L'altro giorno ho incontrato un amico.
L'occasione è stata un funerale ed avevamo tutti facce meste.
È stato un mio superiore, quando lavoravo da stagionale nei servizi di vigilanza del Consorzio Costa Smeralda. In quegli anni ho maturato una profonda stima verso di lui per ricchezza di valori e capacità di conciliare i rapporti umani con i doveri professionali. Un mite, un buono, una persona responsabile.
Uno di cui potersi fidare.
Da poco più di un anno è in pensione, dopo 31 anni di lavoro in divisa.
Parlando del più e del meno, prima che la funzione iniziasse, mi ha rivelato con una composta amarezza che è stato l'unico a non ricevere il regalo col quale, abitualmente, l'azienda salutava i dipendenti giunti alla fine dell'esperienza lavorativa: un orologio con incisa date d'assunzione e pensionamento e una lettera di ringraziamento del direttore.
Lo avevano sempre dato a tutti. A lui no.
Me lo ha sussurrato, senza che il tono della sua voce minimamente s'increspasse.
Dopo trentuno anni di turni;
di Natali, di Capodanni e di Pasque trascorsi dentro l'auto di servizio, ché la difesa del territorio non conosce feste comandate;
dopo trentuno anni di notti insonni, andando a dormire quando gli altri stavano per svegliarsi;
dopo trentuno anni di levatacce perché, due volte alla settimana, toccava il turno del mattino e il cartellino in entrata bisognava timbrarlo alle cinque.
dopo trentuno anni di guardia alla Banca Commerciale, anche nei giorni in cui la tramontana gelida s'infilava nel golfo di Porto Cervo ed entrava dritta dritta nelle ossa, trasformando la schiena in una lastra di ghiaccio;
dopo trentuno anni a sostituire con discrezione quei colleghi che, in fondo alla notte, non reggevano alla botta di sonno improvvisa e chiedevano di potersi imboscare per un'ora.
dopo trentuno anni trascorsi a mediare tra le ragioni degli uni e degli altri, ad appianare conflitti, a dispensare consigli saggi, ad organizzare cene ed incontri oltre il lavoro.
Perché si può essere amici, oltreché colleghi.
Dopo tutto questo, non l'orologio e non una parola per lui.
Una volta, quando il comandante della vigilanza si chiamava Alessandro Boeris, ogni nuovo pensionato aveva il suo orologio accompagnato da una lettera di ringraziamento scritta a mano.
Ogni dipendente riceveva una lettera di auguri ad ogni compleanno e, all'inizio della stagione, il principe Aga Khan teneva un discorso e salutava tutti.
Alla fine dell'anno, il Consorzio organizzava la cena sociale, ci si scambiavano gli auguri e si chiarivano gli attriti, magari mettendo una pietra sopra certe incomprensioni. Da quattro anni quell'appuntamento conviviale è stato soppresso.
Prima di Natale, alle guardie veniva fatto dono del pacco con panettone e spumante. Quest'anno, le guardie hanno letto nella bacheca della centrale operativa una comunicazione: la società aveva deciso che i soldi dei loro cesti sarebbero stati dirottati ad un'associazione di volontariato.
Gesto nobile, se non fosse che l'atto di generosità lo hanno pagato i dipendenti senza neppure essere consultati. Senza che nessuno glielo chiedesse.
Esisteva, nell'ambiente di lavoro, un senso di appartenenza ad una comunità, il rispetto per le fatiche e l'impegno di ciascuno.
Perché scrivo queste cose? Chi se ne importa di un orologio o di una noiosa cena sociale, direte voi, a chi interessa di piccole beghe aziendali tra i dipendenti di un condominio?
Le scrivo perché questo taglio di costi considerati superflui non ha nessuna relazione con la crisi. In Costa Smeralda non esiste alcuna crisi, per essere precisi.
Nel settore della vigilanza privata i fatturati continuano ad aumentare e gli utili pure. Il ricorso all'uomo armato da piantare davanti all'ingresso è sempre più frequente, l'installazione dei sistemi d'allarme per proteggersi dai ladri cresce di numero di anno in anno, un numero via via maggiore di stagionali viene assunto per fare fronte alle richieste.
Questa piccola porzione di mondo sempre più ricco vuole godersi sempre più serenamente la propria opulenza e le vacanze blindate in Sardegna. Il mondo perde tutte le sicurezze, questi fortunati ne acquisiscono ogni ora di più.
E la sicurezza privata è un affare, perché occorrono uomini ed armi per custodire queste certezze.
Ma mentre gli utili crescono, i dipendenti vengono ridotti a numeri.
Il rapporto tra datori di lavoro e assunti si inaridisce, privato di ogni arricchimento umano e finendo col sottrarsi a qualunque obbligo di riconoscenza verso il territorio.
Crescono le cause di lavoro e malessere, si restringono le prospettive e azzerano le possibilità di vedere migliorare la propria condizione professionale.
In un'azienda, il Consorzio, che ha per direttore un ex segretario provinciale del sindacato Cisl.
Ho sempre ritenuto la Costa Smeralda una risorsa preziosa, cui molti sardi devono tanto.
