Arrivo trafelato ai colloqui di mio figlio, prima media. Un po’ tardi, causa impegni di lavoro. Folle di genitori sfatti, preoccupati e impazienti, in code e capannelli fuori dalle porte delle aule, in attesa, con chiacchiere svogliate, lamenti e sbuffi. Grande respiro, training autogeno, un po’ di mantra, e si parte per l’ignoto. Caccia agli otto professori. Prima brutta sorpresa, l’insegnante di italiano è andata via. Come andata via? Si, smontava alle cinque. Accidenti, non lo sapevo. Occhei, sotto con gli altri sette, si deve rimediare. Dunque. Un’ora alla fine dei colloqui. Che fare? Che obbiettivo darci? Riuscire a fare in un’ora almeno la metà dei professori, può essere un buon risultato. Sotto allora. Fila infinita dalla professoressa di matematica. Fila accettabile da quella di Educazione fisica. Gradazioni intermedie per le altre materie. Ci buttiamo in una fila intermedia, a casaccio sperando nella fortuna, con quella di arte. Si scambiano due battute con gli altri genitori, per ingannare il tempo. Forse ho sbagliato fila, penso, questa è troppo lenta. Ma ormai è troppo tardi, spostarmi da un'altra parte significherebbe perdere altro tempo, rinunciare all’avanzamento ormai fatto. Mi rendo conto di essere un neofita dei colloqui, che anche in questo campo c’è una sottile arte da apprendere. Ci sono i genitori che piazzano in posizioni strategiche figli, coniugi e addirittura nonni a tenere le posizioni in fila. Due o tre persone per fila, mentre io sono solo. Il tempo passa e un rivolo di sudore freddo mi scorre lungo la schiena. Il mio tabellino è fallimentare. Come posso tornare a casa con un risultato simile? Che gli dico a mio figlio? Mi consolo vedendo che gli altri genitori sono distrutti da ore di fila, mentre io sono ancora fresco, ritardatario ma fresco. Sbrigo la pratica arte e immagine e mi trovo con il grande rebus. Matematica lenta o educazione fisica veloce? Mi butto su educazione fisica. Troppa poca se ne fa, di educazione fisica. Lo dico a tutti gli insegnanti, non per piaggeria, ma perché lo penso veramente, anche se è solo uno sfogo. Pistolotto sui bambini moderni, molluschi casalinghi rincitrulliti dalla tecnologia. Ci vuole, e via verso la grande sfida. Matematica.
Fila infinita, ma ce la posso fare. Si chiacchiera un po’, intanto, per ingannare il tempo. Mio figlio zoppica in molte materie, mi fa quella a fianco. Almeno lei ha avuto la soddisfazione di poter parlare con qualche insegnante, penso io. Dagli un calcio all’altra gamba, così smette di zoppicare ed è storpio tutto, gli faccio io. I piedi si fanno pesanti, le gambe si induriscono, la schiena ci ricorda con la sua artrosi che una volta eravamo esseri a 4 zampe e ancora la nostra evoluzione da bipedi non è completata. E’ il mio turno, tocca a me, ma chi mi precede deve avere un figlio problematico, perché non la finisce più. Eccomi. Suo figlio? Tutto bene. Attento, educato, ottimo profitto. Arrivederci. Come? Tutto qua? Nessun problema? No. Ho fatto tutta questa fila e non ha nessun problema, chessò, non zoppica? No. Mavaff… tre crocette nel cartellino, comunque, con la campana già suonata da un pezzo. Ora non mi resta che catapultarmi da un insegnante con meno fila, nella speranza che mi riceva ancora. Trovo religione libera. Mi ci butto a tempo scaduto, con il portone ormai che si richiudeva con un pesante tonfo in fondo all’andito, segno minaccioso dei bidelli imbufaliti dal ritardo. Mi riceve, per fortuna. Faccio veloce, ho quattro crocette nel cartellino, ho raggiunto la sufficienza, ma posso fare meglio! Vedo la prof di francese, scatto per lo sprint finale, supero una mamma, ma mi precede un’altra mamma. Lei vede che siamo in tre, troppi, e ci dice che non riceve più. Vabbè, pazienza. Per come si erano messe le cose, mi è andata pure bene. Esco sollevato, con le mie quattro crocette in saccoccia, e io che non volevo fargli fare religione. Sfollano gli ultimi genitori e gli ultimi insegnanti distrutti da questo rito anacronistico, da questa grande follia collettiva odierna che sono i colloqui scolastici. Magari un giorno qualcuno si sveglierà e deciderà che è ora di organizzare questa tortura in maniera più costruttiva ed efficace. Ma ci vorrà ancora tempo, perché agli italiani piacciono gli affollamenti, le code ai supermercati, ai caselli delle autostrade, il traffico, la pazza folla, tutti insieme nelle spiagge contemporaneamente, a contatto di gomito. Siamo esseri gregari, ci piace la confusione e poter partecipare ad un rito collettivo. Forse. E forse continuerà così per molto tempo ancora con i colloqui tortura, che le tradizioni, anche quelle masochistiche, specie in Italia, sono dure a morire.