Poi dobbiamo riuscire a dare un senso alle cose. Solo che non è semplice quando ti trovi davanti gli occhi di un bambino di dodici anni, chiusi per sempre. Come quelli di sua madre e di suo padre. Morti. Trucidati a colpi di spranga. Come leggere un libro di Stephen King. Dall’altra parte del mondo. In America, dove le stragi sono abbastanza frequenti, dovute al logorio della vita frenetica, al dover concludere tutto subito. Ma non in Sardegna, a Tempio Pausania, dove l’acqua cammina tra le rocce e i silenzi, il sole intiepidisce i monti e tutto sembra scorrere con la dolce lentezza della normalità.
Ha bussato l’orrore alla nostra porta, ha massacrato un uomo, una donna e un bambino. Quando si uccidono i cuccioli significa che si è andati oltre il baratro, oltre la possibilità di poter riuscire a ritornare indietro. Dovremmo provare ad analizzare e non è semplice. Non intendo gettarmi nelle indagini, quelle lasciamole agli organi competenti. Non mi interessa scoprire la verità, la nuda realtà, le varie condanne e la giusta punizione per chi ha commesso questo orribile gesto. Non mi interessa in questo momento, almeno. Voglio comprendere il perché, qual’ è stato l’attimo che ha annerito la vista, che ha permesso ad una persona magari apparentemente normale, di uccidere un bambino, un cucciolo. Dicono l’usura, la disperazione, la solitudine. Dicono. Come se fosse facile davanti a quel sangue rappreso riuscire ad argomentare. E non lo è. Ma domandiamoci almeno che strade stiamo percorrendo e con chi: se ha un senso concedere la libertà di esprimersi in questo modo orribile, perché anche noi siamo diventati la periferia dell’Oklahoma, del Kentucky, del Texas. Perché non siamo riusciti a prevenire, a comprendere chi ci stava accanto, a sentire i suoi silenzi a comprendere i suoi sguardi prima che potesse distruggere tutto con i suoi gesti. Di questo occorrerebbe parlare. E non è facile.
Ha bussato l’orrore alla nostra porta, ha massacrato un uomo, una donna e un bambino. Quando si uccidono i cuccioli significa che si è andati oltre il baratro, oltre la possibilità di poter riuscire a ritornare indietro. Dovremmo provare ad analizzare e non è semplice. Non intendo gettarmi nelle indagini, quelle lasciamole agli organi competenti. Non mi interessa scoprire la verità, la nuda realtà, le varie condanne e la giusta punizione per chi ha commesso questo orribile gesto. Non mi interessa in questo momento, almeno. Voglio comprendere il perché, qual’ è stato l’attimo che ha annerito la vista, che ha permesso ad una persona magari apparentemente normale, di uccidere un bambino, un cucciolo. Dicono l’usura, la disperazione, la solitudine. Dicono. Come se fosse facile davanti a quel sangue rappreso riuscire ad argomentare. E non lo è. Ma domandiamoci almeno che strade stiamo percorrendo e con chi: se ha un senso concedere la libertà di esprimersi in questo modo orribile, perché anche noi siamo diventati la periferia dell’Oklahoma, del Kentucky, del Texas. Perché non siamo riusciti a prevenire, a comprendere chi ci stava accanto, a sentire i suoi silenzi a comprendere i suoi sguardi prima che potesse distruggere tutto con i suoi gesti. Di questo occorrerebbe parlare. E non è facile.