Un presidente uscente che ha governato per 5 anni la propria regione e che intende ricandidarsi, riproporsi al giudizio degli elettori, che fa? Nella fisiologia di un sistema democratico un candidato uscente presenta il suo bilancio di fine mandato, informa i cittadini di quanto ha fatto e realizzato, presenta, come si dice, il bilancio sociale.
Poiché i 5 anni che Cappellacci ci consegna vengono considerati tra i peggiori della storia autonomistica, è chiaro che non potrà certificare che dei 100.000 posti di lavoro promessi nel 2009 non se vista l’ombra, ma che addirittura, cammin facendo, ne ha persi 80.000 per strada di quelli che un lavoro ce l’avevano. Il governatore uscente non potrà certamente dire in campagna elettorale che la sua Sardegna ha perso il 12% del PIL, ricacciandola indietro di trent’anni. Quindi niente rendiconto, perché ne certificherebbe il fallimento su tutti i fronti: dalla continuità territoriale, alla vertenza sulle entrate, al riordino del bilancio regionale, al piano di rilancio del turismo e dell’agricoltura, al mancato piano di valorizzazione delle risorse locali.
Ecco che allora urge la genialata, il colpo d’estro, l’utilizzo a piene mani di etere (inteso come molecola anestetizzante), della parolina, giacché la parolina magica non richiede spiegazioni complesse. Dunque non consegno alcun bilancio del mio governo (e come potrei), nondimeno faccio un’altra promessa, non rinnovo i 100.000 nuovi posti di lavoro, lì ho toppato, faccio di più, prometto la zona franca. Ecco cosa deve aver pensato il governatore uscente nel generare questa fantasia, perché l’istituzione della zona franca, così come la propaganda il centrodestra, è pura e mera fantasia, giusto per usare un eufemismo.
Ma davvero potremmo mai credere che una regione con 1.650.000 persone possa vivere sulle spalle altrui? Possiamo davvero pensare che saranno altri a pagare i servizi di cui abbiamo bisogno? Semplificando, è naturale che a quei cittadini che vivono in una regione a regime defiscalizzato bisognerà dare gli stessi servizi che godono gli altri cittadini della stessa nazione, solo che quei residenti non pagheranno le tasse: questa è la zona franca integrale. Un conto è l’istituzione di punti franchi localizzati in realtà particolarmente difficili, di qualche migliaio di abitanti, altro è una regione tra le più estese d’Italia, circondata dal mare com’è un’isola. Tant’è che non esiste nessun altra esperienza al mondo che operi in regime defiscalizzato in un così ampio contesto e le zone vigenti riguardano punti ben delimitati. E’ ingannevole citare l’esempio di Livigno, minuscola comunità ubicata in un fondo valle alpino, controllata da un’unica via di entrata ed uscita. Ma promettere cose fasulle, è noto, non si paga pegno, in ogni caso si potrà sempre scaricare il fallimento o su Roma o Bruxelles.
Il governatore Cappellacci in un’intervista del 30 dicembre scorso al quotidiano “Il Giornale” in sostanza sostiene che la zona franca ci è dovuta “per ripagare la Sardegna piagata dalla crisi e da scelte politiche poco lungimiranti” (soprattutto le sue), perché la zona franca sarebbe un affare finanche per l’Italia e l’Europa. Afferma che “nei prossimi 40 anni lo scenario economico mondiale cambierà” (che acutezza!) e che gli abitanti dell'Africa si moltiplicheranno: dal miliardo attuale a 2,5 nel 2050, a 4 addirittura nel 2100. Dunque il futuro sta nel continente africano con le conseguenti prospettive economiche. Capito! La crescita demografica ed economica africana, secondo il Cappellacci pensiero, non potrebbe costituire una possibile prospettiva di sbocco per i manufatti e prodotti fabbricati in Sardegna, quindi attrezziamoci, no. Al contrario saremo noi a stoccare le loro merci per fare da magazzino a quelle africane destinate ai mercati europei. In realtà cosa dovrebbe essere la zona franca che sta nella mente del presidente? Un grande deposito di 24.000 Kmq che corre da Spartivento a Capo Testa. Comprendano dunque gli imprenditori sardi: niente rilancio dell’industria, dei prodotti locali, niente formazione e ricerca, niente piani di riqualificazione del settore turistico e dell’industria culturale e creativa, niente infrastrutture per telecomunicazioni, niente rinnovabili (a queste ci pensa Flavio Carboni) niente di quanto si dovrà programmare e prevedere per acchiappare crescita e sviluppo in una società post moderna come la nostra. Noi, che potremmo trasferire nel continente africano tecnologie, sanità, beni e servizi di qualità, se solo si veicolassero gli adeguati investimenti, ci proponiamo come magazzinieri - dopo l’era dei camerieri - delle mercanzie del continente africano semmai dovessero approdare in Europa.
Naturalmente il transito delle merci africane attraverso la Sardegna avrà inizio all’incirca nel 2050, ovvero tra 40 anni come stima il governatore uscente. Nel frattempo, nel tempo in cui la magia della zona franca non sarà a regime, beati e tranquilli noi vivremo a spese dell’Italia e dell’Europa, perché nell’attesa qualcuno comunque dovrà pagare ciò che ora viene pagato con i trasferimenti. Gliel’avranno spiegato a Cappellacci che in regime di zona franca è vero che avrai un regime defiscalizzato, ma è altrettanto vero che perderai la parte più rilevante dei trasferimenti dello stato. Nell’attesa del miracolo industriale africano chi pagherà la nostra scuola e università, posto che possano ancora servire; qualcuno dovrà pagare la nostra sanita, le nostre pensioni, asfaltare le strade e illuminare città e paesi, riscaldare edifici pubblici e ospedali e far correre l’acqua nei rubinetti, tutta questa roba, ci chiediamo, a carico di chi la mettiamo? Saprà mai Cappellacci darci barlumi?
