Scrivo questo post per far sapere a Fabio e Mariolina Pileri che non sono soli: si può morire di dolore, ma se tutti condividiamo un briciolo della loro sofferenza forse possiamo renderla più sopportabile. Fabio e Mariolina erano i genitori di Pietro, morto il 14 novembre del 2004: aveva diciassette mesi, per tre giorni è stato rimbalzato tra ospedali e i reparti prima che una banale occlusione intestinale lo spegnesse. Esattamente nove anni fa.
Ho pensato a lui mentre sullo schermo del mio computer scorrevano vecchie immagini di bambini uccisi dai bombardamenti a Gaza. Per loro, come per Pietro, la morte ha dei perché che la rendono ancora più inaccettabile: che sia un missile che colpisce a casaccio o la superficialità di medici svogliati, cosa c'entra la vita di un bambino? Cosa c'entra la morte con un bambino che si affaccia al balcone luminoso della vita?
Fabio e Mariolina mi conoscono appena. Li ho incontrati in un piovoso pomeriggio di novembre nella loro casa di Olbia, pochi giorni dopo la morte del loro bambino. Un collaboratore del giornale mi aveva chiamato al mattino presto per segnalarmi che la città era invasa di manifesti, fatti stampare da Fabio per gridare al mondo la sua rabbia.
Li contattai e li andai a trovare quello stesso pomeriggio. Ricordo la loro compostezza, una sala dai mobili severi, il silenzio gelido tra le parole, il dolore come un energumeno seduto al tavolo con noi. Ricordo il racconto di Mariolina, lucido ed efficace, tutte le carte della tragedia ordinate diligentemente davanti a lei. Un racconto fitto di particolari, di sguardi, di carezze, di disperazione. Un racconto nel quale, ad un certo punto di un'attesa inutile su un lettino, Pietro chiede alla mamma un biscotto. Mariolina domanda il permesso ai medici, ma loro le spiegano che non era il caso perché il bambino, di il a poco, sarebbe stato operato. Pietro muore qualche ora dopo, senza che quel suo ultimo desiderio venisse soddisfatto. Senza un perché, come i bambini di Gaza.
Lasciata la casa, mia moglie mi attendeva in macchina. Voleva che le raccontassi di quell'incontro, ma in quel momento non avevo parole e me ne rimasi zitto.
Nove anni dopo, la verità giudiziaria non ha attribuito a nessuno la responsabilità di quella vita spezzata. Ma tutti noi sappiamo che la verità è un'altra, così come sappiamo che il senso di giustizia di un paese civile non può accettare che la morte di un bambino sballottato tra reparti e ospedali per giorni venga imputata ad una fatalità. E non si può neppure accettare che il tempo consumi, giorno dopo giorno, il diritto alla verità. Non succederà per Fabio e Mariolina, non deve succedere per tutti coloro che in questa storia si sono sentiti toccati. Da genitori, da cittadini di un paese civile.
Ho pensato a lui mentre sullo schermo del mio computer scorrevano vecchie immagini di bambini uccisi dai bombardamenti a Gaza. Per loro, come per Pietro, la morte ha dei perché che la rendono ancora più inaccettabile: che sia un missile che colpisce a casaccio o la superficialità di medici svogliati, cosa c'entra la vita di un bambino? Cosa c'entra la morte con un bambino che si affaccia al balcone luminoso della vita?
Fabio e Mariolina mi conoscono appena. Li ho incontrati in un piovoso pomeriggio di novembre nella loro casa di Olbia, pochi giorni dopo la morte del loro bambino. Un collaboratore del giornale mi aveva chiamato al mattino presto per segnalarmi che la città era invasa di manifesti, fatti stampare da Fabio per gridare al mondo la sua rabbia.
Li contattai e li andai a trovare quello stesso pomeriggio. Ricordo la loro compostezza, una sala dai mobili severi, il silenzio gelido tra le parole, il dolore come un energumeno seduto al tavolo con noi. Ricordo il racconto di Mariolina, lucido ed efficace, tutte le carte della tragedia ordinate diligentemente davanti a lei. Un racconto fitto di particolari, di sguardi, di carezze, di disperazione. Un racconto nel quale, ad un certo punto di un'attesa inutile su un lettino, Pietro chiede alla mamma un biscotto. Mariolina domanda il permesso ai medici, ma loro le spiegano che non era il caso perché il bambino, di il a poco, sarebbe stato operato. Pietro muore qualche ora dopo, senza che quel suo ultimo desiderio venisse soddisfatto. Senza un perché, come i bambini di Gaza.
Lasciata la casa, mia moglie mi attendeva in macchina. Voleva che le raccontassi di quell'incontro, ma in quel momento non avevo parole e me ne rimasi zitto.
Nove anni dopo, la verità giudiziaria non ha attribuito a nessuno la responsabilità di quella vita spezzata. Ma tutti noi sappiamo che la verità è un'altra, così come sappiamo che il senso di giustizia di un paese civile non può accettare che la morte di un bambino sballottato tra reparti e ospedali per giorni venga imputata ad una fatalità. E non si può neppure accettare che il tempo consumi, giorno dopo giorno, il diritto alla verità. Non succederà per Fabio e Mariolina, non deve succedere per tutti coloro che in questa storia si sono sentiti toccati. Da genitori, da cittadini di un paese civile.