Quando Massimo Bray fu nominato Ministro dei Beni e delle attività culturali da Letta non furono in pochi a gioire per la comprovata professionalità, l’esperienza, lo spessore culturale e le capacità di ascolto del Nostro. Le capacità del fare di Bray si sono subito materializzate: nominato il 28 di aprile, il 2 di agosto presenta al pubblico il Decreto legge recante disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei Beni e delle Attività Culturali.
Il decreto legge è stato chiamato “Valore Cultura” ed è stato spacciato come atto rivoluzionario dallo stesso Bray in quanto “da circa 30 anni non si aveva una specifica iniziativa governativa così articolata in campo culturale”: si va dall’intervento per Pompei (che torna ad essere Soprintendenza autonoma) agli interventi di riorganizzazione delle Fondazioni lirico-sinfoniche (molte delle quali in questi anni hanno accumulato debiti enormi), alle misure relative ai Nuovi Uffizi, al recupero al MiBAC delle risorse derivanti dalla vendita degli biglietti, al tax credit per il cinema e la musica, e altre ancora.
Tra le altre, però, ci sono anche le cazzate, ma grandi però... Ad esempio il “Programma straordinario di inventariazione e digitalizzazione”, che dovrebbe facilitare “l’accesso e la fruizione del patrimonio culturale da parte del pubblico” selezionando “500 laureati under 35 ai quali sarà data la possibilità di accedere a un tirocinio di 12 mesi”.
Nel profluvio della retorica di questo come di tanti governi, il Premier Letta spacciò questa faccenda come un’opportunità di lavoro, ipotizzando – ancora una volta – di avere di fronte un pubblico di coglioni analfabeti. La semplice azione del “leggere” (il Decreto e l’Avviso di selezione, ovviamente) consente di svelare non il senso demenziale della proposta, bensì la sedimentata prassi di considerare le risorse giovanili come “carne da macello” nel mercato del lavoro. E qui, in questa reiterazione dello svilimento del capitale umano accumulato dai giovani, in questa incapacità di vedere la cultura come un volano di sviluppo, una leva su cui investire attenzioni, energie e, soprattutto, risorse finanziarie, che si è ormai persa ogni differenza significativa (à la Bobbio) tra l’essere di sinistra o di destra.
Capita, leggendo l’Avviso, di incontrare il comma 3 dell’art.5, che recita “il programma formativo di cui al presente Avviso non costituisce in alcun modo e non dà luogo alla costituzione in alcun modo di un rapporto di lavoro subordinato”. È e vuole essere un programma formativo, che alla fine prevede il rilascio di un attestato e che “non comporta alcun obbligo di assunzione da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo”
Allora viene da chiedersi perché cavolo mai un giovane laureato che ha una laurea con almeno 110/110 o un diploma 150/150, e una certificazione B2 QCER dell’inglese, dovrebbe accettare di spendere un anno della sua giovane vita continuando a ispessire la sua formazione “presso gli istituti e i luoghi della cultura statali per l’incredibile sostanziosa cifra di 5000 euro lordi annui, 416 euro al mese, 2 euro all’ora.
Allora viene da dire agli ingenui che spalancano la bocca di fronte alle incredibili cifre dei 3,75 milioni di neet (not in education, employment or training), giovani italiani tra i 25 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non sono in un percorso di formazione (il 27% del totale; 36,2% al Sud, oltre 2 milioni di persone): cazzo vi stupite? Cazzo vi stupite di questi abbandoni, di queste derive biografiche, quando è lo stesso Ministero che dice che “non serve”; che le eccellenze prodotte dall’Università, o dalle scuole di archivistica, paleografia e diplomatica, non sono pronte per lavorare alla digitalizzazione del nostro Patrimonio Culturale; che serve altro, un tirocinio che non ha neanche la parvenza dell’apprendistato; che serve un’abiura alla propria dignità, almeno per un anno.
Ma evidentemente Bray (e chi lo ha coadiuvato nella redazione del Decreto e dell’Avviso), oltre al riconosciuto spessore culturale ha anche immensa dose di umorismo. Già, perché leggendo fino in fondo il Programma 500 giovani per la cultura, alla fine un giovane è anche legittimato a storcere il naso, incazzarsi perché si sente preso per il culo. Infatti, tra gli obiettivi si scopre che il Ministero è interessato a: 1) Incrementare le competenze dei “500 giovani” 2) Realizzare percorsi turistico-culturali 3) Favorire la creazione di start up di imprese innovative nel campo del patrimonio culturale digitale, della conoscenza, della formazione e del turismo culturale .
