Da alcuni anni, all’inizio della primavera, percorrendo la Sardegna, è possibile notare al bordo delle strade uno strano fenomeno. L’erba assume un indefinibile colore giallastro e finisce per seccarsi.
E’ l’effetto del glifosate, un potente diserbante che riesce a interrompere le funzioni vitali delle piante fino alle radici. Sostanza chimica che viene immessa dall’ANAS per ragioni legate alla sicurezza e come obbligo derivante dall’Ordinanza Antincendi, che obbliga gli enti gestori delle strade a ripulirle dalle piante infestanti per ridurre il rischio di eventuali incendi.
Nonostante le proteste dei cittadini, tale pratica prosegue, anche per via della carenza di risorse causate dalla taglio della spesa, che vede gli enti pubblici cercare di risparmiare il più possibile sui costi.
Non è bello vedere la morte vegetale sul ciglio delle strade. Ma quello che si vede, in realtà, non è che la punta di un iceberg, se paragonato alle sostanze chimiche che l’uomo utilizza, ormai da anni, nell’agricoltura.
Il glifosate, che noi vediamo distruggere ogni forma di vita ai bordi delle nostre strade, non è altro che la metafora più tangibile di una armonia tra uomo e natura che si è interrotta.
L’uomo si è sputato fuori dal ciclo naturale delle cose, accumulando disgrazie.
Nell’era dei cacciatori raccoglitori, la natura era talmente sterminata che l’uomo prelevava quello che gli serviva senza intaccare la risorsa ed anzi, spesso, formando nuovi equilibri stabili con il mondo delle cose naturali.
Successivamente alla rivoluzione neolitica, con la nascita dell’agricoltura, l’uomo ha imparato a trasformare la terra ricavandone risorse a proprio consumo, ma riproducendo, quasi imitando la natura, quella forma ciclica che ne garantiva un certo equilibrio. La rotazione agraria tra cereali e leguminose, con il concime naturale offerto dal pascolo, e la raccolta dei rifiuti organici, ivi comprese le deiezioni umane delle città, ha garantito per secoli una certa “chiusura del cerchio”, per utilizzare la fortunata espressione di un padre dell’ecologia moderna, Barry Commoner, con una limitata dispersione entropica.
Con la rivoluzione industriale, e con l’economia di mercato, cambiò la percezione stessa che gli uomini avevano della natura. Una strana frenesia colpì l’animo umano, per cui incominciò ad avere senso solo la crescita continua, l’accumulo di risorse materiali, la capacità di spendere denaro.
Sopra ogni cosa, sopra ogni valore.
Teorie economiche, tecniche e filosofiche iniziarono a concepire la natura come una semplice esternalità slegata dal destino degli uomini. L’agricoltura tecnocrate e razionalista considerò la terra come un semplice supporto da arricchire con sostanze esterne. Ecco allora arrivare l’azoto e altre sostanze chimiche che aumentarono la produzione ma che rendevano il campo agrario sempre più squilibrato e debole, vulnerabile agli attacchi parassitari e alle erbe infestanti. Un nuovo circolo, stavolta vizioso, si insinuava nella catena alimentare degli uomini, tutta incentrata sulla quantità del prodotto. Pesticidi, diserbanti e fertilizzanti chimici di produzione industriale diventarono protagonisti dell’alimentazione umana.
Il veleno, silenzioso è invisibile, entrò così nelle nostre case, nei nostri piatti.
Valga, tra le altre statistiche recenti, sapere che una malattia degerativa e incurabile come la SLA, colpisce principalmente due professioni continuamente a contatto con le sostanze chimiche dei campi: i calciatori e gli agricoltori.
La coscienza civile cresce e noi, oggi, con la raccolta differenziata, contribuiamo a chiudere un po’ quel cerchio che l’uomo, da qualche tempo a questa parte, aveva spezzato, fornendo concime all’agricoltura che altrimenti andrebbe sprecato. Nel frattempo l’agricoltura biologica prende piede in un sempre maggior numero di acquirenti disposti anche a spendere qualche cosa in più, all’occorrenza. La cifra culturale del mondo moderno, infatti, è l’eccessivo valore attribuito al denaro.. Ma questa visione, con il tempo, sta cedendo il passo a una nuova consapevolezza civile, che da valore anche ai beni immateriali, alla ricchezza umana, alla qualità della vita, alla salute. Almeno lo spero.
Arriverà un bel giorno in cui nessun glifosate verrà sparso più per le strade e neppure entrerà silenzioso e velenoso nei nostri piatti.