l’orecchino del duca (omaggio a Fabrizio De André e via del campo)
25 ottobre 2013 alle ore 20.50
Ecco il testo integrale del racconto che ha aperto, stasera, il festival in giallo. Ringrazio gli organizzatori, il sindaco Giovanna Sanna, Flavio Soriga e tutti quelli che son venuti ad ascoltare. Il sottofondo del racconto era Echoes, dei Pink Floyd. provate a farlo girare e leggetevelo con tranquillità. Claudio Marceddu è tornato a fare il giudice. Con l’esperienza del passato. Buona lettura a tutti.
L’orecchino del duca.
Un paese si misura dalla posizione della caserma dei carabinieri. E dall’autorevolezza del maresciallo. Quando Marceddu abbassò il telefono e ricercò la camicia per vestirsi velocemente, capì da subito che la situazione era complicata. In quel paese non c’erano carabinieri non c’era neppure un maresciallo. Da tempo immemorabile a Florinas la benemerita non aveva una caserma. Quella più vicina era a Codrongianus. E se i carabinieri avevano deciso di non costituire un loro nucleo, una ragione ci doveva pur essere. O Florinas era una sorta di piccola Scampia o non succedeva assolutamente niente. Non era stata la spending rewiew, nuova locuzione per giustificare tutto quello che sparisce misteriosamente in questo Stato. No, a Florinas la caserma non c’era dal dopoguerra, perché era un paese dove, davvero, non accadeva più niente, dai tempi del bandito Tolu, morto nel 1898. Qualche furto, qualche rissa,scaramucce di paesani. Florinas era un paese in cui non poteva succedere niente. Figuriamoci una settimana prima del festival del giallo.
Claudio Marceddu, ancora assonnato e con un caffè senza zucchero gettato alla rinfusa, con i suoi jeans d’ordinanza e i pensieri pasticciati, scese per strada a cercare la sua renault 4 rossa per giungere, da Alghero, in questo paese dove neppure il vento riusciva a muovere la polvere di silicio. Tutto appariva depositato nella tranquillità dei luoghi.
Trovò davanti alla chiesa di San Francesco il buon Milesu che, probabilmente, lo attendeva da almeno mezz’ora. Lo si capiva dallo sguardo piuttosto contrito e poco disposto al dialogo.
“Omicidio. Almeno così dice il medico legale, il Dr. Alvau”.
“Abbiamo identificato la vittima?” Chiese Marceddu guardandosi intorno ad una piazza assonnata e colorata da un autunno dolcissimo.
“Maria Nulvesu, quarantadue anni, precedenti per spaccio.Qualche giorno a San Sebastiano e a Marassi nel 1990.”
“E cosa c’entra con Florinas?”
“Ecco, questo è il problema” disse Milesu. “Apparentementenon c’entra niente ma ci sono due elementi che lasciano perplessi”.
Mentre parlavano s’incamminarono verso la cava di silicio vicino a S.Antonio di Bore dove era stata ritrovata la salma che attendeva l’arrivo di Marceddu, del magistrato di turno, per la rimozione.
“Maria Nulvesu aveva tra i parenti Maria Caterina Aymerich, appartenente ad una vecchia famiglia di Florinas, in contrasto nel 1800 con gli Archer per la dominazione del paese e, soprattutto per i terreni di silicio”.
“E il secondo elemento?” chiese Marceddu, con qualche goccia di perplessità, sedendosi sulla Punto nera di ordinanza guidata dall’ispettoreMilesu.
“Una lettera trovata vicino al cadavere”.
“Una lettera?”
“Si. Probabilmente scritta dall’assassino per depistare”.
Marceddu osservò il panorama e si convinse che questo autunno regalava colori davvero indescrivibili e la Sardegna pareva avvolta da contorni densi e avvolgenti. Doveva fare un giro in barca nella sua Alghero stamattina. Il mare pareva dipinto e l’orizzonte limpido e forte. Si trovava invece con un cadavere in un luogo dove, al massimo, si registrava qualche furto di bestiame.
Arrivarono che il medico era già andato via. Intorno al cadavere erano già giunti i poliziotti della scientifica che setacciavano il luogo. Marceddu osservò il cadavere. Notò che era completamente vestita e probabilmente non vi era stata violenza prima dell’omicidio. Il collo era cianotico. L’unica e terribile atto di violenza nei confronti della donna. Sicuramente strangolamento pensò.
“Dottore”, disse un ragazzo della scientifica, “stiamo setacciando il terreno. Abbiamo la quasi certezza che il cadavere sia stato trasportato con un auto. La donna, probabilmente è stata uccisa da un’altra parte”.
