La vita è come un test, uno di quelli che si trovano nelle pagine centrali delle riviste femminili. Hai presente quelli tipo grappoli d’uva con acini quadrati? Devi saltellare da una casella all’altra: se hai risposto SI alla domanda 3, vai alla domanda 4. Se hai risposto NO vai alla domanda 7. E se ancora la risposta successiva non si allinea al sentire comune, il tuo profilo è “stramba”.
Proprio come in un videogioco, l’esistenza di una persona deve passare per fasi ben ordinate, dove ognuna è propedeutica alla successiva. Il primo stadio prevede il termine degli studi, fatto ciò si passa alla ricerca di un’occupazione, poi è la volta di un marito, quindi una casa acquistata con un mutuo sgranocchiato dai due stipendi, un figlio, un avanzamento di carriera e poi, eventualmente, un secondo figlio.
Ma se succede che la tua vita non ha seguito, per scelta o per casualità, il summenzionato iter allora potrà capitare che andrai al matrimonio di tua cugina e tutto il parentado ti domanderà:
“Quand’è che finalmente verremo al tuo?”
Perché, siccome ti sei avvicinata pericolosamente all’età nuziale, il tuo orologio biologico dovrebbe segnalarti crudelmente che sarebbe ora che ti trovassi un coglione qualsiasi col quale sfilare mascherata fino all’altare, distribuire confetti ai parenti e brindare con le braccia incrociate.
Poco importa se, dopo qualche tempo di entusiasmo per la nuova vita, scivolerai nella faticosa sopportazione della sua presenza in casa, se andrete in pizzeria e mangerete guardando ognuno il proprio piatto, se le conversazioni si ridurranno a mere comunicazioni di servizio, se la relazione sarà basata sull’incomprensione reciproca.
Nella migliore delle ipotesi, l’unione si potrà dire riuscita quando imparerai a litigare con armonia.
Ma una società degna di essere definita tale, si fonda sulla famiglia e i tuoi genitori, se nei paraggi, si affretteranno a rispondere: “Ma figurati, non è certo fatta per il matrimonio!” E non si capisce se le loro parole siano accompagnate da orgoglio o vergogna, più probabile la seconda ipotesi però.
A dispetto di tutte le tue rassicurazioni, continueranno ad immaginarti nella solitudine della tua dimora, scontenta e inappagata della piega ormai irreversibile che ha preso la tua vita. Suppongono, anzi, hanno la certezza che la tua passione per gli animali e le cure che riservi loro siano la sublimazione di una maternità insoddisfatta.
Non potranno mai capire che la tua vita va benissimo così com’è. Che quella libertà estrema, difesa con le unghie e coi denti da innumerevoli relazioni sentimentali pronte a fagocitarla, ora non la cederesti per nulla al mondo. Che l’autogestione anarchica è un privilegio dal sapore sublime. Che la tua zitellaggine, interrotta periodicamente da relazioni a tempo determinato, è talmente cronica da aver reso quasi superflue le tue ovaie. E anche se ami i bambini, il tuo amore si limita al tempo utile per far sbocciare un sorriso sulle loro labbra agitando un sonaglino o battendo le loro manine e non te ne frega nulla di averne uno tutto tuo.
E comunque i parenti smetteranno di rivolgerti quella domanda idiota quando tu, durante un funerale, rivolgerai loro il medesimo quesito.
Proprio come in un videogioco, l’esistenza di una persona deve passare per fasi ben ordinate, dove ognuna è propedeutica alla successiva. Il primo stadio prevede il termine degli studi, fatto ciò si passa alla ricerca di un’occupazione, poi è la volta di un marito, quindi una casa acquistata con un mutuo sgranocchiato dai due stipendi, un figlio, un avanzamento di carriera e poi, eventualmente, un secondo figlio.
Ma se succede che la tua vita non ha seguito, per scelta o per casualità, il summenzionato iter allora potrà capitare che andrai al matrimonio di tua cugina e tutto il parentado ti domanderà:
“Quand’è che finalmente verremo al tuo?”
Perché, siccome ti sei avvicinata pericolosamente all’età nuziale, il tuo orologio biologico dovrebbe segnalarti crudelmente che sarebbe ora che ti trovassi un coglione qualsiasi col quale sfilare mascherata fino all’altare, distribuire confetti ai parenti e brindare con le braccia incrociate.
Poco importa se, dopo qualche tempo di entusiasmo per la nuova vita, scivolerai nella faticosa sopportazione della sua presenza in casa, se andrete in pizzeria e mangerete guardando ognuno il proprio piatto, se le conversazioni si ridurranno a mere comunicazioni di servizio, se la relazione sarà basata sull’incomprensione reciproca.
Nella migliore delle ipotesi, l’unione si potrà dire riuscita quando imparerai a litigare con armonia.
Ma una società degna di essere definita tale, si fonda sulla famiglia e i tuoi genitori, se nei paraggi, si affretteranno a rispondere: “Ma figurati, non è certo fatta per il matrimonio!” E non si capisce se le loro parole siano accompagnate da orgoglio o vergogna, più probabile la seconda ipotesi però.
A dispetto di tutte le tue rassicurazioni, continueranno ad immaginarti nella solitudine della tua dimora, scontenta e inappagata della piega ormai irreversibile che ha preso la tua vita. Suppongono, anzi, hanno la certezza che la tua passione per gli animali e le cure che riservi loro siano la sublimazione di una maternità insoddisfatta.
Non potranno mai capire che la tua vita va benissimo così com’è. Che quella libertà estrema, difesa con le unghie e coi denti da innumerevoli relazioni sentimentali pronte a fagocitarla, ora non la cederesti per nulla al mondo. Che l’autogestione anarchica è un privilegio dal sapore sublime. Che la tua zitellaggine, interrotta periodicamente da relazioni a tempo determinato, è talmente cronica da aver reso quasi superflue le tue ovaie. E anche se ami i bambini, il tuo amore si limita al tempo utile per far sbocciare un sorriso sulle loro labbra agitando un sonaglino o battendo le loro manine e non te ne frega nulla di averne uno tutto tuo.
E comunque i parenti smetteranno di rivolgerti quella domanda idiota quando tu, durante un funerale, rivolgerai loro il medesimo quesito.