Non importano le sfumature. Non importa se tocca solo i nuovi assunti.
Importa il segnale, la scelta di inserire tra le priorità un certo argomento piuttosto che un altro. E non mi rassicura la marcia indietro del giorno dopo.
Confonde un orizzonte, il senso di appartenenza, sradica paletti che speravamo eterni.
Se in uno dei suoi primi interventi programmatici Matteo Renzi ha attentato alle fondamenta dello Statuto dei Lavoratori, minacciando un pilastro come l'articolo 18, bisogna chiedersi se basti indossare una maglietta col logo del Partito Democratico per rappresentare i valori storici della sinistra.
Si rappresentano i valori di sinistra se, anche solo per una fascia ristretta di lavoratori, si rinuncia a difendere il loro diritto all'occupazione, qualora un giudice stabilisca che anche uno solo di loro sia stato licenziato ingiustamente?
Quanti altri privilegi e ingiustizie avrebbe potuto affrontare al suo primo vero intervento da leader un vero leader della sinistra?
Non mi interessano dettagli, non mi riguardano i raffronti col mercato del lavoro mondiale, non mi incantano i discorsi sulla crisi da vincere adottando misure radicali
Mi interessa il primo segnale trasmesso dal nuovo Messia Renzi. Un macigno.
Un cedimento, definitivo.
Se una trentenne laureata, un giorno, respingesse le avance del datore di lavoro bavoso e questi dovesse licenziarla adducendo un qualunque altro pretesto, una legge proposta dal segretario del principale partito di sinistra lo metterebbe dalla parte della ragione.
Il 23 marzo 2002, tre milioni di persone scesero in piazza a Roma per manifestare contro l'abolizione dell'articolo 18 avviata dal governo Berlusconi.
Ecco cosa scriveva il giorno dopo Eugenio Scalfari su Repubblica:
"Ma non era una folla, non era un'indistinta marea, erano persone che pur nella loro diversità anagrafica e sociale avevano alcuni tratti comuni: la compostezza, la maturità degli atteggiamenti, la tranquilla ma ferma decisione di difendere una causa giusta, in nome proprio e in nome di tutto un paese: la causa della democrazia contro la violenza, della certezza dei diritti contro l'arbitrio, della libera eguaglianza contro il privilegio. Per questo non era una folla quella accorsa da tutta Italia alla chiamata del sindacato, ma un soggetto sociale e politico".
Era una causa giusta e la sinistra voleva difenderla.
Voleva difenderla dall'aggressione di un governo di destra.
Oggi non è più una causa giusta.
O forse non è più sinistra.
E forse non siamo più noi.