Insomma, alla fine diventi anche imprenditore!!
Fai il tirocinio in condizioni di indegnità, nei primi due mesi assisti a lezioni in diretta streaming attraverso la rete RVP del MiBACT; nei sei mesi successivi via a lavorare presso luoghi gestiti dal MiBACT (musei, archivi, biblioteche) e impari le ontologie di base che rappresentano gli schemi di descrizione dei sistemi centrali (CAT SAN, METS…); negli ultimi 4 mesi cerchi di sviluppare delle soluzioni quali “Visite culturali, mostre virtuali e percorsi espositivi e tematici sui temi individuati (…) ovvero “territori, grande guerra, patrimonio culturale immateriale”, e.. alla fine.. ti viene fuori lo spirito dell’innovatore imprenditore schumpeteriano? E alla fine sei nelle condizioni di produrre start-up di successo nel settore? Ma dai…
Ora, io posso anche capire che il MIbac, come organizzazione, sia nella merda. Posso anche capire che sia difficile soddisfare gli obiettivi del Programma quando i dipendenti di area tecnico scientifica sono 3864, dei quali solo 350 archeologi e 490 storici dell’arte, contro 4649 amministrativi, 8371 custodi e 1253 occupati in attività ausiliarie. Posso anche capire che la situazione di merda derivi dal fatto che la maggior parte delle risorse del Mibac sono utilizzate per gli stipendi della valanga di custodi che tengono aperti i 237 musei archeologici nazionali, antiquaria ed aree archeologiche, e dall’esercito degli amministrativi. Posso capire tutto, ma non la presa per il culo sotto forma di stage formativo.
Ecco, caro Soprintendente ai Beni Archeologici per Cagliari e Oristano, caro Marco Minoja, quando dice che “Dobbiamo considerare la notizia alla luce della situazione di crisi che stiamo vivendo, non sottovaluterei comunque la formazione all’interno di un ufficio ministeriale: di certo i cinquemila euro non sono un compenso e il lavoro è molto impegnativo, ma può essere un’esperienza positiva”, mi viene proprio voglia di dirglielo.. ma davvero anche lei pensa che siano tutti coglioni questi giovani?
Il decreto legge è stato chiamato “Valore Cultura” ed è stato spacciato come atto rivoluzionario dallo stesso Bray in quanto “da circa 30 anni non si aveva una specifica iniziativa governativa così articolata in campo culturale”: si va dall’intervento per Pompei (che torna ad essere Soprintendenza autonoma) agli interventi di riorganizzazione delle Fondazioni lirico-sinfoniche (molte delle quali in questi anni hanno accumulato debiti enormi), alle misure relative ai Nuovi Uffizi, al recupero al MiBAC delle risorse derivanti dalla vendita degli biglietti, al tax credit per il cinema e la musica, e altre ancora.
Tra le altre, però, ci sono anche le cazzate, ma grandi però... Ad esempio il “Programma straordinario di inventariazione e digitalizzazione”, che dovrebbe facilitare “l’accesso e la fruizione del patrimonio culturale da parte del pubblico” selezionando “500 laureati under 35 ai quali sarà data la possibilità di accedere a un tirocinio di 12 mesi”.
Nel profluvio della retorica di questo come di tanti governi, il Premier Letta spacciò questa faccenda come un’opportunità di lavoro, ipotizzando – ancora una volta – di avere di fronte un pubblico di coglioni analfabeti. La semplice azione del “leggere” (il Decreto e l’Avviso di selezione, ovviamente) consente di svelare non il senso demenziale della proposta, bensì la sedimentata prassi di considerare le risorse giovanili come “carne da macello” nel mercato del lavoro. E qui, in questa reiterazione dello svilimento del capitale umano accumulato dai giovani, in questa incapacità di vedere la cultura come un volano di sviluppo, una leva su cui investire attenzioni, energie e, soprattutto, risorse finanziarie, che si è ormai persa ogni differenza significativa (à la Bobbio) tra l’essere di sinistra o di destra.