Marceddu ascoltò in silenzio osservando il luogo del delitto. Una cava di silicio anonima, molto luminosa ed in assoluto contrasto con il paesaggio campestre che girava intorno. Autorizzò la rimozione del cadavere e con Milesu si spostò appena più lontano. Camminava con le mani in tasca Claudio Marceddu. Era un gesto che faceva sempre quando doveva riflettere, comprendere tutti i passaggi. Questa storia non gli piaceva. Lo aveva capito fin da subito. C’era qualcosa di strano. Di anormale, di inusuale,qualcosa che non riusciva a cogliere. Questa donna poco c’entrava con il territorio e la parentela con gli Aymerich solo una casualità.
“E la lettera?” chiese a Milesu.
“Eccola”, rispose l’ispettore porgendogli una busta gialla dove all’interno c’era un biglietto che Claudio Marceddu lesse con attenzione. Poi, ripose il foglietto nella busta e la riconsegnò a Milesu.
Non disse niente. Si rimise le mani in tasca e aggiunse solo un laconico “Andiamo”.
In uno dei bar di paese c’era già una discreta folla che parlottava squadrando la punto nera dell’ispettore Milesu che, nel mentre, si era parcheggiata quasi davanti. Marceddu scese e si infilò nel bar osservato dagli sguardi muti dei paesani. Al suo interno Pier Antonio Pili, giornalista di nera della Nuova Sardegna impegnato con un sorriso beffardo ad interrogare gli astanti. Si salutarono con circostanza e con il dito Marceddu fece comprendere che non avrebbe lasciato nessuna dichiarazione. “Massimo riserbo”,disse il giornalista. “Non amo le frasi fatte”, rispose Marceddu. “ e non amo le conclusioni affrettate”, rispose Marceddu. Pili smorzò il suo sorriso sarcastico e continuò a chiedere informazioni nella segreta speranza che dietro quel delitto ci fosse qualcosa di “passionale”, piccante, qualcosa insomma da raccontare per l’articolo del giorno successivo che si annunciava come la notizia da prima pagina della Nuova Sardegna.
Milesu e Marceddu dopo un caffè velocissimo uscirono e decisero di attendere il Maresciallo dei Carabinieri di Codrongianus davantialla Chiesa di San Francesco.
“E’ una bella giornata”, disse Marceddu “andiamo a raccogliere questo sole di ottobre”.
Stettero per qualche in minuto in silenzio poi Marceddu togliendosi le mani da tasca cominciò a parlare con voce ferma, chiara, senza tentennamenti.
“La lettera è, come dice lei un depistaggio. D’altronde non si scomoda una canzone di De Andrè per un delitto orrendo”.
“in che senso?” chiese Milesu.
“la frase finale della Città vecchia: dai diamanti non nasce niente….”
“…e dal letame nascono i fior”, aggiunse subito Milesu,facendo intendere di conoscere benissimo la canzone.
“Già,” riprese Marceddu “e il fiore non c’entra niente con Florinas”.
“E perché?” chiese Milesu
“L’etimologia del nome Florinas per quanto ne so, è legato soprattutto al toponimo Figulinas, che si riferisce alla presenza del materiale per la produzione e lavorazione della ceramica.
“Quindi i fiori li lasciamo perdere?”
“Si, disse Marceddu. Concentriamoci sul letame. E sui diamanti”.
Il maresciallo Pistis arrivò trafelato e, salutando militarmente, si scusò subito con il magistrato. “Mi scusi dottore, ero impegnato in un’altra operazione a Codrongianus”.
“Capisco” rispose Marceddu. “Lei ha altre novità?”
“Nessuna, rispose il maresciallo. Sono costernato. Un delitto in un paese dove non succede mai niente. E poi, a ridosso del festival del giallo”.
Era un’altra notizia. Dal 25 al 27 ottobre si sarebbe svolta, a Florinas, la quarta edizione del festival del giallo. Trovarsi davanti un morto, per di più una donna, in una edizione dove si sarebbe discusso di femminicidio era sicuramente una complicazione in più. Ecco perché la nuova aveva spedito il buon Pili. Ci avrebbe ricamato senz’altro. Non avendo una caserma dove poter fare il punto il maresciallo propose di recarsi al comune per salutare il sindaco e per analizzare meglio la situazione. Il sindaco pareva piuttosto agitata, Florinas non era abituata a discutere di omicidi se non quasi per gioco, all’interno di un festival.
Claudio Marceddu osservava il primo cittadino e la rassicurò. “Professoressa, non si preoccupi, troveremo la soluzione prima del 25 ottobre”.
“Me lo auguro”, rispose il sindaco facendoli accomodare in una stanza e lasciandoli alle loro indagini.
Il telefono vibrò nella tasca dei jeans di Marceddu. Il magistrato ascoltò in silenzio mentre il maresciallo e l’ispettore tentavano di capire se la telefonata avesse un nesso con l’omicidio.
“Bene, disse Marceddu, riponendo il cellulare in tasca.“Abbiamo una pista. E’ stato trovato, vicino alla vittima, un orecchino con un pendente di corallo a forma di faro, molto singolare, opera, sicuramente di un artigiano.”
“Una donna che uccide un’altra donna?” disse il Maresciallo allarmato.
