Innovazione Crescita Occupazione
La fase storica che oggi viviamo è comunemente definita “era immateriale” o della “conoscenza”. In altre parole significa che gli svolgimenti economici dei paesi avanzati considerano la cultura un asset primario, fondamento su cui seminare nuovi processi produttivi e su cui far ripartire l’economia su nuovi presupposti, dopo la tempestosa crisi che ci travolge oramai da sette anni. Si tratta di un concetto economico da cui non si potrà prescindere, che da noi incontra alcune difficoltà a farsi strada, sebbene gli esempi e le buone pratiche in Italia come in Europa non manchino.
L’UE nella programmazione dei fondi 2014-2020 pone l’innovazione e la cultura al centro delle proprie politiche per una crescita economica e sociale più inclusiva e sostenibile. La cultura quindi al centro della sfera economica e politica del progetto europeo, la cultura come lievito dell’economia per innovare e crescere, per avviare nuove star up e per far ripartire le attività di tipo tradizionale. Nei atti di indirizzo e nelle raccomandazioni che la Commissione diffonde ripetutamente, si sottolinea con forza che la cultura produce ricchezza, dando un contributo di circa il 5% al PIL europeo e la creazione di oltre sette milioni di posti di lavoro. Dall’altro si rimarca che la cultura è fonte di creatività e innovazione, favorendo dialogo e coesione sociale, nonché la trasmissione di valori di interesse comune. La ripresa economica passa dunque attraverso processi che pongono la cultura al centro delle strategie dello sviluppo locale. Innovazione, creatività e cultura sono gli asset su cui scommette l’Europa nella programmazione 2014-2020.
Ma affinché tutto questo trovi pratica e concreta applicazione in territori come la Gallura, occorre mettere in campo un metodo di lavoro che veda protagonista il sistema produttivo locale. Per intenderci, se un paese vuole progettare un modello di sviluppo centrato sulla creatività e sull’innovazione, occorre che tutto il paese si rispecchi in quel modello socio-economico, tale da renderlo efficace, praticabile, sostenibile. In buona sostanza è necessario comprendere che per fare innovazione non basta concentrare risorse su pochi centri di ricerca e sperimentazione (talora scollegati dal sistema delle imprese), ma al contrario occorre fare in modo che l’orientamento al pensiero e all’innovazione diventi un comportamento diffuso e condiviso dall’intera società e dall’intera economia. Senza questo processo il rischio è che tutti gli forzi possano essere vani, raggiungendo magari punte di eccellenza, ma il sistema produttivo locale ne rimarrà estraneo e i benefici andranno a favore di poche “avanguardie”. Implementare centri di eccellenza, dimenticandosi dei territori, vuol dire ripetere, su un altro livello, il vecchio abbaglio delle “cattedrali nel deserto”.
Per non replicare questi errori, cosa bisognerebbe fare?
L’innovazione e la creatività hanno bisogno di complessi meccanismi di conoscenza e diffusione per consentire ai sistemi locali di poter essere acquisiti. Hanno bisogno di far sì che conoscenze e saperi vengano divulgati e che raggiungano il maggior numero di utilizzatori, fruitori e consumatori. Le innovazioni vanno calate nelle realtà produttive e seminate nei territori, soprattutto in quei territori dov’è presente un forte tessuto produttivo, magari entrato in crisi proprio per mancanza di innovazione, come ad esempio è il caso dell’industria del sughero in Gallura. Chi studia i distretti industriali evidenzia che non potrà esserci vero sviluppo senza la formazione di un “ambiente industriale”, senza un diffuso trasferimento delle conoscenze nei quali si concretizza la capacità di “saper fare”. Dove questo è mancato, il sistema distrettuale è andato in crisi, mentre ha reso più forti quei distretti laddove il trasferimento delle conoscenze e dell’innovazione è stato posto a base della propria azione strategica.
Un modo nuovo e concreto per uscire dalla crisi, anche dalla crisi dei sistemi distrettuali locali ancorati alle attività tradizionali, si sta rivelando il Distretto Culturale Evoluto, un luogo dove confrontarsi per l’avvio di progetti di sviluppo territoriale. Un modo per far evolvere il sistema produttivo tradizionale attraverso il traino della cultura. Un distretto inteso come sistema territorialmente definito, coincidente con un’area ad alta densità di risorse culturali, materiali e immateriali e ambientali di pregio, caratterizzato da un elevato livello di articolazione e da un marcato sviluppo di filiere produttive collegate.
