple da giocarcele a “creus e crastu”. Gigi Riva da Leggiuno ha compiuto sessantanove anni. Che sono, in fondo solo quindici più dei miei. Auguri. Io me lo ricordo ancora quando correva all’ala sinistra e prendeva la mira e non guardava e tirava e segnava ed esultava. Non aveva neppure un tatuaggio Giggiriva. Non ne aveva bisogno. Aveva molti segni d’affetto tra la pelle e il cuore. Auguri Gigi, cassetto dolce della mia infanzia. Auguri architetto, costruttore di traiettorie tra il pallone e l’emozione.
Anche alla radio.
Perché Ameri cambiava tono di voce quando giggigheddu prendeva il pallone e, senza accarezzarlo, lo buttava dentro, per segnare, per gioire, per far sognare. E, come tutti gli eroi tristi, ha vinto poco giggiriva. E’ diventato campione d’Italia una sola volta, campione d’Europa in un campionato non proprio memorabile e capocannoniere. Poi vice campione del mondo e altre piccole cose. Non ha vinto altro.
Il problema è che tutti gli eroi tristi rimangono eroi. E lo rimangono per sempre. Probabilmente perché, ai nostri tempi, gli eroi si costruivano con poco o meglio, non si costruivano proprio. Giggiriva era immortale, doveva esserlo. Ed era l’orgoglio della Sardegna, quando l’orgoglio aveva un suo peso specifico, era riscatto verso tutti e contro tutti. Poi, da grande le cose le vedi da un altro orizzonte e capisci che per vincere gli scudetti non bastava giggiriva. Però aiutava. Io me lo ricordo Riva, come ricordo gli altri che fecero l’impresa: Albertosi, Martiradonna, Cera e Greatti, Domenghini e Gori, un giuramento eterno c’è nei nostri cuori. Avevo il disco e lo avevo imparato a memoria. Riva era il cannoniere: quando tira il rigore fa tremare il portiere. Scorrono come lente immagini ossidate e lontane quelle dove Giggiriva segnava ed esultava, al Sant’Elia come in Messico, in Austria come in Francia e io a guardare e sistemare le figurine. Quelle doppie da scambiare, quelle triple da giocarcele a “creus e crastu”. Gigi Riva da Leggiuno ha compiuto sessantanove anni. Che sono, in fondo solo quindici più dei miei. Auguri. Io me lo ricordo ancora quando correva all’ala sinistra e prendeva la mira e non guardava e tirava e segnava ed esultava. Non aveva neppure un tatuaggio Giggiriva. Non ne aveva bisogno. Aveva molti segni d’affetto tra la pelle e il cuore. Auguri Gigi, cassetto dolce della mia infanzia. Auguri architetto, costruttore di traiettorie tra il pallone e l’emozione.