Quest’anno qualcosa è cambiato. Negli ultimi 20 anni si è assistito ad un trend positivo sul fronte degli incendi. Certo, la guardia resta alta, perché in determinate condizioni climatiche, o in casi di particolare accanimento doloso, l’incendio diventa irrefrenabile. Ma sappiamo che questo tipo di eventi si ripetono sempre più raramente. Rispetto al passato, infatti, gli operatori antincendio sanno bene che le cose sono cambiate, tanto che, in alcune situazioni “pacificate”, pare di vivere un’atmosfera simile a quella del protagonista del “Deserto dei tartari”, che attendeva un nemico che non arrivava mai. Ma quest’anno, a mio parere, qualcosa è cambiato. Ci troviamo di fronte, infatti, per la prima volta, non a incendi catastrofici casuali, inquadrabili nelle oscillazioni tipiche e frastagliate di un trend complessivamente positivo, ma forse, e spero di sbagliarmi, ad una inversione di tendenza, perla prima volta dopo 20 anni. Spiego il mio pessimismo.Il sistema dell’antincendio sardo è in via di smantellamento. Questa è la triste verità. Nessun complotto: semplicemente vittima del nuovo Verbo delle Pubbliche amministrazioni. Risparmio, altrimenti detto, con una parolaccia esterofila, spending review.
Il modello dell’antincendio sardo, che aveva così ridotto l’ampiezza degli eventi incendiari, e che era stato esportato con successo anche in Corsica (che infatti non brucia più. Qualcuno se n’era accorto?), era fondato su una rete di avvistamento, su una capillarità dei mezzi antincendio sul territorio, su un soccorso dei mezzi aerei che integrava mezzi regionali ad ala rotante con mezzi nazionali ad ala fissa, su una attività investigativa celere in grado di produrre un effetto deterrente, su una centrale operativa in grado di coordinare le varie forze in campo. Ma la spina dorsale del sistema erano i mezzi dell’Ente Foreste, degli operai forestali, che garantivano il pronto intervento sul territorio. Ora, da anni, le assunzioni sono state bloccate, molti operai sono andati in pensione, e tanti altri, per diversi motivi, non ultimo l’età sempre più avanzata, non si sono resi idonei alle visite mediche. Il risultato è che negli ultimi dieci anni i mezzi sul territorio sono stati quasi dimezzati, e anche le vedette hanno visto il loro turni ridursi di molto.
Nel contempo, è partita la propaganda sull’industria del fuoco, quasi a voler significare che meno si spende sul fronte degli incendi e meglio è. Un po’ come dire che, per bloccare il caro libri scolastici, i bambini dovrebbero restare a casa e non andare a scuola. Le spese vanno razionalizzate, ma pochi sanno quanti incendi, che non fanno notizia, vengono spenti ogni anno.
Tremila. Sono tremila gli incendi che vengono spenti ogni anno, nonostante il numero, appunto, sia calato notevolmente grazie a quel trend positivo. Eppure sono ancora tremila. Con il sistema antincendio, con il modello sardo, di quei tremila te ne può sfuggire lo zero virgola qualcosa percento. Ma più si andrà avanti a sopprimere mezzi e turni di vedette, e più quella percentuale salirà, secondo logica matematica.
Allora che fare? Alcuni esperti dell’antincendio stanno ultimamente portando avanti una idea che io non condivido affatto, ossia quella del cosiddetto “fuoco amico”. La ricetta sarebbe la prevenzione tramite il fuoco prescritto, e durante la lotta attiva tramite il controfuoco. Questa ricetta si scontra con tanti problemi di natura pratica, giuridica, con una tipologia di vegetazione sarda che renderebbe la cosa poco fattibile. Ma io sono contrario a questo orientamento anche per ragioni di tipo culturale. Gli operatori del settore per anni hanno cercato di convincere la gente a fare attenzione, a usare tutte le precauzioni possibili, e oggi che gli diciamo? Che stavamo scherzando e che invece il fuoco è amico? La gente non capirebbe.
Però questi sforzi degli esperti dell’antincendio, oserei dire quasi disperati, sono tristemente indice di una certa impotenza di fronte all’avanzare dell’idea politica che occorra risparmiare anche con la protezione civile, riducendo mezzi aerei, personale a terra, e così via. Una idea politica che preferisce anch’essa cullarsi sui soliti luoghi comuni, prendere parte alla grande catarsi collettiva in odio agli untori e ai ritardi dei soccorsi, piuttosto che ristruttura un sistema che comincia a mostrare crepe preoccupanti.
