Sun Tzu e l'Alcoa: 2550 anni dopo (Marco Zurru)
“Ci sono cinque circostanza nelle quali la vittoria può essere prevista.
Chi è in grado di distinguere quando è il momento di dare battaglia, e quando non lo è, riuscirà vittorioso.
Chi è in grado di stabilire quando deve usare forze minori, e quando maggiori, riuscirà vittorioso.
Chi ha creato un esercito compatto, con ufficiali e soldati che combattono uniti per un unico fine, sarà vittorioso.
Chi è prudente e preparato, e resta in attesa delle mosse del nemico temerario e impreparato, sarà vittorioso.
Chi dispone di generali esperti non vincolati da funzionari di corte, sarà vittorioso.
I cinque punti che ho descritto individuano la strada della vittoria.
Perciò dico: “Conosci il nemico come conosci te stesso. Se farai così, anche in mezzo a cento battaglie non ti troverai mai in pericolo”.
Se non conosci il nemico, ma conosci soltanto te stesso, le tue possibilità di vittoria saranno pari alle tue possibilità di sconfitta.
Se non conosci te stesso, né conosci il tuo nemico, sii certo che ogni battaglia sarà per te fonte di pericolo gravissimo”.
(Sun Tzu , L’arte della guerra).
Scritto circa 500 anni prima di Cristo, questo libello non è solo il più antico trattato di arte militare esistente, ma anche un testo intriso di filosofia orientale che ha guidato nei momenti decisivi, ovvero letteralmente “quando si decide”, uomini di guerra, politici, manager di grandi aziende e chiunque fosse inserito in catene di comando di notevole spessore. A me è sempre sembrato un testo illuminante su cui applicarsi nei più disparati segmenti della vita collettiva. Possiamo fare un esempio con il caso Alcoa? Con il “nemico Alcoa” che ha appena "prodotto" 500 cassaintegrati nel Sulcis? Siamo sicuri che i cinque primi punti descritti da Sun Tzu siano stati rispettati in questi anni? Siamo sicuri della compattezza delle parti sociali, della classe politica e della società civile di fronte al “nemico”? Siamo sicuri di conoscere il “nemico”?
Un piccolo tassello di conoscenza sulla forza e le possibilità di questa Corporation di modificare le regole del gioco concorrenziale del mercato non “di sponda”, ma direttamente, diventando essa stessa arbitro e regolatore del mercato ce la offre Joseph Stiglitz in un piccolo libello che consiglio a tutti. Si intitola “In un mondo imperfetto. Mercato e democrazia nell’era della globalizzazione”. È un po’ datato (2001), ma rimane di agghiacciante attualità.
Stiglitz racconta ad una platea di italiani (il testo è la rielaborazione di una lecture tenuta a Roma per iniziativa di un gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra) come le grandi imprese americane siano eccezionali nel raccontare la favoletta della concorrenza “tranne che per il loro settore”; la nefandezza dei sussidi statali “tranne che nel loro settore”; l’importanza e la bellezza della trasparenza e apertura “tranne che nel loro settore”.
Siglitz era (è) un uomo di grande potere. È stato capo dei consiglieri economici per Clinton; ha ricoperto per tre anni la carica di Vice Presidente alla World Bank. Ha insegnato a Princeton e Stanford. Ha vinto il Nobel per l’economia insieme a George Arkerlof e Michael Spence lavorando su uno dei principi cardine della teoria neoclassica, le informazioni, “prendendo il toro” dal corno opposto, quello delle asimmetrie informative. È stato cacciato dall’amministrazione federale dopo una strenua battaglia con una delle figure più rilevanti (e dense di responsabilità) nella storia del crack dell’economia finanziaria Usa, Lawrence Summers. Insomma, per farla breve, “ne sa”…
La storia è quella dell’alluminio il cui prezzo, nel 1993, incomincia a crollare. L’economia globale era in fase di rallentamento e i prezzi delle materie prime (come l’alluminio, appunto) ne hanno immediatamente risentito. La Coca Cola aveva appena inventato una nuova tecnologia che le consentiva di risparmiare il 10% di alluminio per la costruzione delle lattine (uno degli usi privilegiati dell’alluminio è proprio quello delle lattine per bevande). Infine il crollo dell’URSS comportò un taglio rilevante alle spese per la difesa, una delle cui voci fondamentali riguarda il comparto aereospaziale (l’altro impiego massiccio dell’alluminio è orientato alla costruzione degli aeroplani).