“Gli orecchini li usano un po’ tutti,” aggiunse Marceddu,“non precipitiamo”. Ho però la sensazione che questo orecchino ci porti alla soluzione del giallo.
“E la lettera?” chiese Milesu.
“La lettera? Bella domanda. Lo chiederò all’assassino.”
Tutti si guardarono negli occhi e nessuno chiese niente. Marceddu salutò stringendo la mano a Milesu e al Maresciallo Pistis.
"Ci vediamo domani, in Procura, in tarda mattinata” disse infilandosi nella sua Renault 4.
Il nuovo carcere di Bancali sorgeva su un promontorio desolato, una landa dimenticata, dove il giallo era ancora l’unico colore di contorno. Marceddu, da buon romantico, non era d’accordo su quella costruzione, sull’eliminazione del penitenziario dal centro della città. Il vecchio carcere di San Sebastiano, in fondo, lo sentiva sulla sua pelle. Non erano stati risoltii problemi di un penitenziario. Semplicemente spostati più lontano. In una sorta di cono d’ombra tra il silenzio di tutta la città.
Nel nuovo carcere i tempi di attesa si erano dilatati per via della grandezza e lontananza che vi era dalla sala magistrati alle sezioni.
Murru Nicolò, in arte “Il Duca” giunse porgendo un sorriso di circostanza. Si capiva però che non era felicissimo di trovarsi un Pubblico Ministero davanti.
“Dr. Marceddu, lei non è più Magistrato di Sorveglianza e mi meraviglia che la Procura si interessi ancora ad un vecchio galeotto”.
“Se ne occupa da quando il galeotto commette omicidi” disse Marceddu sedendosi.
“Ho un alibi di ferro,” rispose quasi ridendo il Duca. “Per fortuna il carcere, in questo caso mi aiuta”
“Non sempre”, disse Marceddu “e non ho molto tempo. Ho fatto una promessa e intendo mantenerla,” aggiunse tirando fuori la busta di plastica con un orecchino.
“Ti racconto tutto caro Duca e tu non mi interrompere. Poivediamo se la mia storia ti piace.”
Il Duca cominciò ad osservarlo con aria meno distratta, più intensa. Sentiva il rumore di un temporale. Lontano, che si avvicinava.
"Maria Nulvesu viene trovata uccisa a Florinas, un paese dove, di solito, non accade mai niente di trascendentale. Il suo corpo abbandonato nei pressi di una cava di silicio. Accanto vi è una lettera con una frase legata ad una canzone di Fabrizio De Andrè. Dalla frase si intuisce che qualcuno vuole alludere alla parola finale fior con Florinas, quasi a voler suggerire che lei ndagini debbano essere concentrate su qualcuno di Florinas. Ma non è così. Chi ha scritto quella lettera è una persona molto intelligente e furba. Ma commette un errore. Un imperdonabile errore. Nella foga e nella paura di essere visto da qualcuno trasportando il cadavere, ucciso sicuramente da un’altra parte, perde un orecchino. Non è un orecchino qualsiasi. Ma ha un faro stilizzato in corallo e le iniziali MN scritte sul cuore.
Potrebbe essere di Maria Nulvesu. Le iniziali sono le sue.
Potrebbe.
Ma la vittima porta entrambi gli orecchini. Magari l’orecchino è caduto dalla borsetta. Ma non c’è nessuna borsetta sul luogo del delitto. Insomma, mi faccio persuaso che il corallo e quello strano orecchino può essere stato costruito su commissione. Sai quale è il tuo problema, Duca?”
Il duca comincia a sentire sempre più forte il rumore sordo dei tuoni. Che si avvicinano.
“Che parli troppo. E sei un inguaribile egocentrico. Su quel faro, che poi è la lanterna di Genova, ci metti leiniziali: Nicolò Murru MN. E’ incredibile ma hai le stesse iniziali dellavittima.
L’orecchino è il tuo. Ma tu, come dicevi in premessa, hai un alibi. Eri in carcere.
Vero a metà.
La sera in cui viene commesso il delitto eri in permesso premio e saresti dovuto rientrare entro le 22.00 a Bancali. Infatti rientri in perfetto orario. Eri anche agli arresti domiciliari e prima di rientrare in carcere dovevi passare per la firma dai carabinieri, quelli di Ossi, dove vai in permesso.
Quella sera, quindi dai appuntamento a Maria Nulvesu, la ragazza di un tuo vecchio amico, Tore Birdi, noto Bingolino, che ti deve qualche favore. Probabilmente riesci a convincere Tore per un incontro con la sua ragazza. Provi a promettere nuovi affari, ti stai comportando bene, uscirai fra qualche anno. Tutto può ripartire. La Nulvesu si fida di te, è stata anche la tua donna. Erano altri tempi. Tempi lontani. Vi eravate conosciuti quando lei era una tossicodipendente a Genova. Lo so perché l’arrestano per spaccio nella zona dei carruggi. E lo so perché gli educatori l’avevano scritto sulla tua richiesta di permesso. Quel primo permesso che, da Magistrato di sorveglianza, ti avevo concesso. Insomma, Maria arriva, qualcosa non quadra.