In Gallura, regione connotata da una forte identitarietà culturale e linguistica, la cultura entrerebbe in campo in modo diretto e complementare agli altri elementi. Non solo, quindi, come oggetto del distretto, ma come logica, come elemento che avvicina e integra tutti gli elementi in grado di far evolvere il sistema produttivo tradizionale e far lievitare la progettualità. In sostanza, una sorta di “complementarietà strategica”. La Gallura riscontra pochissima attività e animazione in campo culturale e tecnico scientifico. Le attività industriali generatrici di valore, necessitano di forti innovazioni e quanto viene ancora prodotto è frutto della forza inerziale del passato (come nell’industria del sughero). Sono assenti centri di formazione e innovazione; rari i divulgatori e pubblicisti che si segnalano all’attenzione del pubblico su tematiche inerenti lo sviluppo locale; mentre le iniziative culturali, sia a carattere istituzionale che del volontariato hanno valenza strettamente localistica con orizzonti che non varcano mai i confini comunali. Le attività economiche legate alla creatività sono assenti, come pure le startup innovative.
Il distretto culturale evoluto della Gallura, dunque, come contenitore del patrimonio di competenze capaci di fare da volano allo sviluppo economico, in una logica di partnership e collaborazione tra settore pubblico, imprenditoria privata e no-profit per trasformare la cultura in fattore produttivo misurabile, capace di generare una nuova classe di imprenditori. In questo sfondo la cultura come fattore che sta all’origine della catena del valore, il canale attraverso cui affermare un diffuso orientamento sociale verso l’innovazione e il talento. Il distretto culturale rappresenta una speranza per il territorio se avrà la forza di unire la cultura, intesa non solo come sviluppo attrattivo per il turismo, ma come contenitore di eccellenza, creatività e innovazione. Non si tratta di un modello astratto, poiché si assiste ad un proliferare di esperienze che rispecchiano questa logica e ne dimostrano la straordinaria ricchezza, aumentando la qualità della vita e l’attrattività del sistema locale. Sono esperienze che prefigurano un nuovo meccanismo di crescita interna nel quale l’innovazione culturale si traduce in capacità innovativa di sistema nel suo complesso.
La fase storica che oggi viviamo è comunemente definita “era immateriale” o della “conoscenza”. In altre parole significa che gli svolgimenti economici dei paesi avanzati considerano la cultura un asset primario, fondamento su cui seminare nuovi processi produttivi e su cui far ripartire l’economia su nuovi presupposti, dopo la tempestosa crisi che ci travolge oramai da sette anni. Si tratta di un concetto economico da cui non si potrà prescindere, che da noi incontra alcune difficoltà a farsi strada, sebbene gli esempi e le buone pratiche in Italia come in Europa non manchino.
L’UE nella programmazione dei fondi 2014-2020 pone l’innovazione e la cultura al centro delle proprie politiche per una crescita economica e sociale più inclusiva e sostenibile. La cultura quindi al centro della sfera economica e politica del progetto europeo, la cultura come lievito dell’economia per innovare e crescere, per avviare nuove star up e per far ripartire le attività di tipo tradizionale. Nei atti di indirizzo e nelle raccomandazioni che la Commissione diffonde ripetutamente, si sottolinea con forza che la cultura produce ricchezza, dando un contributo di circa il 5% al PIL europeo e la creazione di oltre sette milioni di posti di lavoro. Dall’altro si rimarca che la cultura è fonte di creatività e innovazione, favorendo dialogo e coesione sociale, nonché la trasmissione di valori di interesse comune. La ripresa economica passa dunque attraverso processi che pongono la cultura al centro delle strategie dello sviluppo locale. Innovazione, creatività e cultura sono gli asset su cui scommette l’Europa nella programmazione 2014-2020.
Ma affinché tutto questo trovi pratica e concreta applicazione in territori come la Gallura, occorre mettere in campo un metodo di lavoro che veda protagonista il sistema produttivo locale. Per intenderci, se un paese vuole progettare un modello di sviluppo centrato sulla creatività e sull’innovazione, occorre che tutto il paese si rispecchi in quel modello socio-economico, tale da renderlo efficace, praticabile, sostenibile. In buona sostanza è necessario comprendere che per fare innovazione non basta concentrare risorse su pochi centri di ricerca e sperimentazione (talora scollegati dal sistema delle imprese), ma al contrario occorre fare in modo che l’orientamento al pensiero e all’innovazione diventi un comportamento diffuso e condiviso dall’intera società e dall’intera economia. Senza questo processo il rischio è che tutti gli forzi possano essere vani, raggiungendo magari punte di eccellenza, ma il sistema produttivo locale ne rimarrà estraneo e i benefici andranno a favore di poche “avanguardie”. Implementare centri di eccellenza, dimenticandosi dei territori, vuol dire ripetere, su un altro livello, il vecchio abbaglio delle “cattedrali nel deserto”.