In breve, c’era la possibilità che un volume notevole di alluminio arrivasse nei mercato occidentale, abbattendo così i prezzi. Infatti se tutti erano d’accordo sul fatto che la Russia avrebbe dovuto diventare un’economia di mercato, altrettanto d’accordo erano gli analisti che prevedevano l’impossibilità per la Russia di piazzare beni di consumo che in Occidente avevano raggiunto livelli di sofisticatezza di assoluto rilievo, come le automobili, ad esempio. Una delle cose che una economia in start up può/deve fare è produrre qualcosa che si può vendere facilmente sul mercato. Una di queste cose per la Russia era l’alluminio.
Ma a questo punto è meglio far parlare direttamente Stiglitz, la cui ironia è pari al delirio retorico di alcuni economisti neoliberal. “Quando ho visto il prezzo dell’alluminio scendere, ho pensato che nel giro di pochi mesi qualche rappresentante dell’Alcoa sarebbe immancabilmente arrivato alla Casa Bianca per chiedere qualcosa. Arrivarono persino più velocemente di quanto pensassi. Paul O’Neil (Ceo della Corporation) era alla nostra porta con una proposta semplice ma audace: un cartello globale per l’alluminio, capace di tenere quello russo fuori dagli Stati Uniti. Questa richiesta mi metteva in una posizione molto difficile, dato che stavo per partire per una visita in Russia per parlare di economia di libero mercato con Gajdar.(…) L’America predicava che la Russia stesse diventando una economia di mercato, ma non appena riusciva a produrre qualcosa che era in grado di competere, il governo americano era indotto a schiacciare la Russia mettendola fuori mercato. (…) Non potevo difendere ciò che gli USA stavano facendo. (…) Mentre ricevo telefonate dai riformatori russi che ci imploravano di fermare l’istituzione del cartello, il Dipartimento di Stato americano parlava con i suoi vecchi amici nei ministeri vecchio stile, incoraggiandoli a proseguire con il cartello”.
La combinazione del sostegno da parte del Dipartimento di Stato e della pressione da parte dell’industria dell’alluminio, ha portato alla formazione di un cartello globale in violazione dei principi della concorrenza, e ha contribuito a creare in Russia un capitalismo mafioso. Insomma, “c’era stata una vera e propria collusione, al riparo dell’ombrello governativo, allo scopo di limitare la concorrenza. (…) Persino i più critici tra noi non compresero appieno la natura del disastro, perché non stimavano in modo corretto il capitalismo mafioso che contribuivano a creare in Russia, collaborando alla costituzione del cartello e delle sue rese monopolistiche”.
L’Alcoa è entrata nel gioco della costruzione dei nuovi assetti geopolitici in un momento fondamentale della costruzione del nuovo ordine mondiale. Vi è entrata per salvaguardare i propri interessi di mercato; vi è entrata con forza e ha vinto. Non importa quanti costi sociali, economici, umani sono stati pagati (dagli altri): ha vinto.
Ha continuato a vincere anche in seguito. Paul O’Neil è stato CEO dell’Alcoa dal 1987 al 2000, lasciando l’incarico con una fortuna personale stimata in circa 100 milioni di dollari. A gennaio 2001 viene nominato da George W. Bush Segretario del Tesoro. In una delle prime esternazioni pubbliche dichiara che le multinazionali non dovrebbero pagare tasse (Intervista di Amity Shlaes. Financial Times 19 Maggio 2001). Solo dopo diversi mesi dalla nomina, cedendo alle pressioni che indicavano un palese conflitto di interessi, annuncia l’intenzione di vendere il suo pacchetto azionario in Alcoa.
Insomma non stiamo parlando di una multinazionale qualsiasi: modellare forme di mercato in altre parti del mondo; definire equilibri geopolitici in combutta con il governo; entrare dalla porta principale del governo USA e sedere in uno degli scranni più autorevoli e potenti al mondo non è cosa di poco conto.
Il sospetto, tornando a Sun Tzu, è che in Sardegna la partita sia complicata perché vera soprattutto l’ultima massima, e non solo nella battaglia con l’Alcoa, purtoppo.