Ci sono dei record difficilmente invidiabili. Ci sono record che fanno male, a tutti. Ci sono record per cui vale la pena fermarsi a ragionare oltre il confine delineato dal proprio ombelico, meditare le sorgenti del fenomeno e le politiche per aggredirlo. Ci sono record che sanno di carne umana, la nostra presente e quella futura. La demografia racconta questo record in un numero: 1,42. È il numero medio di nascite per donna in Italia registrato nel 2012, in calo rispetto a quello già basso del 2010 (1,46). Siamo sotto il numero 2,1 (figli per donna), ovvero quel livello di guardia che si chiama “tasso di sostituzione”: in poche parole la possibilità che una società riproduca numericamente se stessa in assenza di flussi migratori. E invece è stata proprio la presenza delle donne migranti ad invertire una tendenza che negli anni ’80 e ’90 andava a costruire un panorama di desertificazione per la popolazione italiana: il numero di figli delle straniere risulta assolutamente superiore a quello delle donne italiane (2,37).
Le immigrate hanno agevolato anche un’altra grande trasformazione nel nostro paese: l’inversione del livello di fecondità tra aree territoriali. Ancora nel 1995 la fecondità era più elevata per le donne italiane del Mezzogiorno rispetto a quelle del Nord e del Centro Italia; ma oggi questa differenza è stata sostanzialmente colmata proprio perché è il Sud a peggiorare ed il Nord (grazie alla presenza massiccia di immigrate) a migliorare: il numero di figli per donna nel 2012 è più alto nel Nord (1,48) che nel Centro (1,42) o nel Mezzogiorno (1,33 nel Sud). E se Atene piange, Sparta non ride: i valori più bassi si registrano in Molise e in Sardegna (7,6).
Certo, scopare piace a tutti, ma non sempre come insegna la Genesi e come riprende qualsiasi libro di catechesi: insomma, per farla breve, il peso della responsabilità nel mettere al mondo dei figli si fa sentire e – grazie a Efesto – l’invenzione di una molteplicità di metodi anticoncezionali rasserenano l’umana pulsione sessuale e la incanalano verso spiagge di controllata natalità. Controllata, senza dubbio, ma anche socialmente imposta: una contabilità delle reali possibilità economiche di consentire a se stessi e ai pargoli una quotidianità che abbia l’alveo della dignità del vivere è un buon motivo per frenare la riproduzione del proprio nome nella linea di discendenza.
Eppure la montagna di difficoltà nella vita delle persone che si declina in categorie specifiche, tutte drammatiche, quali quella di disoccupazione, inoccupazione, cassaintegrazione, messa in mobilità, precariato, lavoro nero, lavoro grigio, fallimento e così via.. potrebbe avere delle linee molto più dolci se le coppie non fossero lasciate sole, se lo Stato alimentasse un welfare serio e mirato, se ci fossero più servizi per l’infanzia, più asili nido, più asili nido di qualità: una diffusa presenza di servizi come questi ha ribaltato in pochi anni, ad esempio, le disastrose condizioni demografiche della Francia.
E invece lo Stato italiano c’è poco, e anche se dal 1971 la legge 1044 ha istituito gli asili nido, il loro numero totale è risibile, il numero degli asili pubblici è risibile, quello delle figure professionalmente riconosciute (soprattutto dal lato stipendiale) è risibile, la formazione professionalizzante continua è nulla, la capacità di intervenire nelle dinamiche demografiche appena raccontate appare risibile. E questo perché la politica familiare del nostro paese non esiste, è demandata alle regioni che, a volte (Emilia Romagna, Toscana) eccellono, a volte (quasi tutte quelle del Sud) annaspano e, con loro, i padri, le madri e i nonni. In Italia la mancanza di un sistema di assegni familiari per i figli, lo scarso sviluppo dei servizi pubblici per la prima infanzia e una lunga assenza di politiche di conciliazione famiglia-lavoro trova uno storico fondamento in un preciso modello culturale di famiglia, quello cattolico delle solidarietà familiari e parentali: è l’idea che sia compito preciso della famiglia (e non dello stato) attendere ai compiti di cura verso i propri componenti e, soprattutto, che questi compiti di cura spettino alle donne. Prima di tutto le solidarietà familiari ed intergenerazionali, dopo lo Stato e – se Stato deve essere – che sia presente in forma monetizzata e non in servizi.
Eppure una presenza più diffusa di servizi per l’infanzia aiuterebbe; aiuterebbe le coppie a non sentirsi sole pianificando nuove nascite; aiuterebbe le coppie che hanno figli a poter fare affidamento quotidiano su operatori dotati di competenze professionali specialistiche differenti (e magari complementari) a quelle familiari; sosterrebbe i genitori elle scelte educative; faciliterebbe l’ingresso e la permanenza delle mamme nel mercato del lavoro, potrebbe promuovere la conciliazione delle scelte professionali e familiari di entrambi i genitori in un quadro di pari opportunità di genere.
