Roberto Bolognesi è da diverso tempo impegnato in una importante battaglia politico-culturale: cercare di far aprire gli occhi alle persone con specifiche responsabilità istituzionali (ma non solo) sulla drammatica condizione del capitale umano dei nostri giovani e sulle cause di questo disastro. Seguendo diverse strade si sono messi, ad esempio, in relazione i forti tassi di abbandono e ritardo scolastico con le competenze linguistiche e, in particolare, con l'utilizzo (scarso e maldestro) del sardo. L’italianizzazione della Sardegna – secondo Roberto – "ha comportato un grave impoverimento linguistico. Solo una ristretta élite padroneggia, in Italia, la lingua ai livelli in cui un contadino sardo padroneggiava la propria."
Ora, le mie competenze non sono quelle di Roberto, ma il tema delle conseguenze sociali, politiche ed economiche dell'enorme difficoltà che lo scarso capitale umano dei nostri giovani sta dimostrando da diversi decenni mi interessa parecchio. E penso che dovrebbe interessare anche chi - in questa contingenza elettorale - sta costruendo i programmi e, soprattutto, le strategie di "cattura del voto", anzi, "dei voti".
Già, perché, come ci ricorda Pasquino, il voto può essere declinato anche in ragione del "moto di origine", dell'universo alquanto differenziato di motivazioni che spingono la mano a porre la X in un quadrato piuttosto che in un altro.
Esiste, ad esempio il voto di appartenenza. Questo voto era molto più frequente nel passato della I Repubblica e aveva come contenuto la testimonianza di un'appartenenza, ovvero l'affermazione di una identificazione soggettiva con una forza politica che si riteneva potesse avere col proprio gruppo sociale un rapporto di identificazione organica, piuttosto che di banale ed epidermica rappresentanza istituzionale.
Poi esiste il voto di opinione. Questo voto ha come contenuto l‟espressione di una scelta che accetta come campo della opzionalità i contenuti dei programmi proposti dai partiti in lizza. La scelta di questo voto è orientata a rendere possibili politiche a favore di interessi Collettivi di gruppo, di classe o dell‟intera società.
Infine, esiste il voto di scambio. In questo caso si instaura una sorta di contratto tra votante e votato: l‟opzione elettorale è espressa in cambio di una controprestazione ben definita e particolaristica, che può assumere il carattere di un beneficio immediato e concreto per l‟elettore, la sua cerchia familiare o di parentela.
Il voto di opinione apparteneva alle classi medio-superiori, e gruppi più istruiti e informati; il voto di appartenenza ai ceti popolari e aree sub-culturali cattoliche e socialiste; il voto di scambio alle aree sociali periferiche rispetto al sistema politico, soprattutto al Sud, dove il capitale sociale era (è) scarso, scarne erano(sono) le possibilità di costruire castelli autonomi di critica del quotidiano e autonome e libere scelte in campo politico (e no solo).
In passato la mobilità elettorale era molto limitata per il voto di appartenenza e molto superiore per il voto di opinione; mentre il voto di scambio, in caso di delusione per le prestazioni ottenute, poteva cambiare senza difficoltà, trasformarsi a volte, in “quella sottospecie del voto di opinione che è il voto di protesta” . Oggi no, non è più così.
Non è più così anche perché le ideologie si sono sciolte come neve al sole, la crisi economica ha ferito transversamente la società (ma qualche gruppo sociale più di altri), si sono ristretti i numeri e i perimetri delle basi sociali e territoriali di riferimento. La crisi economica ha modificato radicalmente queste basi sociali: il ceto medio si è ristretto in modo rapido e importante, andando ad allargare quella che sta ormai diventando un'enorme periferia sociale, fatta di precarietà nel mercato del lavoro, assenza di diritti sociali, presenza di maggiore vulnerabilità e povertà.
Un gruppo sociale che, con molta fatica, mette insieme quotidianamente il pranzo con la cena ha serie difficoltà a comprarsi (e leggere) dei libri, a frequentare regolarmente la scuola e farla frequentare regolarmente ai propri figli, a vivere contesti di socialità che possano arricchire le autonome possibilità di lettura e di scelta nella costruzione della propria biografia personale. Un gruppo sociale che può anche portare a casa un po' di pane e di carne, ma poi non può cucinarla perché non ha la bombola per il gas, perché non se la può permettere.