Tu la strozzi, la uccidi e da Ossi dove non potevi lasciare il cadavere perché tutti avrebbero subito pensato a te, decidi di spostarlo. Decidi per Florinas e decidi così perché sai che non c’è la stazione dei carabinieri e non c’è nessuna possibilità di essere fermato da nessuno. Lasci il cadavere nella cava ma, nella fretta, perdi l’orecchino. Sei convintodi averlo smarrito da qualche altra parte. Non ti preoccupi. Nessuno può arrivare a te. Rientri tranquillamente a Bancali e tutto sembra risolto. All’ingresso, nel lasciare i tuoi oggetti personali, non riconsegni l’orecchino. Ho controllato: in uscita lo hai ritirato ma al rientro restituisci solo il cellulare e il portafoglio. Quel benedetto orecchino non è un monile come tutti gli altri. Me ne avevi parlato al tuo primo permesso. Mi avevi anche detto di averlo ordinato con la lanterna di Genova, perché amavi quella città e via del campo. Guarda caso, il tuo orecchino e De Andrè servono per la soluzione. Quando mi mostrano l’orecchino ho subito capito. Ho ricontrollato gli atti ed eccomi qui.”
I tuoni sono più forti. Nonostante la giornata sia gonfia di sole.
“Mi resta da chiederti solo una cosa”, aggiunge Marceddu mettendosi le mani in tasca: “Cosa è successo a Genova di così grave da portarti ad uccidere una donna?”Il duca non guarda più Marceddu. Non sa dove gettare gli occhi. Ci sono pochissimi spazi di manovra. Il suo alibi non regge. Lo sa. E sa che ha perduto. Dalle situazioni, dice sempre, anche dalle peggiori, un Duca deve saperne uscire con dignità.
“Io l’amavo. A Genova era nata la nostra storia. Io spacciavo e procuravo la roba per lei. Volevo che abbandonasse quello schifo, quel letame. Un giorno le propongo la comunità, farla finita con la roba. Ma lei, sparisce. Le regalo un anello tempestato di diamanti. La prova del mio amore. La sera stessa vengo arrestato e dopo qualche mese scopro che si era messa con quel verme: Bingolino e aveva venduto l’anello. Me lo dicono quando siamo a San Sebastiano. Io sto zitto e aspetto.
Tutti aspettano.
Tutti sanno che il Duca deve dare una lezione. Voglio l’anello e la chiamo. Lei midice che me lo riporta. Invece arriva e mi grida che quei diamanti li ha venduti, servivano per la roba. Che non mi ha mai amato. Non mi avrebbe mai amato. Siamo a casa, a Ossi. Le chiedo di rimettersi con me, le dico che le avrei acquistato un altro anello, un altro diamante. Non ne vuole sapere. Si mette a ridere. Mi dice che sono solo un fallito. Mi dice che dai diamanti non nasce niente.
Non ci ho visto più.
Ho commesso una cazzata.
La strangolo e mi rendo conto che mi trovo nei guai. La metto in auto e rifletto dove lasciarla. Mi ricordo di Florinas, mi aveva detto di avere antiche origini in quel paese. Penso che qualcuno può pensare ad un delitto maturato all’interno della famiglia. Sapevo che c’erano stati dei dissidi per la cava. Io conoscevo la cava, fuori dal paese e sapevo che non c’era la stazione dei carabinieri. Mi sembra una buona idea. Nessuno mi avrebbe visto. Poi, probabilmente, senza rendermene conto, ho perduto quel maledetto orecchino.
Ed eccoci qua, davanti all’unica persona che ricordava dell’orecchino ed è riuscito a concludere tutto”
“Perché quel biglietto?” chiede Marceddu alzandosi.
“Perché è vero. Su questo aveva ragione Maria: dai diamanti non poteva nascere un amore ed invece, in mezzo a quello che io ritenevo letame, potevano nascondersi dei fiori. Quella canzone, a Genova, quando stavamo insieme, era la nostra canzone.”
C’è molta eccitazione e trambusto come tutte le prime. Ad aprire il festival oggi Flavio Soriga con un sardo che ha scritto dei libri sul carcere.
Marceddu ha deciso di accettare l’invito del sindaco ed è in prima fila ad ascoltare. Ci sono racconti che sfiorano l’anima e ci sono storie che camminano tra la realtà e la fantasia. Però, come dice il Duca, non si acquista l’amore con un diamante ed è soprattutto stupido uccidere per quello. Marceddu lo sa, lui che in mezzo ai suoi anni ha costruito storie e amori, con qualche rancore e molti rimpianti. Lui sa che gli incontri sono importanti, ma anche le storie prima o poi finiscono.
Amore che vieni, amore che vai.
Le donne sono un pezzo della sua vita.
Marceddu lo sa e sa come coltivare i ricordi e far crescere i fiori.