Poiché i 5 anni che Cappellacci ci consegna vengono considerati tra i peggiori della storia autonomistica, è chiaro che non potrà certificare che dei 100.000 posti di lavoro promessi nel 2009 non se vista l’ombra, ma che addirittura, cammin facendo, ne ha persi 80.000 per strada di quelli che un lavoro ce l’avevano. Il governatore uscente non potrà certamente dire in campagna elettorale che la sua Sardegna ha perso il 12% del PIL, ricacciandola indietro di trent’anni. Quindi niente rendiconto, perché ne certificherebbe il fallimento su tutti i fronti: dalla continuità territoriale, alla vertenza sulle entrate, al riordino del bilancio regionale, al piano di rilancio del turismo e dell’agricoltura, al mancato piano di valorizzazione delle risorse locali.
Ecco che allora urge la genialata, il colpo d’estro, l’utilizzo a piene mani di etere (inteso come molecola anestetizzante), della parolina, giacché la parolina magica non richiede spiegazioni complesse. Dunque non consegno alcun bilancio del mio governo (e come potrei), nondimeno faccio un’altra promessa, non rinnovo i 100.000 nuovi posti di lavoro, lì ho toppato, faccio di più, prometto la zona franca. Ecco cosa deve aver pensato il governatore uscente nel generare questa fantasia, perché l’istituzione della zona franca, così come la propaganda il centrodestra, è pura e mera fantasia, giusto per usare un eufemismo.
Ma davvero potremmo mai credere che una regione con 1.650.000 persone possa vivere sulle spalle altrui? Possiamo davvero pensare che saranno altri a pagare i servizi di cui abbiamo bisogno? Semplificando, è naturale che a quei cittadini che vivono in una regione a regime defiscalizzato bisognerà dare gli stessi servizi che godono gli altri cittadini della stessa nazione, solo che quei residenti non pagheranno le tasse: questa è la zona franca integrale. Un conto è l’istituzione di punti franchi localizzati in realtà particolarmente difficili, di qualche migliaio di abitanti, altro è una regione tra le più estese d’Italia, circondata dal mare com’è un’isola. Tant’è che non esiste nessun altra esperienza al mondo che operi in regime defiscalizzato in un così ampio contesto e le zone vigenti riguardano punti ben delimitati. E’ ingannevole citare l’esempio di Livigno, minuscola comunità ubicata in un fondo valle alpino, controllata da un’unica via di entrata ed uscita. Ma promettere cose fasulle, è noto, non si paga pegno, in ogni caso si potrà sempre scaricare il fallimento o su Roma o Bruxelles.
Il governatore Cappellacci in un’intervista del 30 dicembre scorso al quotidiano “Il Giornale” in sostanza sostiene che la zona franca ci è dovuta “per ripagare la Sardegna piagata dalla crisi e da scelte politiche poco lungimiranti” (soprattutto le sue), perché la zona franca sarebbe un affare finanche per l’Italia e l’Europa. Afferma che “nei prossimi 40 anni lo scenario economico mondiale cambierà” (che acutezza!) e che gli abitanti dell'Africa si moltiplicheranno: dal miliardo attuale a 2,5 nel 2050, a 4 addirittura nel 2100. Dunque il futuro sta nel continente africano con le conseguenti prospettive economiche. Capito! La crescita demografica ed economica africana, secondo il Cappellacci pensiero, non potrebbe costituire una possibile prospettiva di sbocco per i manufatti e prodotti fabbricati in Sardegna, quindi attrezziamoci, no. Al contrario saremo noi a stoccare le loro merci per fare da magazzino a quelle africane destinate ai mercati europei. In realtà cosa dovrebbe essere la zona franca che sta nella mente del presidente? Un grande deposito di 24.000 Kmq che corre da Spartivento a Capo Testa. Comprendano dunque gli imprenditori sardi: niente rilancio dell’industria, dei prodotti locali, niente formazione e ricerca, niente piani di riqualificazione del settore turistico e dell’industria culturale e creativa, niente infrastrutture per telecomunicazioni, niente rinnovabili (a queste ci pensa Flavio Carboni) niente di quanto si dovrà programmare e prevedere per acchiappare crescita e sviluppo in una società post moderna come la nostra. Noi, che potremmo trasferire nel continente africano tecnologie, sanità, beni e servizi di qualità, se solo si veicolassero gli adeguati investimenti, ci proponiamo come magazzinieri - dopo l’era dei camerieri - delle mercanzie del continente africano semmai dovessero approdare in Europa.
Naturalmente il transito delle merci africane attraverso la Sardegna avrà inizio all’incirca nel 2050, ovvero tra 40 anni come stima il governatore uscente. Nel frattempo, nel tempo in cui la magia della zona franca non sarà a regime, beati e tranquilli noi vivremo a spese dell’Italia e dell’Europa, perché nell’attesa qualcuno comunque dovrà pagare ciò che ora viene pagato con i trasferimenti. Gliel’avranno spiegato a Cappellacci che in regime di zona franca è vero che avrai un regime defiscalizzato, ma è altrettanto vero che perderai la parte più rilevante dei trasferimenti dello stato. Nell’attesa del miracolo industriale africano chi pagherà la nostra scuola e università, posto che possano ancora servire; qualcuno dovrà pagare la nostra sanita, le nostre pensioni, asfaltare le strade e illuminare città e paesi, riscaldare edifici pubblici e ospedali e far correre l’acqua nei rubinetti, tutta questa roba, ci chiediamo, a carico di chi la mettiamo? Saprà mai Cappellacci darci barlumi?