Sono sicuro che la cosa che più vi interesserà di questo post sta nelle righe finali. Però quel fatto va introdotto, perciò se vi va di leggerlo portate pazienza e cercate di inghiottire anche questa premessa.
L'altro giorno sono andato in bicicletta a Cala del Faro.
Cala del Faro è un grumo di cemento sulla costa accanto al vecchio Faro di Capo Ferro, il punto più isolato e a nord della Costa Smeralda.
Non c'è un altro posto, in zona, da dove l'arcipelago di La Maddalena ti appaia più prossimo.
Tra un corpo e l'altro del condominio si aprono sentieri foderati di pietra e io li ho attraversati pedalando: scoprivo porte dappertutto, in ogni angolo possibile indovinavo un minuscolo appartamento e la cosa sorprendeva Gigi, il mio compagno di scampagnata, che è di Maracalagonis e a Cala del Faro non ci era mai venuto. Perché a Cala del Faro non ci arrivi per caso.
Non ho incontrato neppure una persona. Anzi no, ho intravisto due operai che raccoglievano i calcinacci lasciati sul terreno da un lavoretto di muratura.
Pensate ad un paesello da mille abitanti, però immaginatelo nascere sugli scogli in due o tre anni di lavoro senza sosta. Poi pensate ad un borgo dove, per nove mesi all'anno, non si muova anima viva. Un posto morto, paurosamente silenzioso.
Se avete queste fertile immaginazione, potete capire cosa sia Cala del Faro.
Ora, cercate su Google Mario Bertelli.
Mario Bertelli è un imprenditore bresciano del giro socialista di Bettino Craxi ed in Sardegna lo conoscono in molti. Lo conoscono specie le ditte di costruzioni e gli operai che per suo conto hanno costruito il Bagaglino di Stintino, 1400 appartamenti messi in piedi in un lampo. Però quelle imprese non videro un centesimo e fallirono. Cosa che avvenne anche per il Bagaglino sorto a Porto Cervo e per Cala del Faro, altra sua invenzione. I più fortunati vennero pagati con quegli stessi appartamenti che avevano costruito, ad altri il credito venne corrisposto con l'equivalente valore in auto, prosciutti e mortadelle.
Guardate che non sto scherzando.
Di Mario Bertelli troverete, negli archivi del Corriere della Sera e di Report, la sintesi delle avventure imprenditoriali. Spesso concluse con truffe e condanne.
Su Google non troverete invece i drammi di muratori e manovali che, finiti sul lastrico per sua causa, si sono ammalati e sono morti. Qualcuno io l'ho conosciuto.
E l'altro giorno ci pensavo, mentre stavo a Cala del Faro.
Poi mi è venuto in mente un episodio del quale sono stato testimone.
Forse era il luglio del 1993, forse il giugno del 1994. Comunque sia, io al tempo lavoravo per i Servizi di vigilanza della Costa Smeralda.
Quella notte ero in servizio proprio a Cala del Faro perché il mio ordine di servizio prevedeva controlli a piedi al condominio. C'erano parti ancora in costruzione e si sospettava che qualche barbone ci andasse a dormire, negli appartamenti ancora da finire. Più avanti scoprii che i barboni erano quegli stessi operai che, di giorno, lavoravano al completamento del residence e non potevano permettersi di fare avanti e indietro dai paesi di provenienza. Ma questa è un'altra storia.
Saranno state le due di notte ed io me ne stavo in silenzio sotto la tettoia del bar del condominio, un edificio rotondo in posizione dominante rispetto al villaggio. Il bar a quell'ora era chiuso e in giro non si sentiva nessuno.
In fondo al mio campo visivo c'era, tutta illuminata, la villa di Bertelli. Villa Cinque si chiamava, una roba in stile arabo incredibilmente costruita sugli scogli.
Senonché, ad un certo punto, sentii un chiacchiericcio insistito, poi uno scalpiccio di passi preceduto dallo sbracciarsi di un signore in giacca e cravatta. La sua voce trasmetteva ansia, il tono concitato dei suoi ordini suggeriva preoccupazione per un evento imminente.
