Pensavo alla velocità. A quel brivido che comporta andare contro vento, contro tutto, in destinazione ostinata e contraria, come direbbe De André. Pensavo ai battiti rallentati, all’orrore di una curva quando ti si piazza che neppure te ne accorgi, a quel cambiare marcia repentinamente, a quello sterzare e poi sterzare e poi frenare e ripartire. Quel viaggiare borderline tra lo schianto e l’attesa. Pensavo all’adrenalina che ti gira quando la strada si rimpicciolisce e gli alberi volano e tutto riparte e cammina e i colori si fondono. Pensavo a questo come mestiere, quello di Fangio, di Lauda, di Villenueve, di Senna, di Prost, di Hunt, di Alonso, di Schumacher. Pensavo al destino, al crocevia della vita, alla girandola di cose che si rimescolano, si ripercuotono sulla tua esistenza. E tu pensi: mi son giocato la vita a dadi e ho sempre vinto. Meglio non esagerare. E si smette, si abbandona il luccichio dell’alluminio rosso Ferrari o grigio Mercedes, si smette perché si giunge alla salita della vita e quando arrivi in cima non c’è più voglia di scendere ma solo bellezza nell’osservare. Pensavo ai dadi. Uno li lancia e li rilancia. E vince. Non si pareggia mai con i dadi. Meglio non riprenderli. Neppure per un tiro. Ed invece, eccoci qui, ad esserne usciti indenni da tutte le curve del mondo, da tutte le piste, da tutto il nero del carbonio, da tutti quei sorpassi al limite, da quell’acceleratore che non stacca, da quella polvere sottile, quelle gocce su un asfalto imprendibile e, a volte, maledetto. “Perché corri?” chiesero un giorno ad un pilota, “per sopravvivere alla normalità”.
Pensavo alla lentezza. Quell’osservare da lontano le cose. Quasi distaccati. Mi chiedevo quale fosse il confine tra il non muoversi e il muoversi troppo. Probabilmente essere sospesi. Farla franca a tutte le insidie della velocità pura e finire tra la vita e la morte per un sasso sotto la neve era un libro indescrivibile e impossibile da raccontare. Ma non si rilanciano i dadi. E quando si tocca l’asfalto con i piedi si dovrebbe provare a rallentare. Ma non è facile. Lo so. E’ difficile sopravvivere alla normalità. Auguri Schumi, per tutte le volte che la tua Ferrari è passata a dipingere il cielo di rosso annebbiando, per quell’attimo, tutti i colori del mondo.
Pensavo alla lentezza. Quell’osservare da lontano le cose. Quasi distaccati. Mi chiedevo quale fosse il confine tra il non muoversi e il muoversi troppo. Probabilmente essere sospesi. Farla franca a tutte le insidie della velocità pura e finire tra la vita e la morte per un sasso sotto la neve era un libro indescrivibile e impossibile da raccontare. Ma non si rilanciano i dadi. E quando si tocca l’asfalto con i piedi si dovrebbe provare a rallentare. Ma non è facile. Lo so. E’ difficile sopravvivere alla normalità. Auguri Schumi, per tutte le volte che la tua Ferrari è passata a dipingere il cielo di rosso annebbiando, per quell’attimo, tutti i colori del mondo.