Questo iter, per nulla facile, fu reso ancora più spinoso dal clima di tensione che si respirava a La Maddalena in quel periodo. Si era alle prese con l’idea (fortemente sostenuta da Soru) che si potesse riconvertire l’economia di molte realtà sarde passando dal militare al civile, dalle stellette al turismo, investendo in risorse fino ad allora non del tutto valorizzate: l’ambiente, la bellezza del territorio, le energie e le idee delle comunità locali. Si pensava che ci si potesse emancipare da un tipo di economia che garantiva un certo benessere, ma lo garantiva secondo dinamiche completamente fuori dal controllo delle popolazioni beneficiate dai posti di lavoro: della serie che le basi militari, italiane o straniere, avevano sempre obbedito a logiche che di sociale avevano ben poco: arrivano e se ne vanno quando le esigenze della difesa, oltre che i bilanci di uno Stato, vogliono così. È successo con la Base Americana di Santo Stefano e con molte altre realtà. Ma il punto su cui fortissime furono le polemiche è proprio questo: Soru credeva nella trasformazione di un’economia da militare a turistica, e faceva quel che poteva per favorire il passaggio. Il punto è che Soru, contro Bush, non avrebbe potuto fare nulla se l’America non avesse avuto intenzione di andarsene. In molti provammo a spiegare questo aspetto, invitando chi era contrario alla chiusura della base a distinguere tra intenzioni ed effetti, tra cose desiderate e cose causate. Tra quel che era giusto chiedere e quel che era ragionevole aspettarsi. E quindi anche tra chi era responsabile e chi era solo soddisfatto per ciò che stava capitando Nulla da fare. Molti continuarono a pensare che Soru aveva mandato via gli Americani e con loro tutti quei posti di lavoro.
È di ieri la notizia che la Difesa USA sta per ridurre il personale civile nelle basi militari di Aviano, Sigonella, Vicenza-Ederle, Livorno-Camp Darby e Napoli e che, a differenza di quello che avvenne qualche anno fa, nessuno potrà godere dell’ombrello della Legge 98/71. Molti dipendenti civili italiani di queste installazioni rischiano il licenziamento e basta.
Questo ci ricorda ancora una volta che l’economia militare è sicura né più né meno come quella legata alla grande industria che si avventura oggi qui e domani lì; in Sardegna ne sappiamo qualcosa. Una volta che non c’è più interesse strategico le armi si posizionano, da millenni, dove conviene, dove è più facile controllare ed eventualmente colpire il nemico, senza remore per chi rimane col culo per terra o è costretto a emigrare per mantenere l’impiego.
Mi chiedo solo se i detrattori di Soru ammetteranno di avere sbagliato le loro valutazioni allora e se questo potrà servire per ripensare ancora una volta alla necessità, per lo meno, di mettere in discussione la presenza militare in Sardegna anziché considerarla un totem innominabile e salvifico senza il quale saremmo perduti.