Dietro di sé trascinava un gruppo di persone, ombre indistinguibili fin quando non furono a pochi metri da me, sotto la luce di fari potentissimi accesi per l'occasione.
Proprio sotto i miei occhi la scena si componeva e, nel suo svolgersi, rispondeva minuto dopo minuto ad ogni domanda.
Le donne di servizio, svegliate di soprassalto, vennero allineate lungo il viale in cotto che divide in due il villaggio e finisce proprio all'ingresso di Villa Cinque. Nel sentirle lamentarsi, con un filo di voce per non essere sentite, capii che erano quasi tutte sarde,
Facce assonnate, muscoli del volto contratti in espressioni che tradivano rabbia e disgusto, nuotavano dentro le abbondanti vesti da cameriere, sacchi senza forma capaci di umiliare la femminilità anche della Uma Thurman ventenne, se ne avesse indossato uno.
Disposte lungo due file le donne di servizio rimasero là impalate ad aspettare.
Ad un certo punto, il signore in giacca e cravatta mandò a chiamare il manutentore del villaggio. Era un signore anziano e piuttosto malconcio, noto bevitore, che non aveva orari e passava le giornate a sistemare tubature e sostituire lampadine. Non ne ricordo il nome, ma sono certo che non fosse sardo.
Nel buio della notte silenziosa, tutti udimmo avvicinarsi il rombo di un'auto prestigiosa e vedemmo i suoi fari tracciare di luce l'oscurità.
Le donne tacquero, col fiato sospeso. Il tizio con la giacca e la cravatta balzò con un ridicolo scatto verso il parcheggio. Pochi secondi dopo, riapparve sotto i miei occhi accanto ad un signore in maniche di camicia e una donna.
Quel signore era Mario Bertelli ed ancora era il padrone indiscusso e temuto di Cala del Faro. Il tizio vestito da prima comunione che lo accompagnava era uno dei capi del personale.
E tutta quella cerimonia era stata improvvisata per compiacere il padrone,
Una genuflessione di fronte al padrone.
Quel padrone.
Una scena estratta da un castello medievale e riprodotta nella Costa Smeralda del 1993. O 1994.
I tre sfilarono accanto a cameriere, governanti e donne delle pulizie senza degnarle di uno sguardo, con passo stanco. Ma prima che potessero oltrepassare il cancello della villa, alla fine del sentiero, accadde il colpo di scena.
L'anziano manutentore, tirato giù dal letto nel cuore della notte, esplose in una grandinata di insulti, maledizioni e bestemmie.
Lo sentivo, ma non potevo vederlo: forse, chi lo aveva mandato a chiamare lo aveva anche trattenuto impedendogli di avvicinarsi alla zona rossa.
Però la sua voce, impastata di sonno e alcool, non poteva essere trattenuta: era un latrato potente e del suo sfogo si distingueva ogni parola. Protestava per il rispetto mancato a chi lavorava, inveiva contro i servi del padrone, augurava le peggiori disgrazie allo stesso padrone. E il padrone, stoppata la sua marcia, ascoltava tutto.
Non ho mai sentito nessun sindacalista sostenere con tanta forza ed efficacia le ragioni dei lavoratori. Sui volti delle donne infilate nel sacco e schierate per salutare il Capo, le mascelle serrate di rabbia si erano distese in risolini soddisfatti.
Bertelli scomparve nella sua villa mentre il capo del personale, inferocito e rosso d'imbarazzo, minacciava provvedimenti. Alla fine il manutentore pianse, poi la sua furia sfumò nel silenzio.
Al ritorno in servizio, qualche giorno dopo, andai a cercarlo. Ma non c'era più, non so se perché era stato licenziato o perché avesse deciso di togliere il disturbo.
Ma fu il solo a ribellarsi a quell'atto di sopraffazione.
Ecco uno dei modi in cui ci siamo fatti umiliare.
Per posti come Cala del Faro, per padroni come Mario Bertelli.
Alla luce del giorno, nel buio della notte.