La distanza in linea retta tra Prato e Firenze è 16.68 km, ma la distanza di guida è 22.3 km; ci vogliono 27 minuti per andare da Firenze a Prato. È questo “respirare la stessa aria”, molto probabilmente, un motivo importante nella scelta di Matteo Renzi: è infatti da Prato che ha preso il via il tour del partecipante alla Ruota della Fortuna di Mike Bongiorno nel 1994, per presentare “Le idee per cambiare verso al Partito Democratico e all’Italia”, in vista delle primarie dell’8 dicembre. Il candidato segretario del Pd ha fatto il pienone alla Camera di Commercio di Prato, annunciando la sua linea programmatica: l’abolizione del Senato (dovrebbe diventare una Camera delle Autonomie a costo zero), una nuova legge elettorale (capace di dare governabilità piena). Poi Renzi ha parlato del lavoro e della disoccupazione: “Il diritto del lavoro deve passare a 50-60 articoli chiari da 2.168 attuali (…) il centrosinistra ha perso il rapporto con i lavoratori”. Infine, ha voluto parlare della situazione specifica di Prato: “Siamo per l’integrazione, ma le regole valgono per chiunque, che sia nato a Vaiano o Shangai”. Punto.
Poi capita che la realtà restituisca la verità profonda alle parole, soprattutto alle parole buttate lì, un po’ a cazzo: l’assoluto vuoto pneumatico, teso solo a raccattare qualche voto in più, solleticando gli animi secondo gli schemi dei solidissimi metodi di marketing. Capita, infatti, che a Prato - in una fabbrica tessile gestita da cinesi - si sviluppi un incendio nella parte dello stabile destinata a dormitorio; capita che sette operai ridotti al rango di merce senza diritti perdano la vita e altre tre persone rimangano ustionate gravemente. Capita che la Storia non insegni niente e che (pur con numeri diversi) a distanza di quasi cento anni si sia potuta ripetere l’infame tragedia della Triangle Shirtwaist Company (New York), una fabbrica tessile che produceva le camicette alla moda di quel tempo, le cosiddette shirtwaist, appunto.
Poi capita che Matteo Renzi sia coerente con il suo programma alla voce “lavoro” e, molto probabilmente in ragione di questa coerenza non abbia speso una sola parola sulla tragedia appena compiuta, laddove ha inaugurato la sua prova di forza elettorale alla nuova Ruota della Fortuna. Capita che alla voce “lavoro” si possano leggere delle sciocchezze che neanche un giovane iscritto alla triennale di Scienze Politiche nella prova finale di Diritto del lavoro sarebbe in grado di concepire: “La proposta sul lavoro: I nostri convegni, i nostri discorsi, le nostre mozioni danno spesso grande spazio alla parola “lavoro”. Ci piace discuterne. Ci rassicura sapere che la priorità è il lavoro. Ci emoziona pensare che la Costituzione abbia messo il lavoro al primo posto, in cima agli articoli. Ne parliamo tanto, ma dobbiamo fare di più. Perché il lavoro è considerato un’emergenza solo a parole.”
Capita che le uniche proposte che neanche hanno la buccia di ciò che assomiglia a un’idea per chi – da sinistra - conosce e difende il mondo del lavoro, siano quei vaghi riferimenti al “cambiare i centri per l’impiego”, “rivoluzionare il sistema della formazione professionale” e, infine – questa sì una vera idea di sinistra(?) presa in prestito da quell'ex campione del Pd che si chiama Pietro Ichino – “semplificare le regole del gioco: sono troppe duemila norme, con dodici riviste di diritto del lavoro, con un numero di sindacati e sindacalisti che non ha eguali in nessun paese occidentale. La funzione insostituibile del sindacato va difesa dagli eccessi e garantita attraverso la legge sulla rappresentanza e una rigorosa certificazione dei bilanci di ogni organizzazione sindacale, così come la dignità della politica va difesa dagli sprechi di alcuni politici e della casta”.
