L’esempio che racconta il giornalista Michele Serra nella sua “amaca” odierna è tanto triste quanto lampante. Una giunta comunale di un paese ligure a rischio di dissesto idrogeologico, che ha fatto le cose bene, ha pensato al futuro mettendo in sicurezza il paese, evitando il cemento nelle zone a rischio, che ha probabilmente salvato le case dal disastro, non è stata rieletta.
In Sardegna, se vogliamo, è successa la stessa cosa con la giunta regionale di Soru, che ha emanato il primo piano paesaggistico in Italia, un primato di cui la Sardegna dovrebbe andare fiera e camminare a testa alta. Non solo, quel PPR è unanimemente riconosciuto dagli esperti come uno dei migliori in assoluto, capace di tutelare il territorio e nello stesso tempo di creare benefici effetti sul sistema economico. Come si usa dire ora, è “perfettibile”, ma intanto è stato un buon punto di partenza.
Naturalmente quella giunta ha perso le elezioni.
Mi rendo conto che nei periodi di crisi fermare il cemento, o almeno convertirlo in opere pubbliche, in scuole, ospedali, non è facile da spiegare. Mi rendo conto che se uno sta annegando gli si offre un salvagente, non un istruttore di nuoto. Però i salvagente sono finiti.
Il patrimonio della Sardegna è il suo territorio. E’ il nostro capitale. Continuare a costruire sulle coste o nelle campagne porta qualche beneficio immediato, ma a lungo andare impoverisce il sistema. Le coste perdono valore sul mercato immobiliare, il paesaggio svilisce, l’ambiente perde le sue caratteristiche originali, i turisti vengono sempre meno. Per urbanizzare le campagne puntellate di villette occorrono una montagna di soldi pubblici, che finiscono per gravitare inevitabilmente sui contribuenti. Il regime fondiario dei terreni, che dovrebbe essere agricolo ma di fatto è edificabile, impedisce alle imprese agricole di stanziarsi nel territorio. Aumentano i rischi di dissesto ecologico e ambientale con tutto quello che ne consegue in termini di costi economici e anche vite umane.
In Sardegna, storicamente, si è preferito ritirare il capitale, piuttosto che gli interessi. Diminuendo il capitale, diminuiscono gli interessi. E bisogna nuovamente ricorrere al capitale, il territorio con il suo ambiente.
Un circolo vizioso che diventa un sistema perverso: non si creano alternative sociali, lavorative, di modo che il mattone diventi l’unica frontiera. L’agricoltura non decolla, viene disincentivata per creare povertà e arrendersi al mercato immobiliare. Il turismo viene confinato lungo le coste. I paesi si spopolano, alimentando quel mercato immobiliare nelle periferie cittadine. Così, si accontentano, si gettano ciambelle di salvataggio a coloro che gravitano attorno al mondo dell’edilizia, costretti dalla mancanza di alternativa, e si fanno gli interessi dei grossi affaristi, degli speculatori, dei massoni, che spesse volte, anzi, la stragrande parte delle volte, vengono da fuori della Sardegna. E’ un balletto, governato dagli affaristi e dai politici messi apposta per sostenere questi affari. E anche una forma di moderno e subdolo colonialismo.
Per dirla in soldoni, non ci sono più ciambelle di salvataggio.
Perché, per quanto si possa ancora drogare l’edilizia, il mercato si sta fermando, e sta esplodendo la bolla delle unità immobiliari invendute. Occorre, anche nel comparto, cambiare prospettiva, incentivando i lavori pubblici, come le scuole, che nel contempo sostengono lo sviluppo del capitale umano, e agevolare le ristrutturazioni nei centri storici ma non solo, anche nei piccoli centri.
Ma in Italia, e purtroppo anche in Sardegna, si ha uno scarso senso civico, un debole senso del bene collettivo. A volte i sardi, spinti da quel residuo di appartenenza alla propria terra, alla propria cultura, paiono comprendere, e si rimettono in cammino verso un obbiettivo comune. Camminano verso quell’orizzonte, inciampano, cadono, si rialzano, zoppicano, disorientati, ma avanzano, lentamente, ma avanzano.
Ora è da un po’ che abbiamo la faccia in terra. Sarebbe anche ora di rialzarsi. E di imparare a nuotare, finalmente, che siamo un’isola in mezzo al mare.