25 ottobre 2013 alle ore 20.50
Ecco il testo integrale del racconto che ha aperto, stasera, il festival in giallo. Ringrazio gli organizzatori, il sindaco Giovanna Sanna, Flavio Soriga e tutti quelli che son venuti ad ascoltare. Il sottofondo del racconto era Echoes, dei Pink Floyd. provate a farlo girare e leggetevelo con tranquillità. Claudio Marceddu è tornato a fare il giudice. Con l’esperienza del passato. Buona lettura a tutti.
L’orecchino del duca.
Un paese si misura dalla posizione della caserma dei carabinieri. E dall’autorevolezza del maresciallo. Quando Marceddu abbassò il telefono e ricercò la camicia per vestirsi velocemente, capì da subito che la situazione era complicata. In quel paese non c’erano carabinieri non c’era neppure un maresciallo. Da tempo immemorabile a Florinas la benemerita non aveva una caserma. Quella più vicina era a Codrongianus. E se i carabinieri avevano deciso di non costituire un loro nucleo, una ragione ci doveva pur essere. O Florinas era una sorta di piccola Scampia o non succedeva assolutamente niente. Non era stata la spending rewiew, nuova locuzione per giustificare tutto quello che sparisce misteriosamente in questo Stato. No, a Florinas la caserma non c’era dal dopoguerra, perché era un paese dove, davvero, non accadeva più niente, dai tempi del bandito Tolu, morto nel 1898. Qualche furto, qualche rissa,scaramucce di paesani. Florinas era un paese in cui non poteva succedere niente. Figuriamoci una settimana prima del festival del giallo.
Claudio Marceddu, ancora assonnato e con un caffè senza zucchero gettato alla rinfusa, con i suoi jeans d’ordinanza e i pensieri pasticciati, scese per strada a cercare la sua renault 4 rossa per giungere, da Alghero, in questo paese dove neppure il vento riusciva a muovere la polvere di silicio. Tutto appariva depositato nella tranquillità dei luoghi.
Trovò davanti alla chiesa di San Francesco il buon Milesu che, probabilmente, lo attendeva da almeno mezz’ora. Lo si capiva dallo sguardo piuttosto contrito e poco disposto al dialogo.
“Omicidio. Almeno così dice il medico legale, il Dr. Alvau”.
“Abbiamo identificato la vittima?” Chiese Marceddu guardandosi intorno ad una piazza assonnata e colorata da un autunno dolcissimo.
“Maria Nulvesu, quarantadue anni, precedenti per spaccio.Qualche giorno a San Sebastiano e a Marassi nel 1990.”
“E cosa c’entra con Florinas?”
“Ecco, questo è il problema” disse Milesu. “Apparentementenon c’entra niente ma ci sono due elementi che lasciano perplessi”.
Mentre parlavano s’incamminarono verso la cava di silicio vicino a S.Antonio di Bore dove era stata ritrovata la salma che attendeva l’arrivo di Marceddu, del magistrato di turno, per la rimozione.
“Maria Nulvesu aveva tra i parenti Maria Caterina Aymerich, appartenente ad una vecchia famiglia di Florinas, in contrasto nel 1800 con gli Archer per la dominazione del paese e, soprattutto per i terreni di silicio”.
“E il secondo elemento?” chiese Marceddu, con qualche goccia di perplessità, sedendosi sulla Punto nera di ordinanza guidata dall’ispettoreMilesu.
“Una lettera trovata vicino al cadavere”.
“Una lettera?”
“Si. Probabilmente scritta dall’assassino per depistare”.
Marceddu osservò il panorama e si convinse che questo autunno regalava colori davvero indescrivibili e la Sardegna pareva avvolta da contorni densi e avvolgenti. Doveva fare un giro in barca nella sua Alghero stamattina. Il mare pareva dipinto e l’orizzonte limpido e forte. Si trovava invece con un cadavere in un luogo dove, al massimo, si registrava qualche furto di bestiame.
Arrivarono che il medico era già andato via. Intorno al cadavere erano già giunti i poliziotti della scientifica che setacciavano il luogo. Marceddu osservò il cadavere. Notò che era completamente vestita e probabilmente non vi era stata violenza prima dell’omicidio. Il collo era cianotico. L’unica e terribile atto di violenza nei confronti della donna. Sicuramente strangolamento pensò.
“Dottore”, disse un ragazzo della scientifica, “stiamo setacciando il terreno. Abbiamo la quasi certezza che il cadavere sia stato trasportato con un auto. La donna, probabilmente è stata uccisa da un’altra parte”.
Marceddu ascoltò in silenzio osservando il luogo del delitto. Una cava di silicio anonima, molto luminosa ed in assoluto contrasto con il paesaggio campestre che girava intorno. Autorizzò la rimozione del cadavere e con Milesu si spostò appena più lontano. Camminava con le mani in tasca Claudio Marceddu. Era un gesto che faceva sempre quando doveva riflettere, comprendere tutti i passaggi. Questa storia non gli piaceva. Lo aveva capito fin da subito. C’era qualcosa di strano. Di anormale, di inusuale,qualcosa che non riusciva a cogliere. Questa donna poco c’entrava con il territorio e la parentela con gli Aymerich solo una casualità.