Capita che la ciliegina sulla torta sia “à la Obama”, ci mancherebbe..: “Attenzione ai nuovi settori: Internet ha creato 700.000 posti di lavoro negli ultimi 15 anni, ma sembra ancora un settore riservato agli addetti ai lavori”. E, infine, tra vedere e non vedere, capita che si rimandi al prossimo Primo Maggio la presentazione di “un piano per il lavoro per raccontare che idee abbiamo noi del lavoro”. La certificazione del nulla, appunto, neanche della comprensione di ciò che accade a 22.3 km da Palazzo Picchi.
Capita che la zona di Prato sia divisa in due: la vecchia area tessile Made in Italy in crisi e quella tessile cinese, che rappresenta l’area più vivace economicamente e più ampia di economia sommersa e lavoro nero in Italia (e forse in Europa). Il vecchio distretto del tessile italiano è rimasto senza più ossigeno, con una perdita negli ultimi sette anni di 1.400 milioni di euro di fatturato (mille dei quali in esportazioni), ovvero una emorragia secca di 10mila posti di lavoro e 2.000 aziende in meno. L’altro distretto emergente parla hàn yù, ed è organizzato in spazi di produzione ben definiti, come in un puzzle: si produce in via Pistoiese, al Macrolotto, a Tavola, Maliseti, Narnali, Poggio a Caiano: 3.500 aziende di cui 2.400 nel settore delle confezioni e 215 nel tessile (tintorie in capo, stamperie, stirerie, maglierie); 30mila, forse 40mila persone che lavorano a ritmi fuori controllo, giorno e notte, dormendo nei capannoni; due soli gli infortuni sul lavoro denunciati quest’anno, zero iscritti al sindacato, giro d´affari stimato di un miliardo e 800 milioni di euro (di cui si sospetta un miliardo in nero). Insomma, una zona dove gli assenti sono proprio i diritti, ma quelli civili e umani prima che quelli del lavoro.
Capita che tutte le indagini della DIA evidenzino la presenza del racket della criminalità cinese a Prato, e che la vitalità dello spazio economico sommerso sia tale perché il mercato di riferimento del pret-à-porter non sia tanto e solo quello italiano, ma tutta l’Europa. Capita che a Prato l’import di tessuti dalla Cina sia cresciuto del tremila per cento negli ultimi 10 anni e che una rilevazione di Bankitalia dimostri come solo nel primo semestre 2007 si siano registrati 600 milioni di euro in transazioni finanziarie da Prato alla Cina. Capita che questo enorme flusso finanziario, utilizzato per costruire una filiera globale e conquistare gli spazi di mercato europei, non passi attraverso il sistema di intermediazione bancario ma attraverso il money transfert: di fatto, un sistema di credito parallelo.
Capita che dalla Cina arrivino i tessuti grezzi e che a Prato vengano tinti e rifiniti; e capita che il pronto moda abbia tempi strettissimi, dovendo collocare il prodotto in tre settimane. Capita che per ottenere margini di profitto ampi con prezzi concorrenziali (camicie a tre euro, jeans a 7,50, fuseaux a 2,5, vestiti da donna fra 6 e 7) l’imprenditore scelga di negare molti diritti fondamentali al lavoratore, che ci sia molta economia sommersa, economia irregolare, sfruttamento della manodopera clandestina che vive e lavora in laboratori-dormitorio. Capita che il capannone- dormitorio, dove si è consumata questa strage annunciata e prevedibile, fosse costituito da "loculi" sopraelevati, tutti in fila lungo una parete e costruiti in cartongesso o in semplice cartone per dividere i diversi ambienti. I primi sei morti sono stati trovati lì; un altro poco oltre, con un braccio fuori dalla finestra: cercava di uscire ma il suo corpo ha incontrato le sbarre, come nella strage del 1911, alla Triangle Shirtwaist Company di New York.
