Credo sia capitata a tutti l’accusa di aver parlato male di qualcuno.
La risposta più scontata e banale era: “Dimmi chi te l’ha detto! Fallo venire qui e che abbia il coraggio di dirlo davanti a me”.
Siamo sinceri per una volta, almeno con noi stessi, quella frase non aveva alcun senso, per svariati motivi che elencherò in ordine d’importanza crescente:
1) perché se il l’ipotetico tale avesse avuto abbastanza ardimento, l’avrebbe detto in prima persona all’interessato;
2) perché presumibilmente l’ipotetico tale non beneficiava il destinatario di sufficiente stima da attribuirgli un’importanza tale da ritenerlo degno di quell’informazione;
3) perché talvolta un’azione è talmente incresciosa e antipatica da occupare l’intera scena e far passare gli attori in secondo piano.
Ma, diciamocela tutta, quella domanda, spesso inutile e improduttiva, era funzionale a rastrellare una manciata di minuti preziosi utilissimi per una veloce ricognizione mentale e arrivare così al malcapitato oggetto delle nostre critiche.
Di quanti avevamo parlato male?
E, soprattutto, chi avrebbe potuto riferire?
Eppure, con la consapevolezza che dentro a quel carniere di accuse potevamo includere almeno una decina di nomi probabili, continuavamo imperterriti con la nostra pleonastica domanda:
“Chi te l’ha detto?”
“Fuori il nome!”
Quando, semmai, sarebbe stato opportuno chiedere alla nostra coscienza tutt’altro che immacolata se putacaso ci fossimo macchiati di una qualche azione riprovevole tale da infangare la nostra reputazione.
La risposta è affermativa?
E allora sstthhhhh!
Silenzio, perché l’unico nome da tener presente è il nostro!
La risposta più scontata e banale era: “Dimmi chi te l’ha detto! Fallo venire qui e che abbia il coraggio di dirlo davanti a me”.
Siamo sinceri per una volta, almeno con noi stessi, quella frase non aveva alcun senso, per svariati motivi che elencherò in ordine d’importanza crescente:
1) perché se il l’ipotetico tale avesse avuto abbastanza ardimento, l’avrebbe detto in prima persona all’interessato;
2) perché presumibilmente l’ipotetico tale non beneficiava il destinatario di sufficiente stima da attribuirgli un’importanza tale da ritenerlo degno di quell’informazione;
3) perché talvolta un’azione è talmente incresciosa e antipatica da occupare l’intera scena e far passare gli attori in secondo piano.
Ma, diciamocela tutta, quella domanda, spesso inutile e improduttiva, era funzionale a rastrellare una manciata di minuti preziosi utilissimi per una veloce ricognizione mentale e arrivare così al malcapitato oggetto delle nostre critiche.
Di quanti avevamo parlato male?
E, soprattutto, chi avrebbe potuto riferire?
Eppure, con la consapevolezza che dentro a quel carniere di accuse potevamo includere almeno una decina di nomi probabili, continuavamo imperterriti con la nostra pleonastica domanda:
“Chi te l’ha detto?”
“Fuori il nome!”
Quando, semmai, sarebbe stato opportuno chiedere alla nostra coscienza tutt’altro che immacolata se putacaso ci fossimo macchiati di una qualche azione riprovevole tale da infangare la nostra reputazione.
La risposta è affermativa?
E allora sstthhhhh!
Silenzio, perché l’unico nome da tener presente è il nostro!