Io e mia moglie abbiamo due figli. Grandetti, quasi adolescenti, diciamo. Li vedo spesso come se fossero un po’ più piccoli. Un difetto cognitivo antico, credo, un istinto animale che ti porta a proteggerli più, e non meno del necessario. Spesso mi sono trovato in situazioni in cui la loro fragilità è stata uno stimolo, un dato talmente urgente da mettermi nella condizione di poter affrontare qualsiasi cosa. Nulla di drammatico; parlo di normali situazioni del quotidiano, cose che ogni genitore ma anche ogni persona cui siano affidati dei piccoli, ha provato. Ma che risvegliavano ogni volta una specie di ferocia potenziale, quella che anche gli animali più minuscoli possiedono per difendere sé e la propria discendenza. Altrettanto spesso, come di rimbalzo, mi è toccato di sentirmi impotente e inutile per non poter risparmiare loro dolori anche piccoli, per un mal di denti o per la necessità di fare qualcosa di urgente e sgradito. E per quanto non fosse nulla di grave, spesso ho provato lo strazio di chi non può farci niente.
Stasera ho rivisto alcune parti di Schindler’s List. Uno dei tre film che ognuno, a mio avviso, dovrebbe vedere.
Varsavia, 13 marzo 1943, il giorno della liquidazione finale del Ghetto. Una famiglia sente i soldati avvicinarsi al quartiere. Una donna apre un nascondiglio nel muro, tira fuori un pugno di gioielli; roba piccola, anelli, pietre, piccoli pezzi d’oro. Prende una forma di pane e ne fa diverse fette larghe due dita.
La donna prende una fetta, scava un buco al centro, raccoglie con un pizzico una palla di mollica e ci avvolge un anello. Poi inizia a lavorare l’involucro e lo propone al primo dei familiari. Le urla dei soldati sono più vicine. Sono voci che paralizzano, urlano cose spaventose. La donna continua a staccare pezzi di mollica, li imbottisce di qualcosa di prezioso e li propone al secondo familiare in attesa. Tra loro ci sono anche bambini. Devono mangiare anche loro il pane che nasconde la salvezza. Si. Perché un ebreo lo sa da due millenni almeno, che quando l’aria si fa pesante, quando si sente odore di esodo, di reconquista, di pogrom, di esilio, è bene essere pronti a partire, con poca roba, leggera, meglio se anche piccola e preziosa. Perché da quell’oro nascosto potrebbe dipendere la fortuna di restare vivi, e di continuare, ricominciando, in qualche altra zona del mondo. Quindi anche un bambino deve essere bravo, non fare i capricci, e mandare giù la sua dose di pane e oro, di mollica e diamanti. Fuori però questa volta non c’è un nemico normale. Questa volta il diavolo ha fatto le cose in grande. È venuto lui in persona a prendere tutti. E allora un padre come lo spiega a un figlio che deve ingoiare quel pane ancora una volta? Che deve ingoiarlo lo stesso? Che fa male e segna la gola allo stesso modo di trecento anni fa, e di settecento, e di mille. E per andare dove, questa volta?
Fidati, figlio mio, in qualche modo ci salveremo. Lo so che non ho nessuna possibilità di salvarti. Non ne ho la forza, non posso averla. Un dio pigro non ha pensato che un padre poteva aver bisogno di una forza cento volte più grande, per salvare un figlio dal demonio che arriva. È quel dio pigro, forse, che ha creato il mondo, senza pensare che stamattina il diavolo sarebbe venuto a riprendersi tutto. Mangia lo stesso però, figlio, che al diavolo almeno questa cosa non la dobbiamo regalare: il nostro tentativo di farcela, la nostra disperata speranza, la mia, soprattutto, che non ti potrò mai salvare per l’eternità, ma che faccio almeno il gesto di provarci. Perché l’anima sta anche nei gesti, nei gesti che al momento giusto è bene fare. E forse almeno quella non la perderemo, o non la perderemo invano. Forza figlio mio, ingoia questo pane. Il diavolo è qua fuori, sta per entrare. Questo è l’ultimo momento di tutta la storia dei tempi e dell’eternità, in cui potrò esserti padre veramente. Quindi mangia, per favore. Che comunque dobbiamo partire.
