Una caduta libera di undici piani.
Ha scelto di affrontare il vuoto piuttosto che continuare a vivere in una società dalla quale si sentiva rifiutato.
Era uno dei tanti gay di ieri, di oggi e di domani.
Uno dei molti ragazzi al quale avremmo dovuto garantire il diritto di vivere una giovinezza spensierata: rientrare a casa e chiudersi nella sua camera per scambiare messaggi su whatsapp con la fidanzatina, cimentarsi in tornei alla playstation con gli amici, studiare e fare prove tecniche di preparazione al suo avvenire.
Avrebbe potuto essere un mio alunno, un amico di mio nipote o il figlio di una vicina di casa.
Lui era figlio di qualcuno, sì!
Figlio sfortunato di una società che guarda con denigrazione al diverso.
Vittima di quel berlusconismo becero che afferma lapidario “meglio puttaniere che gay”.
Martire di quei valori preistorici in difesa dei “sani valori della famiglia tradizionale”.
Capro espiatorio di dichiarazioni del tipo “meglio noi del centrodestra che andiamo con le donne, che quelli del centrosinistra che vanno con i culattoni”.
Asserzioni rovinose come bombe a orologeria, che s'insinuano sottopelle e restano lì, nascoste come un herpes, pronte a saltare fuori in un attimo di sconforto con la potenza di una detonazione.
Lui era il figlio sventurato di una collettività che esige dimostrazioni di forza e indistruttibilità, che quotidianamente ti sfida a braccio di ferro in snervanti gare a eliminazione diretta.
Una comunità che pretende esemplari omologati e vincenti.
A qualsiasi costo e a qualsiasi prezzo.
Anche quello dei nostri figli che, sentendosi inadeguati, si lanciano nel vuoto.
Ha scelto di affrontare il vuoto piuttosto che continuare a vivere in una società dalla quale si sentiva rifiutato.
Era uno dei tanti gay di ieri, di oggi e di domani.
Uno dei molti ragazzi al quale avremmo dovuto garantire il diritto di vivere una giovinezza spensierata: rientrare a casa e chiudersi nella sua camera per scambiare messaggi su whatsapp con la fidanzatina, cimentarsi in tornei alla playstation con gli amici, studiare e fare prove tecniche di preparazione al suo avvenire.
Avrebbe potuto essere un mio alunno, un amico di mio nipote o il figlio di una vicina di casa.
Lui era figlio di qualcuno, sì!
Figlio sfortunato di una società che guarda con denigrazione al diverso.
Vittima di quel berlusconismo becero che afferma lapidario “meglio puttaniere che gay”.
Martire di quei valori preistorici in difesa dei “sani valori della famiglia tradizionale”.
Capro espiatorio di dichiarazioni del tipo “meglio noi del centrodestra che andiamo con le donne, che quelli del centrosinistra che vanno con i culattoni”.
Asserzioni rovinose come bombe a orologeria, che s'insinuano sottopelle e restano lì, nascoste come un herpes, pronte a saltare fuori in un attimo di sconforto con la potenza di una detonazione.
Lui era il figlio sventurato di una collettività che esige dimostrazioni di forza e indistruttibilità, che quotidianamente ti sfida a braccio di ferro in snervanti gare a eliminazione diretta.
Una comunità che pretende esemplari omologati e vincenti.
A qualsiasi costo e a qualsiasi prezzo.
Anche quello dei nostri figli che, sentendosi inadeguati, si lanciano nel vuoto.