“E la lettera?” chiese a Milesu.
“Eccola”, rispose l’ispettore porgendogli una busta gialla dove all’interno c’era un biglietto che Claudio Marceddu lesse con attenzione. Poi, ripose il foglietto nella busta e la riconsegnò a Milesu.
Non disse niente. Si rimise le mani in tasca e aggiunse solo un laconico “Andiamo”.
In uno dei bar di paese c’era già una discreta folla che parlottava squadrando la punto nera dell’ispettore Milesu che, nel mentre, si era parcheggiata quasi davanti. Marceddu scese e si infilò nel bar osservato dagli sguardi muti dei paesani. Al suo interno Pier Antonio Pili, giornalista di nera della Nuova Sardegna impegnato con un sorriso beffardo ad interrogare gli astanti. Si salutarono con circostanza e con il dito Marceddu fece comprendere che non avrebbe lasciato nessuna dichiarazione. “Massimo riserbo”,disse il giornalista. “Non amo le frasi fatte”, rispose Marceddu. “ e non amo le conclusioni affrettate”, rispose Marceddu. Pili smorzò il suo sorriso sarcastico e continuò a chiedere informazioni nella segreta speranza che dietro quel delitto ci fosse qualcosa di “passionale”, piccante, qualcosa insomma da raccontare per l’articolo del giorno successivo che si annunciava come la notizia da prima pagina della Nuova Sardegna.
Milesu e Marceddu dopo un caffè velocissimo uscirono e decisero di attendere il Maresciallo dei Carabinieri di Codrongianus davantialla Chiesa di San Francesco.
“E’ una bella giornata”, disse Marceddu “andiamo a raccogliere questo sole di ottobre”.
Stettero per qualche in minuto in silenzio poi Marceddu togliendosi le mani da tasca cominciò a parlare con voce ferma, chiara, senza tentennamenti.
“La lettera è, come dice lei un depistaggio. D’altronde non si scomoda una canzone di De Andrè per un delitto orrendo”.
“in che senso?” chiese Milesu.
“la frase finale della Città vecchia: dai diamanti non nasce niente….”
“…e dal letame nascono i fior”, aggiunse subito Milesu,facendo intendere di conoscere benissimo la canzone.
“Già,” riprese Marceddu “e il fiore non c’entra niente con Florinas”.
“E perché?” chiese Milesu
“L’etimologia del nome Florinas per quanto ne so, è legato soprattutto al toponimo Figulinas, che si riferisce alla presenza del materiale per la produzione e lavorazione della ceramica.
“Quindi i fiori li lasciamo perdere?”
“Si, disse Marceddu. Concentriamoci sul letame. E sui diamanti”.
Il maresciallo Pistis arrivò trafelato e, salutando militarmente, si scusò subito con il magistrato. “Mi scusi dottore, ero impegnato in un’altra operazione a Codrongianus”.
“Capisco” rispose Marceddu. “Lei ha altre novità?”
“Nessuna, rispose il maresciallo. Sono costernato. Un delitto in un paese dove non succede mai niente. E poi, a ridosso del festival del giallo”.
Era un’altra notizia. Dal 25 al 27 ottobre si sarebbe svolta, a Florinas, la quarta edizione del festival del giallo. Trovarsi davanti un morto, per di più una donna, in una edizione dove si sarebbe discusso di femminicidio era sicuramente una complicazione in più. Ecco perché la nuova aveva spedito il buon Pili. Ci avrebbe ricamato senz’altro. Non avendo una caserma dove poter fare il punto il maresciallo propose di recarsi al comune per salutare il sindaco e per analizzare meglio la situazione. Il sindaco pareva piuttosto agitata, Florinas non era abituata a discutere di omicidi se non quasi per gioco, all’interno di un festival.
Claudio Marceddu osservava il primo cittadino e la rassicurò. “Professoressa, non si preoccupi, troveremo la soluzione prima del 25 ottobre”.
“Me lo auguro”, rispose il sindaco facendoli accomodare in una stanza e lasciandoli alle loro indagini.
Il telefono vibrò nella tasca dei jeans di Marceddu. Il magistrato ascoltò in silenzio mentre il maresciallo e l’ispettore tentavano di capire se la telefonata avesse un nesso con l’omicidio.
“Bene, disse Marceddu, riponendo il cellulare in tasca.“Abbiamo una pista. E’ stato trovato, vicino alla vittima, un orecchino con un pendente di corallo a forma di faro, molto singolare, opera, sicuramente di un artigiano.”
“Una donna che uccide un’altra donna?” disse il Maresciallo allarmato.
