[…] E poi volevamo dire al prof. Xxxxxxxx che dovrebbe avrebbe un po’ di polso con noi, perché non sa tenere la classe e durante le sue ore c’è sempre un casino incredibile. Eh prof., non me ne voglia, ma sto solo riportando ciò che pensano tutti i compagni, magari perde le staffe e mette una nota sul registro a chi, proprio in quel momento, non sta facendo nulla!”
Stava lì, insieme all’altra rappresentante degli alunni, attorniata da tutti i docenti del consiglio di classe e faceva segni con le braccia, con le mani, gesti e smorfie di ogni tipo.
E infieriva.
Tirava indietro una ciocca di capelli e allungava un’altra stilettata. Un po’ imbarazzata, ma sottilmente tronfia di quel ruolo da portavoce che le permetteva di accanirsi contro chicchessia sbandierando il vessillo della voce corale.
Un paravento dietro cui nascondersi dopo aver vomitato le sue sentenze.
Noi docenti ci siamo scambiati un paio di occhiate, perplessi e anche un po’ increduli. Lui, il prof. Xxxxxxx, visibilmente imbarazzato, ha cominciato a frugare con una certa sollecitudine nella sua cartella stipata di compiti, poi ha alzato lo sguardo blandamente meravigliato e ha risposto:
- No, siete voi che mi provocate. -
Io mi rendevo conto che stavo affumicando dentro, mi sentivo incendiare come una foresta prima di un incendio.
Avrei voluto sbottare e dirne di tutti i colori.
E invece sono rimasta in silenzio, a contenere la mia rabbia, a cercare di posticiparne l’eruzione.
Sono rimasta lì, ferma e zitta come la mia sedia.
A provare un’infinita tenerezza per quell’uomo, ormai sessantenne, sgridato dai suoi alunni. Che sentiva il suo fallimento professionale scandito a chiare lettere dalle due studentesse.
Oggi dovrei spiegare la caduta dell’Impero romano d’Occidente – ho detto stamattina varcando la soglia dell’aula – ma credo ci sia qualcosa di più urgente di cui parlare!
E loro, che scemi non sono, l’hanno fiutata immediatamente la puzza di bruciato.
Quella dell’incendio che divampava in consiglio di classe.
Ho iniziato la mia filippica che, in oltre un’ora di monologo, ha toccato numerose volte vertici di pathos ed altrettanto numerosi vertici di paternalismo.
Momenti di invettiva feroce si sono alternati ad istanti di benevolenza, fino a quando ho visto un alunno che ha tolto gli occhiali ed iniziato a stropicciare gli occhi.
Solo dopo qualche secondo mi sono resa conto che asciugava le lacrime.
Il suono della campana ha posto fine al mio discorso, ma ormai ero agli sgoccioli.
Quel segnale che per qualche secondo ha fatto da colonna sonora, è stato una benedizione: mi ero ormai resa conto che la spia della riserva s’era accesa.
Quella delle parole e quella dell’energia.
- Visto che nella lezione di oggi avrei dovuto spiegare la caduta dell’Impero romano ma il tempo l’ho utilizzato per farvi riflettere su un problema che avete creato voi, quel capitolo lo studiate ugualmente per domani. E interrogo! –
ho detto prima di uscire dall’aula.
Un’affermazione rigorosa che non contemplava repliche, dura e violenta come un sasso scagliato contro una bottiglia.
Poi sono tornata indietro:
- Questo vi autorizza a dire, al prossimo consiglio di classe, che se il prof. Xxxxxx è troppo morbido la professoressa Fiore è un po’ stronza. In compenso! –
E ho richiuso la porta alle mie spalle.
Stava lì, insieme all’altra rappresentante degli alunni, attorniata da tutti i docenti del consiglio di classe e faceva segni con le braccia, con le mani, gesti e smorfie di ogni tipo.
E infieriva.
Tirava indietro una ciocca di capelli e allungava un’altra stilettata. Un po’ imbarazzata, ma sottilmente tronfia di quel ruolo da portavoce che le permetteva di accanirsi contro chicchessia sbandierando il vessillo della voce corale.
Un paravento dietro cui nascondersi dopo aver vomitato le sue sentenze.
Noi docenti ci siamo scambiati un paio di occhiate, perplessi e anche un po’ increduli. Lui, il prof. Xxxxxxx, visibilmente imbarazzato, ha cominciato a frugare con una certa sollecitudine nella sua cartella stipata di compiti, poi ha alzato lo sguardo blandamente meravigliato e ha risposto:
- No, siete voi che mi provocate. -
Io mi rendevo conto che stavo affumicando dentro, mi sentivo incendiare come una foresta prima di un incendio.
Avrei voluto sbottare e dirne di tutti i colori.
E invece sono rimasta in silenzio, a contenere la mia rabbia, a cercare di posticiparne l’eruzione.
Sono rimasta lì, ferma e zitta come la mia sedia.
A provare un’infinita tenerezza per quell’uomo, ormai sessantenne, sgridato dai suoi alunni. Che sentiva il suo fallimento professionale scandito a chiare lettere dalle due studentesse.
Oggi dovrei spiegare la caduta dell’Impero romano d’Occidente – ho detto stamattina varcando la soglia dell’aula – ma credo ci sia qualcosa di più urgente di cui parlare!
E loro, che scemi non sono, l’hanno fiutata immediatamente la puzza di bruciato.
Quella dell’incendio che divampava in consiglio di classe.
Ho iniziato la mia filippica che, in oltre un’ora di monologo, ha toccato numerose volte vertici di pathos ed altrettanto numerosi vertici di paternalismo.
Momenti di invettiva feroce si sono alternati ad istanti di benevolenza, fino a quando ho visto un alunno che ha tolto gli occhiali ed iniziato a stropicciare gli occhi.
Solo dopo qualche secondo mi sono resa conto che asciugava le lacrime.
Il suono della campana ha posto fine al mio discorso, ma ormai ero agli sgoccioli.
Quel segnale che per qualche secondo ha fatto da colonna sonora, è stato una benedizione: mi ero ormai resa conto che la spia della riserva s’era accesa.
Quella delle parole e quella dell’energia.
- Visto che nella lezione di oggi avrei dovuto spiegare la caduta dell’Impero romano ma il tempo l’ho utilizzato per farvi riflettere su un problema che avete creato voi, quel capitolo lo studiate ugualmente per domani. E interrogo! –
ho detto prima di uscire dall’aula.
Un’affermazione rigorosa che non contemplava repliche, dura e violenta come un sasso scagliato contro una bottiglia.
Poi sono tornata indietro:
- Questo vi autorizza a dire, al prossimo consiglio di classe, che se il prof. Xxxxxx è troppo morbido la professoressa Fiore è un po’ stronza. In compenso! –
E ho richiuso la porta alle mie spalle.