Anche gli avversari sono elettori, è bene ricordarlo. E magari si trovano avversari curiosi che si prendono la briga di capire i contorni e la sostanza delle idee che compongono il panorama delle proposte elettorali delle parti avverse. Avverse, non nemiche, anche questo è bene ricordarlo.
Sulla presenza/assenza di determinati argomenti, la loro definizione e messa a fuoco, le strade ( o i sentieri) che si vogliono percorrere per porre rimedio a ciò che si reputa ingiusto, diseguale, antieconomico, antisociale o quant'altro.. si gioca il succo del confronto tra schieramenti politici, ed è giusto che sia così. Uno di questi argomenti che reputo di enorme importanza per la nostra Isola è il lavoro, la sua assenza o - al meno peggio - la sua invisibilità (lavoro nero) o precarietà.
Questo del LAVORO è IL PRIMO E PIU 'IMPORTANTE TEMA da affrontare, a mio modo di vedere, in questa contesa elettorale. C'è chi lo fa e chi no, Peppedda no.
Perché non lo faccia non ne ho idea. Forse non ne ha le competenze; forse non le interessa quanto il cibo e la cultura: ma per mangiare bisogna avere danari guadagnati e non solo regalati; e lo stesso discorso si pone per i libri, il cinema, il teatro e tutta la cultura usufruita (oltre quella prodotta...): i soldi si guadagnano lavorando ed è proprio ciò che manca qui, da noi, il lavoro.
Peppedda non lo sa, ma il confronto con le 270 regioni europee continua a confermare quanto siamo diventati periferici in Europa, quanto è profonda la distanza che la Sardegna ha rispetto alle regioni più attrezzate e solide nel proprio sistema economico.
Peppedda non lo sa, ma la debolezza del nostro mercato del lavoro sta nella debolezza dell’occupazione, e questa pasta di fragilità ha diverse componenti: lo scarsissimo capitale umano (che non va confuso banalmente con il livello di istruzione raggiunto) della popolazione attiva; la scarsità dei numeri che stanno dietro la categoria “occupati” e l’enormità dei numeri – invero – che sta dietro le categorie “inoccupati e disoccupati”; la radicata e ormai estesissima instabilità e precarietà dell’occupazione, che ha oramai dovuto gettare via la maschera colorata e “indolore” della flessibilità, troppo e male velocemente costruita da una classe politica auto-ingannata dalle sirene di certa neoliberal economy.
Peppedda non lo sa, ma l’occupazione è debole perché “solo una parte della popolazione adulta ha un lavoro e un reddito (e avrà una pensione), mentre l’altra è costretta a restare senza lavoro e senza reddito e si sostiene attraverso le solidarietà familiari e i trasferimenti pubblici”.
Peppedda non lo sa ma l’occupazione è debole perché esclude giovani e donne e, soprattutto, perché in Sardegna il ¾ della disoccupazione è adulta (sopra i 25 anni) e ¼ è giovanile: sono i giovani di ieri, quelli che hanno speso un lunghissimo periodo come disoccupati di lungo periodo, quelli che sono faticosamente riusciti ad entrare nel mercato del lavoro attraverso contatti informali e non passando per quelli formali e istituzionali (e deboli anch’essi) dei Centri per l’impiego, quelli che sono riusciti a strappare con i denti contratti instabili e precari. Insomma, sono queste figure – ormai “adulte a metà” – ad essere quantitativamente (e qualitativamente, visti i diversi livelli di responsabilità personale che l’età comporta) ad essere quelli maggiormente colpiti dalla situazione di forte debolezza
del mercato del lavoro.
Peppedda non lo sa ma nella nostra Isola l’occupazione è debole perché sono assenti quei fattori di sistema come il capitale umano, il capitale sociale, il sistema del credito ma, soprattutto, perché debole è la Domanda, deboli sono gli imprenditori.
Peppedda questo lo sa, ma le piace (e questo è un serio problema quando si disegnano le politiche economiche), noi abbiamo un capitalismo diffuso, famigliare e molecolare, che difficilmente riesce a stare al passo con le politiche e i regolamenti, i parametri e i modelli europei; un capitalismo fatto di “nani”, incurante dell’importanza dei processi di innovazione e di internazionalizzazione. Ecco cosa siamo: un sistema economico attivato da imprese nane, visto che il 93% delle nostre realtà produttive (oltre 4 milioni e mezzo) hanno meno di 10 addetti, occupano il 40% degli addetti (oltre 17 milioni) e hanno un fatturato annuale inferiore o pari a 2 milioni di euro.
Se guardiamo al Sud e all’Isola, notiamo che la dimensione delle imprese è pari a 3 addetti per impresa; la popolazione di imprese delle regioni del Mezzogiorno è la più instabile, essendo caratterizzata dai valori più alti di natalità e mortalità, quindi del turnover lordo dovuti anche alla maggiore polverizzazione del sistema produttivo meridionale e alla specializzazione relativa nel segmento delle microimprese operanti nei servizi: in Sardegna si registrano valori del tasso di sopravvivenza a 5 anni inferiori al 50% (quindi meno di un’impresa su due).
Peppedda non lo sa, ma per la nostra povera Sardegna, essere piccoli imprenditori non è affatto indicatore di buona salute, quanto piuttosto presagio di sciagura e, soprattutto, disastro per ciò che riguarda le conseguenze sulla debolezza (nelle sue diverse declinazioni) di chi il lavoro lo fornisce, il nostro occupato, instabile, precario e poco numeroso e, troppo poco spesso, donna.