“Gli orecchini li usano un po’ tutti,” aggiunse Marceddu,“non precipitiamo”. Ho però la sensazione che questo orecchino ci porti alla soluzione del giallo.
“E la lettera?” chiese Milesu.
“La lettera? Bella domanda. Lo chiederò all’assassino.”
Tutti si guardarono negli occhi e nessuno chiese niente. Marceddu salutò stringendo la mano a Milesu e al Maresciallo Pistis.
"Ci vediamo domani, in Procura, in tarda mattinata” disse infilandosi nella sua Renault 4.
Il nuovo carcere di Bancali sorgeva su un promontorio desolato, una landa dimenticata, dove il giallo era ancora l’unico colore di contorno. Marceddu, da buon romantico, non era d’accordo su quella costruzione, sull’eliminazione del penitenziario dal centro della città. Il vecchio carcere di San Sebastiano, in fondo, lo sentiva sulla sua pelle. Non erano stati risoltii problemi di un penitenziario. Semplicemente spostati più lontano. In una sorta di cono d’ombra tra il silenzio di tutta la città.
Nel nuovo carcere i tempi di attesa si erano dilatati per via della grandezza e lontananza che vi era dalla sala magistrati alle sezioni.
Murru Nicolò, in arte “Il Duca” giunse porgendo un sorriso di circostanza. Si capiva però che non era felicissimo di trovarsi un Pubblico Ministero davanti.
“Dr. Marceddu, lei non è più Magistrato di Sorveglianza e mi meraviglia che la Procura si interessi ancora ad un vecchio galeotto”.
“Se ne occupa da quando il galeotto commette omicidi” disse Marceddu sedendosi.
“Ho un alibi di ferro,” rispose quasi ridendo il Duca. “Per fortuna il carcere, in questo caso mi aiuta”
“Non sempre”, disse Marceddu “e non ho molto tempo. Ho fatto una promessa e intendo mantenerla,” aggiunse tirando fuori la busta di plastica con un orecchino.
“Ti racconto tutto caro Duca e tu non mi interrompere. Poivediamo se la mia storia ti piace.”
Il Duca cominciò ad osservarlo con aria meno distratta, più intensa. Sentiva il rumore di un temporale. Lontano, che si avvicinava.
"Maria Nulvesu viene trovata uccisa a Florinas, un paese dove, di solito, non accade mai niente di trascendentale. Il suo corpo abbandonato nei pressi di una cava di silicio. Accanto vi è una lettera con una frase legata ad una canzone di Fabrizio De Andrè. Dalla frase si intuisce che qualcuno vuole alludere alla parola finale fior con Florinas, quasi a voler suggerire che lei ndagini debbano essere concentrate su qualcuno di Florinas. Ma non è così. Chi ha scritto quella lettera è una persona molto intelligente e furba. Ma commette un errore. Un imperdonabile errore. Nella foga e nella paura di essere visto da qualcuno trasportando il cadavere, ucciso sicuramente da un’altra parte, perde un orecchino. Non è un orecchino qualsiasi. Ma ha un faro stilizzato in corallo e le iniziali MN scritte sul cuore.
Potrebbe essere di Maria Nulvesu. Le iniziali sono le sue.
Potrebbe.
Ma la vittima porta entrambi gli orecchini. Magari l’orecchino è caduto dalla borsetta. Ma non c’è nessuna borsetta sul luogo del delitto. Insomma, mi faccio persuaso che il corallo e quello strano orecchino può essere stato costruito su commissione. Sai quale è il tuo problema, Duca?”
Il duca comincia a sentire sempre più forte il rumore sordo dei tuoni. Che si avvicinano.
“Che parli troppo. E sei un inguaribile egocentrico. Su quel faro, che poi è la lanterna di Genova, ci metti leiniziali: Nicolò Murru MN. E’ incredibile ma hai le stesse iniziali dellavittima.
L’orecchino è il tuo. Ma tu, come dicevi in premessa, hai un alibi. Eri in carcere.
Vero a metà.
La sera in cui viene commesso il delitto eri in permesso premio e saresti dovuto rientrare entro le 22.00 a Bancali. Infatti rientri in perfetto orario. Eri anche agli arresti domiciliari e prima di rientrare in carcere dovevi passare per la firma dai carabinieri, quelli di Ossi, dove vai in permesso.
Quella sera, quindi dai appuntamento a Maria Nulvesu, la ragazza di un tuo vecchio amico, Tore Birdi, noto Bingolino, che ti deve qualche favore. Probabilmente riesci a convincere Tore per un incontro con la sua ragazza. Provi a promettere nuovi affari, ti stai comportando bene, uscirai fra qualche anno. Tutto può ripartire. La Nulvesu si fida di te, è stata anche la tua donna. Erano altri tempi. Tempi lontani. Vi eravate conosciuti quando lei era una tossicodipendente a Genova. Lo so perché l’arrestano per spaccio nella zona dei carruggi. E lo so perché gli educatori l’avevano scritto sulla tua richiesta di permesso. Quel primo permesso che, da Magistrato di sorveglianza, ti avevo concesso. Insomma, Maria arriva, qualcosa non quadra.