Inizio ad avere dei dubbi.
L'occasione è stata un funerale ed avevamo tutti facce meste.
È stato un mio superiore, quando lavoravo da stagionale nei servizi di vigilanza del Consorzio Costa Smeralda. In quegli anni ho maturato una profonda stima verso di lui per ricchezza di valori e capacità di conciliare i rapporti umani con i doveri professionali. Un mite, un buono, una persona responsabile.
Uno di cui potersi fidare.
Da poco più di un anno è in pensione, dopo 31 anni di lavoro in divisa.
Parlando del più e del meno, prima che la funzione iniziasse, mi ha rivelato con una composta amarezza che è stato l'unico a non ricevere il regalo col quale, abitualmente, l'azienda salutava i dipendenti giunti alla fine dell'esperienza lavorativa: un orologio con incisa date d'assunzione e pensionamento e una lettera di ringraziamento del direttore.
Lo avevano sempre dato a tutti. A lui no.
Me lo ha sussurrato, senza che il tono della sua voce minimamente s'increspasse.
Dopo trentuno anni di turni;
di Natali, di Capodanni e di Pasque trascorsi dentro l'auto di servizio, ché la difesa del territorio non conosce feste comandate;
dopo trentuno anni di notti insonni, andando a dormire quando gli altri stavano per svegliarsi;
dopo trentuno anni di levatacce perché, due volte alla settimana, toccava il turno del mattino e il cartellino in entrata bisognava timbrarlo alle cinque.
dopo trentuno anni di guardia alla Banca Commerciale, anche nei giorni in cui la tramontana gelida s'infilava nel golfo di Porto Cervo ed entrava dritta dritta nelle ossa, trasformando la schiena in una lastra di ghiaccio;
dopo trentuno anni a sostituire con discrezione quei colleghi che, in fondo alla notte, non reggevano alla botta di sonno improvvisa e chiedevano di potersi imboscare per un'ora.
dopo trentuno anni trascorsi a mediare tra le ragioni degli uni e degli altri, ad appianare conflitti, a dispensare consigli saggi, ad organizzare cene ed incontri oltre il lavoro.
Perché si può essere amici, oltreché colleghi.
Dopo tutto questo, non l'orologio e non una parola per lui.
Una volta, quando il comandante della vigilanza si chiamava Alessandro Boeris, ogni nuovo pensionato aveva il suo orologio accompagnato da una lettera di ringraziamento scritta a mano.
Ogni dipendente riceveva una lettera di auguri ad ogni compleanno e, all'inizio della stagione, il principe Aga Khan teneva un discorso e salutava tutti.
Alla fine dell'anno, il Consorzio organizzava la cena sociale, ci si scambiavano gli auguri e si chiarivano gli attriti, magari mettendo una pietra sopra certe incomprensioni. Da quattro anni quell'appuntamento conviviale è stato soppresso.
Prima di Natale, alle guardie veniva fatto dono del pacco con panettone e spumante. Quest'anno, le guardie hanno letto nella bacheca della centrale operativa una comunicazione: la società aveva deciso che i soldi dei loro cesti sarebbero stati dirottati ad un'associazione di volontariato.
Gesto nobile, se non fosse che l'atto di generosità lo hanno pagato i dipendenti senza neppure essere consultati. Senza che nessuno glielo chiedesse.
Esisteva, nell'ambiente di lavoro, un senso di appartenenza ad una comunità, il rispetto per le fatiche e l'impegno di ciascuno.
Perché scrivo queste cose? Chi se ne importa di un orologio o di una noiosa cena sociale, direte voi, a chi interessa di piccole beghe aziendali tra i dipendenti di un condominio?
Le scrivo perché questo taglio di costi considerati superflui non ha nessuna relazione con la crisi. In Costa Smeralda non esiste alcuna crisi, per essere precisi.
Nel settore della vigilanza privata i fatturati continuano ad aumentare e gli utili pure. Il ricorso all'uomo armato da piantare davanti all'ingresso è sempre più frequente, l'installazione dei sistemi d'allarme per proteggersi dai ladri cresce di numero di anno in anno, un numero via via maggiore di stagionali viene assunto per fare fronte alle richieste.
Questa piccola porzione di mondo sempre più ricco vuole godersi sempre più serenamente la propria opulenza e le vacanze blindate in Sardegna. Il mondo perde tutte le sicurezze, questi fortunati ne acquisiscono ogni ora di più.
E la sicurezza privata è un affare, perché occorrono uomini ed armi per custodire queste certezze.
Ma mentre gli utili crescono, i dipendenti vengono ridotti a numeri.
Il rapporto tra datori di lavoro e assunti si inaridisce, privato di ogni arricchimento umano e finendo col sottrarsi a qualunque obbligo di riconoscenza verso il territorio.
Crescono le cause di lavoro e malessere, si restringono le prospettive e azzerano le possibilità di vedere migliorare la propria condizione professionale.
In un'azienda, il Consorzio, che ha per direttore un ex segretario provinciale del sindacato Cisl.
Ho sempre ritenuto la Costa Smeralda una risorsa preziosa, cui molti sardi devono tanto.
Inizio ad avere dei dubbi.