Capita, leggendo l’Avviso, di incontrare il comma 3 dell’art.5, che recita “il programma formativo di cui al presente Avviso non costituisce in alcun modo e non dà luogo alla costituzione in alcun modo di un rapporto di lavoro subordinato”. È e vuole essere un programma formativo, che alla fine prevede il rilascio di un attestato e che “non comporta alcun obbligo di assunzione da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo”
Allora viene da chiedersi perché cavolo mai un giovane laureato che ha una laurea con almeno 110/110 o un diploma 150/150, e una certificazione B2 QCER dell’inglese, dovrebbe accettare di spendere un anno della sua giovane vita continuando a ispessire la sua formazione “presso gli istituti e i luoghi della cultura statali per l’incredibile sostanziosa cifra di 5000 euro lordi annui, 416 euro al mese, 2 euro all’ora.
Allora viene da dire agli ingenui che spalancano la bocca di fronte alle incredibili cifre dei 3,75 milioni di neet (not in education, employment or training), giovani italiani tra i 25 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non sono in un percorso di formazione (il 27% del totale; 36,2% al Sud, oltre 2 milioni di persone): cazzo vi stupite? Cazzo vi stupite di questi abbandoni, di queste derive biografiche, quando è lo stesso Ministero che dice che “non serve”; che le eccellenze prodotte dall’Università, o dalle scuole di archivistica, paleografia e diplomatica, non sono pronte per lavorare alla digitalizzazione del nostro Patrimonio Culturale; che serve altro, un tirocinio che non ha neanche la parvenza dell’apprendistato; che serve un’abiura alla propria dignità, almeno per un anno.
Ma evidentemente Bray (e chi lo ha coadiuvato nella redazione del Decreto e dell’Avviso), oltre al riconosciuto spessore culturale ha anche immensa dose di umorismo. Già, perché leggendo fino in fondo il Programma 500 giovani per la cultura, alla fine un giovane è anche legittimato a storcere il naso, incazzarsi perché si sente preso per il culo. Infatti, tra gli obiettivi si scopre che il Ministero è interessato a: 1) Incrementare le competenze dei “500 giovani” 2) Realizzare percorsi turistico-culturali 3) Favorire la creazione di start up di imprese innovative nel campo del patrimonio culturale digitale, della conoscenza, della formazione e del turismo culturale .
Insomma, alla fine diventi anche imprenditore!!
Fai il tirocinio in condizioni di indegnità, nei primi due mesi assisti a lezioni in diretta streaming attraverso la rete RVP del MiBACT; nei sei mesi successivi via a lavorare presso luoghi gestiti dal MiBACT (musei, archivi, biblioteche) e impari le ontologie di base che rappresentano gli schemi di descrizione dei sistemi centrali (CAT SAN, METS…); negli ultimi 4 mesi cerchi di sviluppare delle soluzioni quali “Visite culturali, mostre virtuali e percorsi espositivi e tematici sui temi individuati (…) ovvero “territori, grande guerra, patrimonio culturale immateriale”, e.. alla fine.. ti viene fuori lo spirito dell’innovatore imprenditore schumpeteriano? E alla fine sei nelle condizioni di produrre start-up di successo nel settore? Ma dai…
Ora, io posso anche capire che il MIbac, come organizzazione, sia nella merda. Posso anche capire che sia difficile soddisfare gli obiettivi del Programma quando i dipendenti di area tecnico scientifica sono 3864, dei quali solo 350 archeologi e 490 storici dell’arte, contro 4649 amministrativi, 8371 custodi e 1253 occupati in attività ausiliarie. Posso anche capire che la situazione di merda derivi dal fatto che la maggior parte delle risorse del Mibac sono utilizzate per gli stipendi della valanga di custodi che tengono aperti i 237 musei archeologici nazionali, antiquaria ed aree archeologiche, e dall’esercito degli amministrativi. Posso capire tutto, ma non la presa per il culo sotto forma di stage formativo.
Ecco, caro Soprintendente ai Beni Archeologici per Cagliari e Oristano, caro Marco Minoja, quando dice che “Dobbiamo considerare la notizia alla luce della situazione di crisi che stiamo vivendo, non sottovaluterei comunque la formazione all’interno di un ufficio ministeriale: di certo i cinquemila euro non sono un compenso e il lavoro è molto impegnativo, ma può essere un’esperienza positiva”, mi viene proprio voglia di dirglielo.. ma davvero anche lei pensa che siano tutti coglioni questi giovani?