Ci vuole forza per provare a scavare nelle viscere dell’oscurità, in un buio inconsueto, che non ti aspetti. Ci vuole costanza nell’analizzare tutti i segmenti dell’apparente tranquillità, la misurazione naturale di una “normalità” che non ha, invece, sistemi esatti di comparazione. Ci flagelliamo nelle analisi sociologiche, tiriamo fuori dal nostro cilindro il meglio dei nostri studi, delle nostre ipotesi, delle nostre convinzioni, ma non serve assolutamente a niente. Non si può arare a nostro piacimento il terreno dell’incoscienza, delle passioni belle o terribili, delle pulsazioni inconsulte. Così non riusciamo a disegnare nessun tratto reale su quanto sia accaduto, davvero, quella sera, quella maledetta sera in cui un uomo, apparentemente uguale a tanti altri uomini, apparentemente gentile, premuroso, dolce, uno che saluta tutti togliendosi il cappello possa, con la stessa illogica “tranquillità”, assoldare una prostituta, seviziarla, ucciderla e tornare tranquillamente a casa. Dovremmo provare a trovare le parole, tentare di ricucire vestiti che non hanno orli, non hanno tasche, non hanno appigli. Ci vuole forza per definire il male, per riuscire a riconoscerlo. Ci vuole vigliaccheria ad essere il mostro della porta accanto, a tagliuzzare la memoria, le parole, a distruggere una vita e fuggire nel nero forte dell’oblìo. Ci vuole coraggio a osservare l’orizzonte con gli occhi verso i piedi e non dire nulla. Solo “ mi dispiace”. Ci vuole molta forza per raccogliere tutti i cassetti scompigliati di quest’uomo solitario e debole che ha varcato il buio della coscienza. Adesso è solo, davanti ad una porta terribilmente chiusa, profondamente chiusa, giustamente chiusa. Eppure dentro quel sottile angolo acuto dove i suoi delitti sono stati cacciati, ci sarà pure un modo per provare ad esplorare, capire e definire nuovi assetti affinché non si debba avere più paura della porta accanto.