Certe parole gravi, profonde, si scontravano col sole e col maestrale freddo che arrivava da Monte Pinu.
Ma poi quel vento, che prima si opponeva, stranamente le ha accompagnate.
Ieri hai guardando indietro, come una moviola, mentre me lo raccontavi.
E di tutti i frammenti incastrati alla rinfusa ad un certo punto hai individuato il punto esatto: il confine in cui il prima è diventato un dopo.
- Lei ha la sclerosi multipla – mi aveva detto il medico.
E mentre me lo raccontavi il sorriso non ha abbandonato le tue labbra nemmeno per un istante.
Allora ho capito tutto – hai aggiunto - ma prima che io capissi il mondo intorno a me si è sgretolato ed ho visto solo una sedia a rotelle. I progetti, ponti verso il futuro, sono implosi. A rallentatore.
Prima rimpiccioliti, poi si sono ripiegati su se stessi fino a scomparire.
E’ diventato tutto chiaro, anche l’insorgere di quella strana stanchezza, calata come una cappa dall’alto. Come un sudario che soffoca, come la mancanza d’aria di un respiro trattenuto.
E poi quel formicolio alla gamba che s’insinua dal basso, sale lungo la coscia e avvolge il fianco.
Un corpo, il tuo, che diventa ostile.
- Muoviti! – dicevo alla gamba.
- Sollevati! – dicevo al piede.
E loro fermi!
Un figlio dispettoso che se ne infischia degli ordini. Un randagio che chiami per strada e nemmeno si volta. Ti puoi accovacciare sul marciapiede e mostrargli tutto il tuo campionario di vocine amichevoli che quello lì non ti degna di uno sguardo.
E’ il tuo corpo che si ribella.
E nelle tue parole, che fluivano senza interruzioni, io mi aspettavo che prima o poi avrei scorto un punteruolo fatto di rabbia e angoscia con cui avresti iniziato a scavare. Ero preparata al fatto che le avresti impastate con stizza e disappunto, intrise di lacrime e schiuma di saliva agli angoli della bocca.
E invece no, sorridevi.
Ero pronta ad ascoltare del dolore e della paura che entrano ed escono dalla cruna della sopportazione.
Della guerra di nervi, logorante, tra opposte fazioni: sperare o rassegnarsi.
Del dilemma se combattere la malattia o conviverci con cortese antipatia.
Della grandine che colpisce e rallenta l’andare, della neve così fredda che brucia i movimenti.
E invece tutti quei sentimenti li hai diluiti con acqua e tirati via con lo scavino.
Alcuni penso siano pietre incastonate, inevitabilmente scolpiti nella cerniera che ti separa dal mondo e ti salva da lui.
Suppongo che altri non verranno via se non sgretolando tutto il resto, producendo crepe e incrinature profonde.
Ma quelli sono solo tuoi, e tali devono restare.
Però quelli che hai voluto condividere con me sono diventati anche miei.
E mi hanno resa una persona migliore.
Ma poi quel vento, che prima si opponeva, stranamente le ha accompagnate.
Ieri hai guardando indietro, come una moviola, mentre me lo raccontavi.
E di tutti i frammenti incastrati alla rinfusa ad un certo punto hai individuato il punto esatto: il confine in cui il prima è diventato un dopo.
- Lei ha la sclerosi multipla – mi aveva detto il medico.
E mentre me lo raccontavi il sorriso non ha abbandonato le tue labbra nemmeno per un istante.
Allora ho capito tutto – hai aggiunto - ma prima che io capissi il mondo intorno a me si è sgretolato ed ho visto solo una sedia a rotelle. I progetti, ponti verso il futuro, sono implosi. A rallentatore.
Prima rimpiccioliti, poi si sono ripiegati su se stessi fino a scomparire.
E’ diventato tutto chiaro, anche l’insorgere di quella strana stanchezza, calata come una cappa dall’alto. Come un sudario che soffoca, come la mancanza d’aria di un respiro trattenuto.
E poi quel formicolio alla gamba che s’insinua dal basso, sale lungo la coscia e avvolge il fianco.
Un corpo, il tuo, che diventa ostile.
- Muoviti! – dicevo alla gamba.
- Sollevati! – dicevo al piede.
E loro fermi!
Un figlio dispettoso che se ne infischia degli ordini. Un randagio che chiami per strada e nemmeno si volta. Ti puoi accovacciare sul marciapiede e mostrargli tutto il tuo campionario di vocine amichevoli che quello lì non ti degna di uno sguardo.
E’ il tuo corpo che si ribella.
E nelle tue parole, che fluivano senza interruzioni, io mi aspettavo che prima o poi avrei scorto un punteruolo fatto di rabbia e angoscia con cui avresti iniziato a scavare. Ero preparata al fatto che le avresti impastate con stizza e disappunto, intrise di lacrime e schiuma di saliva agli angoli della bocca.
E invece no, sorridevi.
Ero pronta ad ascoltare del dolore e della paura che entrano ed escono dalla cruna della sopportazione.
Della guerra di nervi, logorante, tra opposte fazioni: sperare o rassegnarsi.
Del dilemma se combattere la malattia o conviverci con cortese antipatia.
Della grandine che colpisce e rallenta l’andare, della neve così fredda che brucia i movimenti.
E invece tutti quei sentimenti li hai diluiti con acqua e tirati via con lo scavino.
Alcuni penso siano pietre incastonate, inevitabilmente scolpiti nella cerniera che ti separa dal mondo e ti salva da lui.
Suppongo che altri non verranno via se non sgretolando tutto il resto, producendo crepe e incrinature profonde.
Ma quelli sono solo tuoi, e tali devono restare.
Però quelli che hai voluto condividere con me sono diventati anche miei.
E mi hanno resa una persona migliore.