Gli altri due film che ognuno dovrebbe vedere sono, secondo me, “C’era una volta in America” e “Blade Runner”. Ci ho pensato e l’ho realizzato poco fa, che i miei tre film preferiti parlano della stessa cosa, o quasi. "C’era una volta in America" racconta la storia di un gruppo di ebrei newyorkesi. Noodle-De Niro è ebreo, Max- Wood è ebreo, e così anche gli altri. "Blade Runner" parla di un pogrom, contro i replicanti, che sono l’altro per eccellenza. Come un bambino costretto a mangiare diamanti nel pane.
Stasera ho rivisto alcune parti di Schindler’s List. Uno dei tre film che ognuno, a mio avviso, dovrebbe vedere.
Varsavia, 13 marzo 1943, il giorno della liquidazione finale del Ghetto. Una famiglia sente i soldati avvicinarsi al quartiere. Una donna apre un nascondiglio nel muro, tira fuori un pugno di gioielli; roba piccola, anelli, pietre, piccoli pezzi d’oro. Prende una forma di pane e ne fa diverse fette larghe due dita.
La donna prende una fetta, scava un buco al centro, raccoglie con un pizzico una palla di mollica e ci avvolge un anello. Poi inizia a lavorare l’involucro e lo propone al primo dei familiari. Le urla dei soldati sono più vicine. Sono voci che paralizzano, urlano cose spaventose. La donna continua a staccare pezzi di mollica, li imbottisce di qualcosa di prezioso e li propone al secondo familiare in attesa. Tra loro ci sono anche bambini. Devono mangiare anche loro il pane che nasconde la salvezza. Si. Perché un ebreo lo sa da due millenni almeno, che quando l’aria si fa pesante, quando si sente odore di esodo, di reconquista, di pogrom, di esilio, è bene essere pronti a partire, con poca roba, leggera, meglio se anche piccola e preziosa. Perché da quell’oro nascosto potrebbe dipendere la fortuna di restare vivi, e di continuare, ricominciando, in qualche altra zona del mondo. Quindi anche un bambino deve essere bravo, non fare i capricci, e mandare giù la sua dose di pane e oro, di mollica e diamanti. Fuori però questa volta non c’è un nemico normale. Questa volta il diavolo ha fatto le cose in grande. È venuto lui in persona a prendere tutti. E allora un padre come lo spiega a un figlio che deve ingoiare quel pane ancora una volta? Che deve ingoiarlo lo stesso? Che fa male e segna la gola allo stesso modo di trecento anni fa, e di settecento, e di mille. E per andare dove, questa volta?
Fidati, figlio mio, in qualche modo ci salveremo. Lo so che non ho nessuna possibilità di salvarti. Non ne ho la forza, non posso averla. Un dio pigro non ha pensato che un padre poteva aver bisogno di una forza cento volte più grande, per salvare un figlio dal demonio che arriva. È quel dio pigro, forse, che ha creato il mondo, senza pensare che stamattina il diavolo sarebbe venuto a riprendersi tutto. Mangia lo stesso però, figlio, che al diavolo almeno questa cosa non la dobbiamo regalare: il nostro tentativo di farcela, la nostra disperata speranza, la mia, soprattutto, che non ti potrò mai salvare per l’eternità, ma che faccio almeno il gesto di provarci. Perché l’anima sta anche nei gesti, nei gesti che al momento giusto è bene fare. E forse almeno quella non la perderemo, o non la perderemo invano. Forza figlio mio, ingoia questo pane. Il diavolo è qua fuori, sta per entrare. Questo è l’ultimo momento di tutta la storia dei tempi e dell’eternità, in cui potrò esserti padre veramente. Quindi mangia, per favore. Che comunque dobbiamo partire.
Gli altri due film che ognuno dovrebbe vedere sono, secondo me, “C’era una volta in America” e “Blade Runner”. Ci ho pensato e l’ho realizzato poco fa, che i miei tre film preferiti parlano della stessa cosa, o quasi. "C’era una volta in America" racconta la storia di un gruppo di ebrei newyorkesi. Noodle-De Niro è ebreo, Max- Wood è ebreo, e così anche gli altri. "Blade Runner" parla di un pogrom, contro i replicanti, che sono l’altro per eccellenza. Come un bambino costretto a mangiare diamanti nel pane.