Ho sempre sognato e disegnato i colori di Mirò. Nella mia gioventù algherese, nelle curve della maturità, nelle notti morbide tra le “rambals” di Barcellona, nell’azzurro acquerello di Barceloneta, tra le colline del Logudoro e tra le piccole punte del Gennargentu. Ho sempre utilizzato Mirò come tavolozza della mia esistenza. Il suo giallo, il suo rosso, la sua falsa sovrapposizione, i suoi svolazzi di poesia pura, rarefatta. Perché se a colorarti la vita ti scegli Mirò, potrai sempre rimanere tra l’allegria e l’inconsapevolezza di un’adolescenza tardiva, ritagliata tra le favole e le stelle. Quelle di Mirò.
Scoprire che stasera, lo stato portoghese ha dato il via libera per vendere 85 opere dell’artista catalano, è come ritornare alla televisione in bianco e nero. I Mirò, gli spruzzi dell’incoscienza messi all’incanto per recuperare parte dei fondi persi con il fallimento del banco Portogues del Negocios, avvenuta nel 2008. Quelle opere passeranno al migliore offerente. Basta avere i soldi e ti porti a casa una tela, un acrilico, un disegno, una scultura di Juan Mirò. Ma non puoi portarti il colore della vita. Requisisci agli occhi di tutti un pezzo di allegria e libertà. Nascondi l’orizzonte colorato della poesia dentro qualche stanza di un magnate russo, cinese, giapponese. Chissà. Si porteranno quelle tele per racchiuderle dentro case senza nessun senso, nessun sorriso. E quei Mirò non parleranno più, quelle stelle, quegli schizzi, quel nero immenso e quel blu avvolgente non potranno mai riempire il vuoto della tracotanza e dell’ostentazione. Non comprerei mai un Mirò, non potrei mai condividere solo con i miei occhi ciò che è nato per essere amato da tutti. Non si nasconde la tavolozza dei colori. Stasera, il mio mare è un più solitario, con poche linee argentate e gialle e verdi e rosse e magenta e viola e verdi. Anche le stelle non sono apparse. Chiudo gli occhi e riappare quell’occhio che sembra un naso e un sorriso e una lacrima e un ricordo. Il mio bellissimo e immenso Mirò, pentagramma colorato della mia esistenza. La mia favola da vivere e abbracciare, il mio salire e scendere per molte scale, il mio punto di vista, il mio piccolo gioco da restituire al mondo. Perché quelle linee, quei cerchi, quei rettangoli, quegli spicchi di vitalità sono di tutti. Io sono un pezzo di Mirò, solo un pezzo. Il resto è il mare e il lago e la donna e il bambino e l’aquilone e il cavallo e gli uccelli e quel mondo colorato che ci gira intorno. Non si vendono le favole al miglior offerente. Le favole si disegnano, si raccontano, si musicano, si vivono. Si annusano. Mirò esiste perché la poesia dei gesti nobili supera quella della solitudine. Chi acquisterà stasera un Mirò per tenerlo nella sua stanza spegnerà una stella. E il mondo sarà un po’ più in penombra. E più triste.
Scoprire che stasera, lo stato portoghese ha dato il via libera per vendere 85 opere dell’artista catalano, è come ritornare alla televisione in bianco e nero. I Mirò, gli spruzzi dell’incoscienza messi all’incanto per recuperare parte dei fondi persi con il fallimento del banco Portogues del Negocios, avvenuta nel 2008. Quelle opere passeranno al migliore offerente. Basta avere i soldi e ti porti a casa una tela, un acrilico, un disegno, una scultura di Juan Mirò. Ma non puoi portarti il colore della vita. Requisisci agli occhi di tutti un pezzo di allegria e libertà. Nascondi l’orizzonte colorato della poesia dentro qualche stanza di un magnate russo, cinese, giapponese. Chissà. Si porteranno quelle tele per racchiuderle dentro case senza nessun senso, nessun sorriso. E quei Mirò non parleranno più, quelle stelle, quegli schizzi, quel nero immenso e quel blu avvolgente non potranno mai riempire il vuoto della tracotanza e dell’ostentazione. Non comprerei mai un Mirò, non potrei mai condividere solo con i miei occhi ciò che è nato per essere amato da tutti. Non si nasconde la tavolozza dei colori. Stasera, il mio mare è un più solitario, con poche linee argentate e gialle e verdi e rosse e magenta e viola e verdi. Anche le stelle non sono apparse. Chiudo gli occhi e riappare quell’occhio che sembra un naso e un sorriso e una lacrima e un ricordo. Il mio bellissimo e immenso Mirò, pentagramma colorato della mia esistenza. La mia favola da vivere e abbracciare, il mio salire e scendere per molte scale, il mio punto di vista, il mio piccolo gioco da restituire al mondo. Perché quelle linee, quei cerchi, quei rettangoli, quegli spicchi di vitalità sono di tutti. Io sono un pezzo di Mirò, solo un pezzo. Il resto è il mare e il lago e la donna e il bambino e l’aquilone e il cavallo e gli uccelli e quel mondo colorato che ci gira intorno. Non si vendono le favole al miglior offerente. Le favole si disegnano, si raccontano, si musicano, si vivono. Si annusano. Mirò esiste perché la poesia dei gesti nobili supera quella della solitudine. Chi acquisterà stasera un Mirò per tenerlo nella sua stanza spegnerà una stella. E il mondo sarà un po’ più in penombra. E più triste.