Capita che Matteo Renzi taccia sulla strage, sulle condizioni di degrado umano in spazi di lavoro raggiungibili dalla sua Firenze in soli 27 minuti, sull’assenza di diritti umani, prima che del lavoro, a Prato e in troppi spazi di questa disgraziata Italia. A me non ha sorpreso questo silenzio, il buio completo in una visione del lavoro che è ancora merce, purtroppo. Non è pregiudizio, il mio. Basta leggere il programma e capire che chi lo ha scritto, quel programma, non ha letto né Marx né Polanyi. Ma per poter vincere, a questo Gioco della Ruota, non ha senso usare idee di sinistra, ha più senso “cambiare verso”, appunto…
Poi capita che la realtà restituisca la verità profonda alle parole, soprattutto alle parole buttate lì, un po’ a cazzo: l’assoluto vuoto pneumatico, teso solo a raccattare qualche voto in più, solleticando gli animi secondo gli schemi dei solidissimi metodi di marketing. Capita, infatti, che a Prato - in una fabbrica tessile gestita da cinesi - si sviluppi un incendio nella parte dello stabile destinata a dormitorio; capita che sette operai ridotti al rango di merce senza diritti perdano la vita e altre tre persone rimangano ustionate gravemente. Capita che la Storia non insegni niente e che (pur con numeri diversi) a distanza di quasi cento anni si sia potuta ripetere l’infame tragedia della Triangle Shirtwaist Company (New York), una fabbrica tessile che produceva le camicette alla moda di quel tempo, le cosiddette shirtwaist, appunto.
Poi capita che Matteo Renzi sia coerente con il suo programma alla voce “lavoro” e, molto probabilmente in ragione di questa coerenza non abbia speso una sola parola sulla tragedia appena compiuta, laddove ha inaugurato la sua prova di forza elettorale alla nuova Ruota della Fortuna. Capita che alla voce “lavoro” si possano leggere delle sciocchezze che neanche un giovane iscritto alla triennale di Scienze Politiche nella prova finale di Diritto del lavoro sarebbe in grado di concepire: “La proposta sul lavoro: I nostri convegni, i nostri discorsi, le nostre mozioni danno spesso grande spazio alla parola “lavoro”. Ci piace discuterne. Ci rassicura sapere che la priorità è il lavoro. Ci emoziona pensare che la Costituzione abbia messo il lavoro al primo posto, in cima agli articoli. Ne parliamo tanto, ma dobbiamo fare di più. Perché il lavoro è considerato un’emergenza solo a parole.”
Capita che le uniche proposte che neanche hanno la buccia di ciò che assomiglia a un’idea per chi – da sinistra - conosce e difende il mondo del lavoro, siano quei vaghi riferimenti al “cambiare i centri per l’impiego”, “rivoluzionare il sistema della formazione professionale” e, infine – questa sì una vera idea di sinistra(?) presa in prestito da quell'ex campione del Pd che si chiama Pietro Ichino – “semplificare le regole del gioco: sono troppe duemila norme, con dodici riviste di diritto del lavoro, con un numero di sindacati e sindacalisti che non ha eguali in nessun paese occidentale. La funzione insostituibile del sindacato va difesa dagli eccessi e garantita attraverso la legge sulla rappresentanza e una rigorosa certificazione dei bilanci di ogni organizzazione sindacale, così come la dignità della politica va difesa dagli sprechi di alcuni politici e della casta”.
Capita che la ciliegina sulla torta sia “à la Obama”, ci mancherebbe..: “Attenzione ai nuovi settori: Internet ha creato 700.000 posti di lavoro negli ultimi 15 anni, ma sembra ancora un settore riservato agli addetti ai lavori”. E, infine, tra vedere e non vedere, capita che si rimandi al prossimo Primo Maggio la presentazione di “un piano per il lavoro per raccontare che idee abbiamo noi del lavoro”. La certificazione del nulla, appunto, neanche della comprensione di ciò che accade a 22.3 km da Palazzo Picchi.