Ecco, siccome gli asili nido pubblici sono sostanzialmente finanziati dallo Stato, programmati dalla Regione e gestiti dai Comuni; siccome agli ultimi due viene demandata l’emanazione di una specifica legislazione, propri regolamenti di attuazione e possibilità di implementare finanziariamente la presenza dei servizi; siccome il 16 febbraio si vota alle regionali; siccome – tra natalità e spopolamento delle zone interne - la complessiva situazione demografica della nostra Isola è al disastro.. siccome sono un uomo di sinistra… mi ha fatto piacere sentire che uno dei pilastri del progetto del candidato governatore della sinistra attenga proprio a questi temi.
Ci si lavori seriamente sul welfare, che – insieme al lavoro – è la priorità della Sardegna.
Le immigrate hanno agevolato anche un’altra grande trasformazione nel nostro paese: l’inversione del livello di fecondità tra aree territoriali. Ancora nel 1995 la fecondità era più elevata per le donne italiane del Mezzogiorno rispetto a quelle del Nord e del Centro Italia; ma oggi questa differenza è stata sostanzialmente colmata proprio perché è il Sud a peggiorare ed il Nord (grazie alla presenza massiccia di immigrate) a migliorare: il numero di figli per donna nel 2012 è più alto nel Nord (1,48) che nel Centro (1,42) o nel Mezzogiorno (1,33 nel Sud). E se Atene piange, Sparta non ride: i valori più bassi si registrano in Molise e in Sardegna (7,6).
Certo, scopare piace a tutti, ma non sempre come insegna la Genesi e come riprende qualsiasi libro di catechesi: insomma, per farla breve, il peso della responsabilità nel mettere al mondo dei figli si fa sentire e – grazie a Efesto – l’invenzione di una molteplicità di metodi anticoncezionali rasserenano l’umana pulsione sessuale e la incanalano verso spiagge di controllata natalità. Controllata, senza dubbio, ma anche socialmente imposta: una contabilità delle reali possibilità economiche di consentire a se stessi e ai pargoli una quotidianità che abbia l’alveo della dignità del vivere è un buon motivo per frenare la riproduzione del proprio nome nella linea di discendenza.
Eppure la montagna di difficoltà nella vita delle persone che si declina in categorie specifiche, tutte drammatiche, quali quella di disoccupazione, inoccupazione, cassaintegrazione, messa in mobilità, precariato, lavoro nero, lavoro grigio, fallimento e così via.. potrebbe avere delle linee molto più dolci se le coppie non fossero lasciate sole, se lo Stato alimentasse un welfare serio e mirato, se ci fossero più servizi per l’infanzia, più asili nido, più asili nido di qualità: una diffusa presenza di servizi come questi ha ribaltato in pochi anni, ad esempio, le disastrose condizioni demografiche della Francia.
E invece lo Stato italiano c’è poco, e anche se dal 1971 la legge 1044 ha istituito gli asili nido, il loro numero totale è risibile, il numero degli asili pubblici è risibile, quello delle figure professionalmente riconosciute (soprattutto dal lato stipendiale) è risibile, la formazione professionalizzante continua è nulla, la capacità di intervenire nelle dinamiche demografiche appena raccontate appare risibile. E questo perché la politica familiare del nostro paese non esiste, è demandata alle regioni che, a volte (Emilia Romagna, Toscana) eccellono, a volte (quasi tutte quelle del Sud) annaspano e, con loro, i padri, le madri e i nonni. In Italia la mancanza di un sistema di assegni familiari per i figli, lo scarso sviluppo dei servizi pubblici per la prima infanzia e una lunga assenza di politiche di conciliazione famiglia-lavoro trova uno storico fondamento in un preciso modello culturale di famiglia, quello cattolico delle solidarietà familiari e parentali: è l’idea che sia compito preciso della famiglia (e non dello stato) attendere ai compiti di cura verso i propri componenti e, soprattutto, che questi compiti di cura spettino alle donne. Prima di tutto le solidarietà familiari ed intergenerazionali, dopo lo Stato e – se Stato deve essere – che sia presente in forma monetizzata e non in servizi.
Eppure una presenza più diffusa di servizi per l’infanzia aiuterebbe; aiuterebbe le coppie a non sentirsi sole pianificando nuove nascite; aiuterebbe le coppie che hanno figli a poter fare affidamento quotidiano su operatori dotati di competenze professionali specialistiche differenti (e magari complementari) a quelle familiari; sosterrebbe i genitori elle scelte educative; faciliterebbe l’ingresso e la permanenza delle mamme nel mercato del lavoro, potrebbe promuovere la conciliazione delle scelte professionali e familiari di entrambi i genitori in un quadro di pari opportunità di genere.
Ecco, siccome gli asili nido pubblici sono sostanzialmente finanziati dallo Stato, programmati dalla Regione e gestiti dai Comuni; siccome agli ultimi due viene demandata l’emanazione di una specifica legislazione, propri regolamenti di attuazione e possibilità di implementare finanziariamente la presenza dei servizi; siccome il 16 febbraio si vota alle regionali; siccome – tra natalità e spopolamento delle zone interne - la complessiva situazione demografica della nostra Isola è al disastro.. siccome sono un uomo di sinistra… mi ha fatto piacere sentire che uno dei pilastri del progetto del candidato governatore della sinistra attenga proprio a questi temi.
Ci si lavori seriamente sul welfare, che – insieme al lavoro – è la priorità della Sardegna.