Tu la strozzi, la uccidi e da Ossi dove non potevi lasciare il cadavere perché tutti avrebbero subito pensato a te, decidi di spostarlo. Decidi per Florinas e decidi così perché sai che non c’è la stazione dei carabinieri e non c’è nessuna possibilità di essere fermato da nessuno. Lasci il cadavere nella cava ma, nella fretta, perdi l’orecchino. Sei convintodi averlo smarrito da qualche altra parte. Non ti preoccupi. Nessuno può arrivare a te. Rientri tranquillamente a Bancali e tutto sembra risolto. All’ingresso, nel lasciare i tuoi oggetti personali, non riconsegni l’orecchino. Ho controllato: in uscita lo hai ritirato ma al rientro restituisci solo il cellulare e il portafoglio. Quel benedetto orecchino non è un monile come tutti gli altri. Me ne avevi parlato al tuo primo permesso. Mi avevi anche detto di averlo ordinato con la lanterna di Genova, perché amavi quella città e via del campo. Guarda caso, il tuo orecchino e De Andrè servono per la soluzione. Quando mi mostrano l’orecchino ho subito capito. Ho ricontrollato gli atti ed eccomi qui.”
I tuoni sono più forti. Nonostante la giornata sia gonfia di sole.
“Mi resta da chiederti solo una cosa”, aggiunge Marceddu mettendosi le mani in tasca: “Cosa è successo a Genova di così grave da portarti ad uccidere una donna?”Il duca non guarda più Marceddu. Non sa dove gettare gli occhi. Ci sono pochissimi spazi di manovra. Il suo alibi non regge. Lo sa. E sa che ha perduto. Dalle situazioni, dice sempre, anche dalle peggiori, un Duca deve saperne uscire con dignità.
“Io l’amavo. A Genova era nata la nostra storia. Io spacciavo e procuravo la roba per lei. Volevo che abbandonasse quello schifo, quel letame. Un giorno le propongo la comunità, farla finita con la roba. Ma lei, sparisce. Le regalo un anello tempestato di diamanti. La prova del mio amore. La sera stessa vengo arrestato e dopo qualche mese scopro che si era messa con quel verme: Bingolino e aveva venduto l’anello. Me lo dicono quando siamo a San Sebastiano. Io sto zitto e aspetto.
Tutti aspettano.
Tutti sanno che il Duca deve dare una lezione. Voglio l’anello e la chiamo. Lei midice che me lo riporta. Invece arriva e mi grida che quei diamanti li ha venduti, servivano per la roba. Che non mi ha mai amato. Non mi avrebbe mai amato. Siamo a casa, a Ossi. Le chiedo di rimettersi con me, le dico che le avrei acquistato un altro anello, un altro diamante. Non ne vuole sapere. Si mette a ridere. Mi dice che sono solo un fallito. Mi dice che dai diamanti non nasce niente.
Non ci ho visto più.
Ho commesso una cazzata.
La strangolo e mi rendo conto che mi trovo nei guai. La metto in auto e rifletto dove lasciarla. Mi ricordo di Florinas, mi aveva detto di avere antiche origini in quel paese. Penso che qualcuno può pensare ad un delitto maturato all’interno della famiglia. Sapevo che c’erano stati dei dissidi per la cava. Io conoscevo la cava, fuori dal paese e sapevo che non c’era la stazione dei carabinieri. Mi sembra una buona idea. Nessuno mi avrebbe visto. Poi, probabilmente, senza rendermene conto, ho perduto quel maledetto orecchino.
Ed eccoci qua, davanti all’unica persona che ricordava dell’orecchino ed è riuscito a concludere tutto”
“Perché quel biglietto?” chiede Marceddu alzandosi.
“Perché è vero. Su questo aveva ragione Maria: dai diamanti non poteva nascere un amore ed invece, in mezzo a quello che io ritenevo letame, potevano nascondersi dei fiori. Quella canzone, a Genova, quando stavamo insieme, era la nostra canzone.”
C’è molta eccitazione e trambusto come tutte le prime. Ad aprire il festival oggi Flavio Soriga con un sardo che ha scritto dei libri sul carcere.
Marceddu ha deciso di accettare l’invito del sindaco ed è in prima fila ad ascoltare. Ci sono racconti che sfiorano l’anima e ci sono storie che camminano tra la realtà e la fantasia. Però, come dice il Duca, non si acquista l’amore con un diamante ed è soprattutto stupido uccidere per quello. Marceddu lo sa, lui che in mezzo ai suoi anni ha costruito storie e amori, con qualche rancore e molti rimpianti. Lui sa che gli incontri sono importanti, ma anche le storie prima o poi finiscono.
Amore che vieni, amore che vai.
Le donne sono un pezzo della sua vita.
Marceddu lo sa e sa come coltivare i ricordi e far crescere i fiori.