Allora che fare? Io credo che, al di là di visioni romanzate del problema, tipo quelli che vedevano improbabili speculazioni edilizie negli ultimi incendi (a Nurallao!), occorra ripensare il modello, razionalizzandolo in modo da non sprecare risorse, ma garantendo quella copertura sul territorio che era stata la cifra sostanziale del trend positivo sul fronte degli incendi.Come? Legando l’assunzione dei nuovi operai forestali, in sostituzione di quelli prossimi alla pensione, all’attività antincendio, e convertendo gli inidonei alla prevenzione, alla pulizia della aree a rischio, alla creazione di fasce parafuoco, anche fuori dal chiuso dei loro cantieri. Razionalizzare il sistema prima che collassi del tutto.
Il modello dell’antincendio sardo, che aveva così ridotto l’ampiezza degli eventi incendiari, e che era stato esportato con successo anche in Corsica (che infatti non brucia più. Qualcuno se n’era accorto?), era fondato su una rete di avvistamento, su una capillarità dei mezzi antincendio sul territorio, su un soccorso dei mezzi aerei che integrava mezzi regionali ad ala rotante con mezzi nazionali ad ala fissa, su una attività investigativa celere in grado di produrre un effetto deterrente, su una centrale operativa in grado di coordinare le varie forze in campo. Ma la spina dorsale del sistema erano i mezzi dell’Ente Foreste, degli operai forestali, che garantivano il pronto intervento sul territorio. Ora, da anni, le assunzioni sono state bloccate, molti operai sono andati in pensione, e tanti altri, per diversi motivi, non ultimo l’età sempre più avanzata, non si sono resi idonei alle visite mediche. Il risultato è che negli ultimi dieci anni i mezzi sul territorio sono stati quasi dimezzati, e anche le vedette hanno visto il loro turni ridursi di molto.
Nel contempo, è partita la propaganda sull’industria del fuoco, quasi a voler significare che meno si spende sul fronte degli incendi e meglio è. Un po’ come dire che, per bloccare il caro libri scolastici, i bambini dovrebbero restare a casa e non andare a scuola. Le spese vanno razionalizzate, ma pochi sanno quanti incendi, che non fanno notizia, vengono spenti ogni anno.
Tremila. Sono tremila gli incendi che vengono spenti ogni anno, nonostante il numero, appunto, sia calato notevolmente grazie a quel trend positivo. Eppure sono ancora tremila. Con il sistema antincendio, con il modello sardo, di quei tremila te ne può sfuggire lo zero virgola qualcosa percento. Ma più si andrà avanti a sopprimere mezzi e turni di vedette, e più quella percentuale salirà, secondo logica matematica.
Allora che fare? Alcuni esperti dell’antincendio stanno ultimamente portando avanti una idea che io non condivido affatto, ossia quella del cosiddetto “fuoco amico”. La ricetta sarebbe la prevenzione tramite il fuoco prescritto, e durante la lotta attiva tramite il controfuoco. Questa ricetta si scontra con tanti problemi di natura pratica, giuridica, con una tipologia di vegetazione sarda che renderebbe la cosa poco fattibile. Ma io sono contrario a questo orientamento anche per ragioni di tipo culturale. Gli operatori del settore per anni hanno cercato di convincere la gente a fare attenzione, a usare tutte le precauzioni possibili, e oggi che gli diciamo? Che stavamo scherzando e che invece il fuoco è amico? La gente non capirebbe.
Però questi sforzi degli esperti dell’antincendio, oserei dire quasi disperati, sono tristemente indice di una certa impotenza di fronte all’avanzare dell’idea politica che occorra risparmiare anche con la protezione civile, riducendo mezzi aerei, personale a terra, e così via. Una idea politica che preferisce anch’essa cullarsi sui soliti luoghi comuni, prendere parte alla grande catarsi collettiva in odio agli untori e ai ritardi dei soccorsi, piuttosto che ristruttura un sistema che comincia a mostrare crepe preoccupanti.
Allora che fare? Io credo che, al di là di visioni romanzate del problema, tipo quelli che vedevano improbabili speculazioni edilizie negli ultimi incendi (a Nurallao!), occorra ripensare il modello, razionalizzandolo in modo da non sprecare risorse, ma garantendo quella copertura sul territorio che era stata la cifra sostanziale del trend positivo sul fronte degli incendi.Come? Legando l’assunzione dei nuovi operai forestali, in sostituzione di quelli prossimi alla pensione, all’attività antincendio, e convertendo gli inidonei alla prevenzione, alla pulizia della aree a rischio, alla creazione di fasce parafuoco, anche fuori dal chiuso dei loro cantieri. Razionalizzare il sistema prima che collassi del tutto.