Allora, se è vero che a volte (e sempre più spesso) la priorità per troppi di noi cittadini è la bombola, è anche vero che il problema della comunicazione con questa enorme fetta sociale chi fa la campagna elettorale nello schieramento di centrosinistra se lo deve porre, "de pressi"... (trad.: in modo urgente e centrale). Come si parla ad un gruppo sociale che non ha i soldi per la bombola? Quali argomenti scegliere, quali stili comunicativi, quali territori di incontro? Quale lingua scegliere? Perché non anche il sardo?
Ora, le mie competenze non sono quelle di Roberto, ma il tema delle conseguenze sociali, politiche ed economiche dell'enorme difficoltà che lo scarso capitale umano dei nostri giovani sta dimostrando da diversi decenni mi interessa parecchio. E penso che dovrebbe interessare anche chi - in questa contingenza elettorale - sta costruendo i programmi e, soprattutto, le strategie di "cattura del voto", anzi, "dei voti".
Già, perché, come ci ricorda Pasquino, il voto può essere declinato anche in ragione del "moto di origine", dell'universo alquanto differenziato di motivazioni che spingono la mano a porre la X in un quadrato piuttosto che in un altro.
Esiste, ad esempio il voto di appartenenza. Questo voto era molto più frequente nel passato della I Repubblica e aveva come contenuto la testimonianza di un'appartenenza, ovvero l'affermazione di una identificazione soggettiva con una forza politica che si riteneva potesse avere col proprio gruppo sociale un rapporto di identificazione organica, piuttosto che di banale ed epidermica rappresentanza istituzionale.
Poi esiste il voto di opinione. Questo voto ha come contenuto l‟espressione di una scelta che accetta come campo della opzionalità i contenuti dei programmi proposti dai partiti in lizza. La scelta di questo voto è orientata a rendere possibili politiche a favore di interessi Collettivi di gruppo, di classe o dell‟intera società.
Infine, esiste il voto di scambio. In questo caso si instaura una sorta di contratto tra votante e votato: l‟opzione elettorale è espressa in cambio di una controprestazione ben definita e particolaristica, che può assumere il carattere di un beneficio immediato e concreto per l‟elettore, la sua cerchia familiare o di parentela.
Il voto di opinione apparteneva alle classi medio-superiori, e gruppi più istruiti e informati; il voto di appartenenza ai ceti popolari e aree sub-culturali cattoliche e socialiste; il voto di scambio alle aree sociali periferiche rispetto al sistema politico, soprattutto al Sud, dove il capitale sociale era (è) scarso, scarne erano(sono) le possibilità di costruire castelli autonomi di critica del quotidiano e autonome e libere scelte in campo politico (e no solo).
In passato la mobilità elettorale era molto limitata per il voto di appartenenza e molto superiore per il voto di opinione; mentre il voto di scambio, in caso di delusione per le prestazioni ottenute, poteva cambiare senza difficoltà, trasformarsi a volte, in “quella sottospecie del voto di opinione che è il voto di protesta” . Oggi no, non è più così.
Non è più così anche perché le ideologie si sono sciolte come neve al sole, la crisi economica ha ferito transversamente la società (ma qualche gruppo sociale più di altri), si sono ristretti i numeri e i perimetri delle basi sociali e territoriali di riferimento. La crisi economica ha modificato radicalmente queste basi sociali: il ceto medio si è ristretto in modo rapido e importante, andando ad allargare quella che sta ormai diventando un'enorme periferia sociale, fatta di precarietà nel mercato del lavoro, assenza di diritti sociali, presenza di maggiore vulnerabilità e povertà.
Un gruppo sociale che, con molta fatica, mette insieme quotidianamente il pranzo con la cena ha serie difficoltà a comprarsi (e leggere) dei libri, a frequentare regolarmente la scuola e farla frequentare regolarmente ai propri figli, a vivere contesti di socialità che possano arricchire le autonome possibilità di lettura e di scelta nella costruzione della propria biografia personale. Un gruppo sociale che può anche portare a casa un po' di pane e di carne, ma poi non può cucinarla perché non ha la bombola per il gas, perché non se la può permettere.
Allora, se è vero che a volte (e sempre più spesso) la priorità per troppi di noi cittadini è la bombola, è anche vero che il problema della comunicazione con questa enorme fetta sociale chi fa la campagna elettorale nello schieramento di centrosinistra se lo deve porre, "de pressi"... (trad.: in modo urgente e centrale). Come si parla ad un gruppo sociale che non ha i soldi per la bombola? Quali argomenti scegliere, quali stili comunicativi, quali territori di incontro? Quale lingua scegliere? Perché non anche il sardo?