Per non replicare questi errori, cosa bisognerebbe fare?
L’innovazione e la creatività hanno bisogno di complessi meccanismi di conoscenza e diffusione per consentire ai sistemi locali di poter essere acquisiti. Hanno bisogno di far sì che conoscenze e saperi vengano divulgati e che raggiungano il maggior numero di utilizzatori, fruitori e consumatori. Le innovazioni vanno calate nelle realtà produttive e seminate nei territori, soprattutto in quei territori dov’è presente un forte tessuto produttivo, magari entrato in crisi proprio per mancanza di innovazione, come ad esempio è il caso dell’industria del sughero in Gallura. Chi studia i distretti industriali evidenzia che non potrà esserci vero sviluppo senza la formazione di un “ambiente industriale”, senza un diffuso trasferimento delle conoscenze nei quali si concretizza la capacità di “saper fare”. Dove questo è mancato, il sistema distrettuale è andato in crisi, mentre ha reso più forti quei distretti laddove il trasferimento delle conoscenze e dell’innovazione è stato posto a base della propria azione strategica.
Un modo nuovo e concreto per uscire dalla crisi, anche dalla crisi dei sistemi distrettuali locali ancorati alle attività tradizionali, si sta rivelando il Distretto Culturale Evoluto, un luogo dove confrontarsi per l’avvio di progetti di sviluppo territoriale. Un modo per far evolvere il sistema produttivo tradizionale attraverso il traino della cultura. Un distretto inteso come sistema territorialmente definito, coincidente con un’area ad alta densità di risorse culturali, materiali e immateriali e ambientali di pregio, caratterizzato da un elevato livello di articolazione e da un marcato sviluppo di filiere produttive collegate.
In Gallura, regione connotata da una forte identitarietà culturale e linguistica, la cultura entrerebbe in campo in modo diretto e complementare agli altri elementi. Non solo, quindi, come oggetto del distretto, ma come logica, come elemento che avvicina e integra tutti gli elementi in grado di far evolvere il sistema produttivo tradizionale e far lievitare la progettualità. In sostanza, una sorta di “complementarietà strategica”. La Gallura riscontra pochissima attività e animazione in campo culturale e tecnico scientifico. Le attività industriali generatrici di valore, necessitano di forti innovazioni e quanto viene ancora prodotto è frutto della forza inerziale del passato (come nell’industria del sughero). Sono assenti centri di formazione e innovazione; rari i divulgatori e pubblicisti che si segnalano all’attenzione del pubblico su tematiche inerenti lo sviluppo locale; mentre le iniziative culturali, sia a carattere istituzionale che del volontariato hanno valenza strettamente localistica con orizzonti che non varcano mai i confini comunali. Le attività economiche legate alla creatività sono assenti, come pure le startup innovative.
Il distretto culturale evoluto della Gallura, dunque, come contenitore del patrimonio di competenze capaci di fare da volano allo sviluppo economico, in una logica di partnership e collaborazione tra settore pubblico, imprenditoria privata e no-profit per trasformare la cultura in fattore produttivo misurabile, capace di generare una nuova classe di imprenditori. In questo sfondo la cultura come fattore che sta all’origine della catena del valore, il canale attraverso cui affermare un diffuso orientamento sociale verso l’innovazione e il talento. Il distretto culturale rappresenta una speranza per il territorio se avrà la forza di unire la cultura, intesa non solo come sviluppo attrattivo per il turismo, ma come contenitore di eccellenza, creatività e innovazione. Non si tratta di un modello astratto, poiché si assiste ad un proliferare di esperienze che rispecchiano questa logica e ne dimostrano la straordinaria ricchezza, aumentando la qualità della vita e l’attrattività del sistema locale. Sono esperienze che prefigurano un nuovo meccanismo di crescita interna nel quale l’innovazione culturale si traduce in capacità innovativa di sistema nel suo complesso.