Nicola ha diciotto anni e due occhi che ti sorridono prima ancora delle labbra.
Nicola, ogni volta che si rivolge a me esordisce con “Scusi prof., posso chiederle una cosa?” e conclude con “Grazie prof.”
Da quasi cinque anni percorre quotidianamente 144 chilometri per andare a scuola.
Il suo cellulare, custodito sotto il cuscino durante la notte come in uso tra gli adolescenti, alle 5.30 di ogni mattina gli ricorda che è arrivato il momento di alzarsi. E, in inverno, quando lasciare il calduccio del letto è un atto quasi eroico, non esita un attimo.
Perché sa che indugiare ancora un po’ in quel tepore rassicurante gli farebbe perdere il treno.
E di assenze lui non ne vuole fare.
Non per sterile dedizione al dovere e non per timore delle strigliate dei genitori.
Ma perché a lui andare a scuola piace, semplicemente.
E allora si fa forza, incassa la testa nella sua sciarpona, e si dirige verso la banchina ferroviaria, accompagnato dal buio invernale col naso che gli cola per il freddo.
Nicola rientrerebbe a casa alle 15.30, se dopo le lezioni andasse via.
Invece, si trattiene a scuola per seguire quasi tutti i corsi pomeridiani, quelli che i compagni olbiesi snobbano perché non hanno voglia di tornare dopo pranzo.
E mentre loro si avventano su un piatto di spaghetti fumanti, lui mangia un panino nel giardino della scuola e prende il treno delle 18.25, quando i corsi terminano.
Arriva a casa giusto in tempo per lavarsi le mani e sedersi a cena coi genitori.
Quel papà e quella mamma che lui non vuole deludere, a cui vuole risparmiare la preoccupazione di un figlio fannullone perché ne hanno già abbastanza, di pensieri.
Quei genitori valorosi, con le braccia stanche da una vita di rinunce, che hanno un tavolo di formica e un divano-letto da ricomporre ogni mattina, quando il figlio esce per andare a scuola.
Nicola non è un secchione e non è mai stato bocciato, né ha avuto debiti da riparare a settembre.
E, con la spensieratezza e la capacità di sorprendersi propria di chi adulto non è, ha imparato ad andare oltre il cancello della scuola, a coltivare le passioni, a mettersi in gioco, a pianificare gli impegni, a fare squadra coi compagni, a lottare per raggiungere gli obiettivi.
Ma, con la semplicità propria di chi adulto non è, Nicola questo ancora non lo sa.
Nicola, ogni volta che si rivolge a me esordisce con “Scusi prof., posso chiederle una cosa?” e conclude con “Grazie prof.”
Da quasi cinque anni percorre quotidianamente 144 chilometri per andare a scuola.
Il suo cellulare, custodito sotto il cuscino durante la notte come in uso tra gli adolescenti, alle 5.30 di ogni mattina gli ricorda che è arrivato il momento di alzarsi. E, in inverno, quando lasciare il calduccio del letto è un atto quasi eroico, non esita un attimo.
Perché sa che indugiare ancora un po’ in quel tepore rassicurante gli farebbe perdere il treno.
E di assenze lui non ne vuole fare.
Non per sterile dedizione al dovere e non per timore delle strigliate dei genitori.
Ma perché a lui andare a scuola piace, semplicemente.
E allora si fa forza, incassa la testa nella sua sciarpona, e si dirige verso la banchina ferroviaria, accompagnato dal buio invernale col naso che gli cola per il freddo.
Nicola rientrerebbe a casa alle 15.30, se dopo le lezioni andasse via.
Invece, si trattiene a scuola per seguire quasi tutti i corsi pomeridiani, quelli che i compagni olbiesi snobbano perché non hanno voglia di tornare dopo pranzo.
E mentre loro si avventano su un piatto di spaghetti fumanti, lui mangia un panino nel giardino della scuola e prende il treno delle 18.25, quando i corsi terminano.
Arriva a casa giusto in tempo per lavarsi le mani e sedersi a cena coi genitori.
Quel papà e quella mamma che lui non vuole deludere, a cui vuole risparmiare la preoccupazione di un figlio fannullone perché ne hanno già abbastanza, di pensieri.
Quei genitori valorosi, con le braccia stanche da una vita di rinunce, che hanno un tavolo di formica e un divano-letto da ricomporre ogni mattina, quando il figlio esce per andare a scuola.
Nicola non è un secchione e non è mai stato bocciato, né ha avuto debiti da riparare a settembre.
E, con la spensieratezza e la capacità di sorprendersi propria di chi adulto non è, ha imparato ad andare oltre il cancello della scuola, a coltivare le passioni, a mettersi in gioco, a pianificare gli impegni, a fare squadra coi compagni, a lottare per raggiungere gli obiettivi.
Ma, con la semplicità propria di chi adulto non è, Nicola questo ancora non lo sa.