Nel nostro mondo vige un retaggio popolare che identifica la carne come “status symbol” del benessere. E’ il motivo per cui, durante le feste, ancora oggi, le abbuffate carnivore sono una tradizione perdurante.
In realtà, nonostante il salutismo crescente, il consumo di carne è tuttora sproporzionato rispetto ad una idea di sana ed equilibrata alimentazione.
Ma questo valido motivo non è quello che ha ispirato la recente proposta di legge che vorrebbe il divieto di macellazione degli animali con meno di sei mesi, accompagnata dalla immancabile animalista salottiera con tanto di agnellino in vista.
Proposta puramente propagandistica, che punta sul sentimento innato di pietà che tutti gli esseri viventi hanno nei confronti dei cuccioli. Come se macellarli al settimo mese potesse cambiare qualcosa, se non gettare sul lastrico qualche allevatore sardo o meridionale. Sono sicuro che se la proposta avesse colpito un comparto tipicamente padano, non sarebbe mai stata fatta. La strage pasquale degli agnelli fa ribrezzo, ma gli allevamenti intensivi del nord, con la sofferenza che producono agli animali e i guasti che provocano alla salute degli uomini, fanno orrore.
Ma in realtà questa proposta nasconde una idea di natura completamente deformata dal consumismo, una natura che, da un po’ di tempo a questa parte, è estranea al destino degli uomini. E’ preferibile mangiare cibi in scatola, carni triturate e macinate dove ci finisce di tutto, con bestie anabolizzate, tenute in batterie e in allevamenti intensivi, nutrite con cibi chimici, che carne sana, allevata all’aperto e con cura, oserei dire, umana.
L’immagine del pastore che preleva un agnello da mandare al macello è piuttosto cruda. Ma è una immagine reale, che fa parte di un mondo dove un’economia di sussistenza produce cibi che ancora oggi si possono definire commestibili.
Ma per costoro gli animali domestici si dovrebbero distinguere in due distinte categorie: quelli da macello, che non devono avere un’anima ed essere dei supporti fisici da ingozzare di roba chimica; e gli animali giocattolo, buoni per la compagnia, da vezzeggiare e coccolare. Nessun spazio per gli animali ruspanti, anacronistici sia per il ciclo della produzione di carne che per il buon cuore ipocrita degli umani.
La visione tipicamente occidentale e tecnocratica di una natura intesa come semplice serbatoio di risorse da prelevare, che però non deve interferire nella vita degli umani, trova in questa forma di aristocratico distacco la sua manifestazione più ingannevole. Quello che si vuole spacciare per amore della natura, in realtà, è esattamente il contrario. E’ un rifiuto, è una separazione per linee parallele di quei cicli vitali che una volta univa uomini e natura in un unico imprescindibile destino. Qui, gli umani (benestanti, cittadini e borghesi) da una parte, con in braccio i loro cuccioli, tutti nutriti di bocconcini di carne industriale; dall’altra una natura, con gli uomini che ancora ci stanno dentro, sporchi, cattivi e persino scabrosi. Noi, puri, depilati e profumati non ci mescoliamo con codesta natura. Noi siamo quelli del mulino bianco, della capretta di Heidi e del delfino curioso. Di là mosche e puzza di formaggio, sofferenza che unisce uomini e animali in un unico destino. Un mondo artefatto, finto e sofisticato che spezza l’armonia naturale delle cose, con il suo lascito di nevrosi e depressione.
Forse ci vogliono trasformare, pure noi, in polli da batteria, nutriti di cibo chimico, fino a diventare prodotti definitivi del consumismo.
Intanto la propaganda che molto rende all’immagine del politicante, rischia di danneggiare seriamente una intera categoria sociale già in affanno.
Io preferisco i pastori che condividono con il gregge le asperità di una esistenza in comune, che gli animalisti da salotto moralmente partecipi dello stesso sistema che sfrutta, senza coscienza, i cuccioli di esseri umani nei paesi economicamente più poveri.
Morale della favola.
Ciascuno è libero di mangiare quello che vuole, senza imposizioni di legge. Ammiro i vegetariani che non mangiano carne per ragioni morali e culturali, senza imporre nulla agli altri. Da un punto di vista della salute, direi, però: mangiate meno carne, che troppa fa male. Ma quel poco che ne mangiate, che sia roba sana e naturale, non imposta dal consumismo e dalla propaganda.
Io non mangio agnelli, neppure a Pasqua. Ma dovendo scegliere, li preferirei ad un hamburger americano o ad un wurstel tedesco.