RENZI: OPPORTUNITA' O OCCASIONE MANCATA?
Ho seguito in streaming, e altro, la versione Leopolda 2013 (la quarta della serie). L'ho seguita con interesse, anche se a volte mi son perso nella confusione, sebbene l'ambiente fosse buono per tenere desta la curiosità. Renzi sa indubbiamente comunicare, al contrario del suo partito che spesso connota la comunicazione di valore negativo: “comunico ergo manipolo”.
La kermesse fiorentina si è snodata con interventi brevi (4 minuti), stile vario ma essenziale (dal vintage anni ’50 alla Apple), punteggiata da musica e tanti video, tutto appropriato per essere veicolato nell’web. Molti interventi pregevoli, consapevoli dell’anobio che corrode la società odierna. Non ho colto invece tesi imbastite sufficientemente sui temi dello "sviluppo territoriale", che è questione di oggi e da cui far ripartire la sgangherata macchina italiana. L’evento della Leopolda ha dimostrato ancora la capacità del sindaco di Firenze di mettere insieme intelligenze, di sapiente organizzatore che tutto il Pd farebbe bene a copiare, di parlare con forza dei cambiamenti necessari e della convinta volontà di dare un contributo alla svolta, quella svolta di cui il paese avrebbe bisogno come il pane che lo nutre.
Dove Renzi manca del tutto e non convince una parte non trascurabile del “suo” popolo è, invece, nel voler mantenere lo schema che ha connotato la politica italiana degli ultimi venti anni, cioè di porre fine alla nozione che un partito sia sembianza e sostanza del solo leader, piuttosto che sintesi alta di un pensiero diffuso, frutto di elaborazione sedimentata e di intelligenza collettiva. Magari sbaglio, ma il messaggio colto nell’intervento alla vecchia stazione di Firenze è che Renzi sia prigioniero del suo ego, di un’idea di partito a “vocazione personalistica”, che è cosa molto lontana dai riti, dalla storia e dalla genetica del Pd. Se invece abbandonasse qualche volta i vezzi linguistici in cui si specchia, se riflettesse che il marketing (la comunicazione) è utile ma non è il “prodotto”, se dopo aver messo assieme ipotesi di lavoro e intelligenze si ponesse “a servizio” del partito, forse il Pd avrebbe il leader per traghettare l’Italia verso la modernità.
Che dire invece del pelo lisciato a quanti saliti sul carro che solo alcuni mesi fa ostentavano altri drappi in approdi più sicuri? Fa specie vedere pattuglie di ex bersaniani, ex veltroniani, ex franceschiani, ex dalemiani, ex di tutto e di più accomodarsi nei “tavoli di discussione” apparecchiati da Renzi alla Leopolda. Tutto questo fa certamente riflettere sulla fauna che popola questo partito. Fossi Renzi, posto che non parli solo di fuffigna, ci penserei prima di imbarcare altra ciurma.
Ho seguito in streaming, e altro, la versione Leopolda 2013 (la quarta della serie). L'ho seguita con interesse, anche se a volte mi son perso nella confusione, sebbene l'ambiente fosse buono per tenere desta la curiosità. Renzi sa indubbiamente comunicare, al contrario del suo partito che spesso connota la comunicazione di valore negativo: “comunico ergo manipolo”.
La kermesse fiorentina si è snodata con interventi brevi (4 minuti), stile vario ma essenziale (dal vintage anni ’50 alla Apple), punteggiata da musica e tanti video, tutto appropriato per essere veicolato nell’web. Molti interventi pregevoli, consapevoli dell’anobio che corrode la società odierna. Non ho colto invece tesi imbastite sufficientemente sui temi dello "sviluppo territoriale", che è questione di oggi e da cui far ripartire la sgangherata macchina italiana. L’evento della Leopolda ha dimostrato ancora la capacità del sindaco di Firenze di mettere insieme intelligenze, di sapiente organizzatore che tutto il Pd farebbe bene a copiare, di parlare con forza dei cambiamenti necessari e della convinta volontà di dare un contributo alla svolta, quella svolta di cui il paese avrebbe bisogno come il pane che lo nutre.
Dove Renzi manca del tutto e non convince una parte non trascurabile del “suo” popolo è, invece, nel voler mantenere lo schema che ha connotato la politica italiana degli ultimi venti anni, cioè di porre fine alla nozione che un partito sia sembianza e sostanza del solo leader, piuttosto che sintesi alta di un pensiero diffuso, frutto di elaborazione sedimentata e di intelligenza collettiva. Magari sbaglio, ma il messaggio colto nell’intervento alla vecchia stazione di Firenze è che Renzi sia prigioniero del suo ego, di un’idea di partito a “vocazione personalistica”, che è cosa molto lontana dai riti, dalla storia e dalla genetica del Pd. Se invece abbandonasse qualche volta i vezzi linguistici in cui si specchia, se riflettesse che il marketing (la comunicazione) è utile ma non è il “prodotto”, se dopo aver messo assieme ipotesi di lavoro e intelligenze si ponesse “a servizio” del partito, forse il Pd avrebbe il leader per traghettare l’Italia verso la modernità.
Che dire invece del pelo lisciato a quanti saliti sul carro che solo alcuni mesi fa ostentavano altri drappi in approdi più sicuri? Fa specie vedere pattuglie di ex bersaniani, ex veltroniani, ex franceschiani, ex dalemiani, ex di tutto e di più accomodarsi nei “tavoli di discussione” apparecchiati da Renzi alla Leopolda. Tutto questo fa certamente riflettere sulla fauna che popola questo partito. Fossi Renzi, posto che non parli solo di fuffigna, ci penserei prima di imbarcare altra ciurma.