Capita che la zona di Prato sia divisa in due: la vecchia area tessile Made in Italy in crisi e quella tessile cinese, che rappresenta l’area più vivace economicamente e più ampia di economia sommersa e lavoro nero in Italia (e forse in Europa). Il vecchio distretto del tessile italiano è rimasto senza più ossigeno, con una perdita negli ultimi sette anni di 1.400 milioni di euro di fatturato (mille dei quali in esportazioni), ovvero una emorragia secca di 10mila posti di lavoro e 2.000 aziende in meno. L’altro distretto emergente parla hàn yù, ed è organizzato in spazi di produzione ben definiti, come in un puzzle: si produce in via Pistoiese, al Macrolotto, a Tavola, Maliseti, Narnali, Poggio a Caiano: 3.500 aziende di cui 2.400 nel settore delle confezioni e 215 nel tessile (tintorie in capo, stamperie, stirerie, maglierie); 30mila, forse 40mila persone che lavorano a ritmi fuori controllo, giorno e notte, dormendo nei capannoni; due soli gli infortuni sul lavoro denunciati quest’anno, zero iscritti al sindacato, giro d´affari stimato di un miliardo e 800 milioni di euro (di cui si sospetta un miliardo in nero). Insomma, una zona dove gli assenti sono proprio i diritti, ma quelli civili e umani prima che quelli del lavoro.
Capita che tutte le indagini della DIA evidenzino la presenza del racket della criminalità cinese a Prato, e che la vitalità dello spazio economico sommerso sia tale perché il mercato di riferimento del pret-à-porter non sia tanto e solo quello italiano, ma tutta l’Europa. Capita che a Prato l’import di tessuti dalla Cina sia cresciuto del tremila per cento negli ultimi 10 anni e che una rilevazione di Bankitalia dimostri come solo nel primo semestre 2007 si siano registrati 600 milioni di euro in transazioni finanziarie da Prato alla Cina. Capita che questo enorme flusso finanziario, utilizzato per costruire una filiera globale e conquistare gli spazi di mercato europei, non passi attraverso il sistema di intermediazione bancario ma attraverso il money transfert: di fatto, un sistema di credito parallelo.
Capita che dalla Cina arrivino i tessuti grezzi e che a Prato vengano tinti e rifiniti; e capita che il pronto moda abbia tempi strettissimi, dovendo collocare il prodotto in tre settimane. Capita che per ottenere margini di profitto ampi con prezzi concorrenziali (camicie a tre euro, jeans a 7,50, fuseaux a 2,5, vestiti da donna fra 6 e 7) l’imprenditore scelga di negare molti diritti fondamentali al lavoratore, che ci sia molta economia sommersa, economia irregolare, sfruttamento della manodopera clandestina che vive e lavora in laboratori-dormitorio. Capita che il capannone- dormitorio, dove si è consumata questa strage annunciata e prevedibile, fosse costituito da "loculi" sopraelevati, tutti in fila lungo una parete e costruiti in cartongesso o in semplice cartone per dividere i diversi ambienti. I primi sei morti sono stati trovati lì; un altro poco oltre, con un braccio fuori dalla finestra: cercava di uscire ma il suo corpo ha incontrato le sbarre, come nella strage del 1911, alla Triangle Shirtwaist Company di New York.
Capita che Matteo Renzi taccia sulla strage, sulle condizioni di degrado umano in spazi di lavoro raggiungibili dalla sua Firenze in soli 27 minuti, sull’assenza di diritti umani, prima che del lavoro, a Prato e in troppi spazi di questa disgraziata Italia. A me non ha sorpreso questo silenzio, il buio completo in una visione del lavoro che è ancora merce, purtroppo. Non è pregiudizio, il mio. Basta leggere il programma e capire che chi lo ha scritto, quel programma, non ha letto né Marx né Polanyi. Ma per poter vincere, a questo Gioco della Ruota, non ha senso usare idee di sinistra, ha più senso “cambiare verso”, appunto…