
Però i gatti mi sono sempre piaciuti, anche più dei cani.
Sono cresciuto in una zona periferica del mio paese, dove era ancora possibile vedere conigli, galline, tartarughe d’acqua (quella europea, non quella californiana), bisce, civette, rane, a volte capre e pecore e –naturalmente- cani e gatti come se piovesse. Una volta ho visto anche un grifone.
Io e mia sorella maggiore (cioè, minore di me ma maggiore dell’altra, che ancora non era nata) con la complicità di mia zia, nel periodo tra il 1974 (il primo anno di cui serbi vaghe rimembranze feline) e il 1995, abbiamo dato udienza, accolto, battezzato e adottato decine di gatti. Ma forse era anche il 2000, quando smettemmo. Poi mi sono trasferito ma ho continuato a lasciare la porta aperta, e ogni tanto qualche gatto entra.
Il primo felide, anzi la prima, di cui voglio raccontarvi l’ho incontrata di recente. Fine 2009-inizio 2010. Era già grande e aveva sicuramente altri nomi. Mia figlia, che di animali ne capisce parecchio, sostiene che i vecchi padroni la chiamassero “Gatto” o “Gatta”. Un giorno ci ha adottato ed è diventata Mimi. Senza accento finale.
Era un gatto caratterialmente spettacolare: equilibrata, non invadente, comunicativa, capace di giocare. È arrivata in un periodo in cui a casa faceva comodo una come lei. I bambini l’avevano scelta come punto di riferimento per alcuni giochi, cui lei si prestava senza problemi perché di solito si trattava di storie in cui era previsto l’arrivo di un mostro, di un leone o di qualche Leviatano simile. Lei aspettava il suo turno e quando veniva messa in scena faceva serenamente il suo ingresso tra i giocattoli, devastando gli eserciti e spazzolando via gli avamposti realizzati per contenerne l'avanzata. Più o meno.
Con me invece faceva un altro gioco. La mattina, quando uscivo di casa a piedi per andare in ufficio, mi seguiva fuori dal cancello e mi si metteva dietro, cercando di afferrarmi dalla caviglia. Una specie di sgambetto o il tentativo di fermarmi o solo un segnale per dire “ci sono, gioca!”. Allora la prendevo in braccio, la riportavo a casa, lei saltava il cancello e riprendeva. Dopo un paio di tentativi lasciava perdere.
Un giorno, credo fosse maggio, io e mia moglie con i bambini stavamo mangiando nel piazzaletto fuori dalla nostra cucina, affacciato sul giardino dei padroni di casa.
Ad un certo punto abbiamo sentito qualcosa, un movimento, un rumore indefinito, non ricordo. Dopo poco ci siamo accorti che Mimi si era sdraiata dietro il tronco di un grande glicine, che quando è in fiore o in fase di produzione delle foglie, nasconde completamente il cortile che sta dall’altra parte del muro. Ci sembrava stesse male. Allora mi sono avvicinato. Non sembrava avesse ferite, però aveva un goccio di sangue su un labbro. Non mi sono allarmato perché ai gatti capita ben altro, e se la cavano senza problemi. Però Mimi non stava bene per niente. Non si muoveva e ci guardava in un modo che colpiva. Col passare dei minuti il suo corpo ha iniziato a gonfiarsi. Il veterinario non rispondeva. Un’amica che ne capisce mi ha detto che poteva essere stata morsa o investita. Ho capito dopo, me lo hanno spiegato, che il gonfiore poteva essere causato dall’esplosione di un polmone per un’embolia, o da qualche emorragia interna causata da un forte trauma. I bambini hanno iniziato a piangere. Avevano capito che se ne stava andando. Nel terreno accanto, quello nascosto dal glicine, girava un maremmano molto aggressivo, con la museruola. Un ospite occasionale che viveva da un’altra parte ed era stato lasciato in custodia ai vicini per qualche ora. Fino a un’ora prima non aveva la museruola e ora ce l’aveva. Abbiamo sempre pensato che sia stato lui. Animali.
Nel giro di mezz’ora Mimi non c’era più. I bambini hanno pianto per tutto il pomeriggio. Io e mia moglie no, ma quasi. Anzi, io la notte non dico che ho pianto, ma a un certo punto ho sentito un bruciore agli occhi e me li sono dovuti asciugare; è stato quando mia moglie mi ha chiesto “Cosa c’è?” e io le ho risposto “Mi dispiace”. È stato in quel momento.
Comunque. Avevo Mimi senza vita davanti a me. Volevo ringraziarla per come si era presentata a casa nostra, per come era riuscita ad avere un rapporto con tutti noi. Volevo, ma non sapevo come fare, specie ora che non c’era più.
Poi mi è venuta un’idea. Ho preso il corpo, ho preso una pala e sono andato in un punto di Caprera che non tutti conoscono, una piana circondata di pini e corbezzoli che si apre verso nord est, scende verso il mare e fa spingere lo sguardo fino alle cime della Corsica, che anche a maggio possono indossare un po’ di neve. Quel giorno c’era.
Ora Mimi è per sempre sotto un lentisco.
Vicino a lei dorme Marsala, il cavallo di Giuseppe Garibaldi.