Nelson Mandela è stato un Grande Uomo, senza se e senza ma. E di fronte alla storia umana, perché politica, di quest’Uomo che ha traghettato un intero paese “dalle lande dei senza diritti alle praterie dei diritti socio-politici” bisogna inchinarsi, senza se e senza ma.
Eppure un “ma” qualcuno lo ha regalato alle possibilità di analisi critica della storia di Madiba e del Sud Africa. L’arci-famoso Arcivescovo Desmon Tutu, Presidente della Commissione per la verità e la riconciliazione del Paese, nel 2002 sottolineava come “Riconciliazione significa che chi si è trovato dal lato sbagliato della storia deve comprendere che esiste una differenza qualitativa tra repressione e libertà. E per loro, libertà significa avere accesso ad acqua pulita ed elettricità; poter vivere in una casa decente e avere un buon lavoro; poter mandare a scuola i propri figli e poter accedere all’assistenza sanitaria. Voglio dire, a che serve aver fatto questa transizione, se la qualità della vita di questa gente non migliora? Altrimenti il voto è inutile”.
Ciò su cui insiste Tutu e su cui non si ragiona abbastanza (tantomeno in questo momento di lutto) è che l’apartheid non è stato solo un sistema politico che stabiliva diversi diritti e libertà di movimento in base al colore della pelle, ma soprattutto un sistema economico che ha utilizzato il razzismo per sostenere elevate rendite a una ristrettissima élite di bianchi. Ciò su cui non si ragiona abbastanza è che spesso si confonde la riconquistata libertà politica dei neri con il diritto e la concreta possibilità di rivendicare e redistribuire ricchezze accumulate, in tanto tempo e in modo così disonesto, dagli oppressori bianchi. Ed è proprio questo “strabismo” tra la dimensione della politica e quella dell’economia ad aver contraddistinto l’esperienza sudafricana.
Nella Freedom Charter si possono trovare le radici delle aspirazioni politiche ma, soprattutto economiche, del popolo nero sudafricano in lotta; chi ha scritto la la Carta delle libertà (stesa e adottata nel 1955 dal National African Congress) era consapevole che senza un miglioramento delle condizioni economiche e uno schiacciamento delle diseguaglianze, la parola libertà sarebbe rimasta una parola vuota: “La ricchezza nazionale del nostro Paese, il patrimonio dei sudafricani, sarà restituita al popolo; la ricchezza mineraria, le banche e le industrie monopolistiche saranno trasferite nelle mani del popolo come entità unitaria; tutte le altre industrie e attività commerciali saranno controllate per assicurare il benessere del popolo”. Il diritto al lavoro, a un alloggio decente, alla libertà di pensiero e tante altre possibilità di benessere per il popolo nero, erano poi descritte come possibilità di una grande redistribuzione economica nelle nuove condizioni politiche. Ma, a quanto pare, la Carta della libertà è stata profondamente tradita.
Dopo 27 anni di ignobile prigionia, l’11 febbraio 1990 Mandela uscì dal carcere e si iniziarono responsabilmente dei negoziati con il Partito nazionale (soprattutto per evitare ciò che era appena successo nel vicino Mozambico dopo la cacciata dei portoghesi), e portare il paese pacificamente verso una nuova condizione. Tutti gli occhi erano naturalmente puntati su Mandela e il suo staff nel confronto politico con i delegati afrikaner di De Klerk, ma pochi – purtroppo - si interessarono della parte economica dei negoziati. Ed è invece qui che si svolse la vera partita, quella che ha condotto il Sud Africa alle condizioni miserevoli sottolineate, ancora una volta da Tutu nel 2003: “Sapete spiegarmi perché una persona nera oggi si sveglia in uno squallido ghetto, quasi dieci anni dopo la libertà? Poi va a lavoro in una città, una città che è ancora in gran parte bianca, in case principesche, e alla fine della giornata, torna a casa nello squallore? Non so perché questa gente non dica semplicemente: al diavolo la pace. Al diavolo Tutu e la Commissione per la verità”.
Cosa è successo? È successo che il vero mediatore della trattativa economica non fu Mandela bensì Thabo Mbeki, succeduto a Mandela nella carica di Presidente del Paese nel 1999 (fino al 2008). È successo che Mbeki ha studiato economia in Inghilterra, si è dichiarato più volte (dimostrandolo nei fatti) un thatcheriano di ferro e nei negoziati del 1990 ha condotto le trattative con i poteri forti dell’economia sud africana, rendendo la Banca Centrale indipendente e separata dalla gestione del futuro governo, ovvero disegnando e vincolando per un orizzonte molto ampio le residue possibilità di aumentare il benessere per la popolazione di colore. Così.. giusto per dire..: la Banca fu poi diretta dall’uomo che da anni la dirigeva, Chris Stals; il Ministro delle finanze bianco sotto l’apartheid, Derek Keyes, rimase al suo posto, così come tutta l’alta burocrazia pubblica.
Grazie a quei negoziati non fu possibile redistribuire la terra: i negoziatori accettarono delle clausole alla nuova Costituzione che proteggeva ogni forma di proprietà privata. Non fu possibile cerare i nuovi posti di lavoro promessi: centinaia di fabbriche chiusero perché, dopo l’iscrizione dell’Anc al Gatt (ora Organizzazione mondiale del commercio), i finanziamenti alle fabbriche di automobili e a quelle tessili divennero illegali. Gli aiuti farmaci gratuiti per combattere il dilagare dell’Aids nelle township furono negati perché, senza alcun dibattito pubblico, l’Anc strinse un patto con il Wto per la difesa dei diritti di proprietà intellettuale. Le riserve finanziarie promesse per aumentare il volume dell’edilizia popolare e portare l’elettricità nelle milioni di case al buio furono dirottate per pagare i debiti ereditati dai governi bianche dell’apartheid. Il controllo sulle speculazioni finanziarie sul rand (la moneta locale) furono impediti dall’accordo con il Fondo Monetario Internazionale - che concedeva 850 milioni di dollari - stabilito pochi giorni prima le elezioni che portarono Mandela alla Presidenza (l’accordo stabiliva anche l’impossibilità di aumentare il reddito minimo per i lavoratori dipendenti). Tutti i bianchi funzionari pubblici mantennero il loro posto di lavoro (e chi voleva andarsene percepiva pensioni altissime). Le aziende dei bianchi che avevano guadagnato enormemente durante il “regno bianco” sfruttando la forza di lavoro nera non pagarono un rand di risarcimenti. Il 40% dei pagamenti annuali relativi al debito per molto tempo hanno sovvenzionato l’enorme Fondo pensione del paese e, ovviamente, la grande maggioranza dei beneficiari furono ex impiegati dell’apartheid. Nel 1996 Mbeki presento un “piano di rinascita economica” di taglio prettamente neoliberista: più privatizzazioni, tagli alle spese del governo, più flessibilità nell’uso della forza lavoro, minori controlli sui flussi di denaro, etc..”.
I risultati? I buoni propositi della Freedom Charter?
Dal 1994 a oggi il numero di persone che vive con meno di un dollaro al giorno è raddoppiato (oltre 4 milioni); tra il 1991 e il 2002 il tasso di disoccupazione tra i nero è più che raddoppiato (dal 23 al 48%) e solo recentemente si è stabilizzato al 27%; l’indice di Gini (che misura la diseguaglianza: 0 = nulla, massima disparità =1) è passato dallo 0,59 del 1993 allo 0,63 del 2009; degli oltre 37 milioni di cittadini neri del Sud Africa solo cinquemila guadagnano più di 60.000 dollari l’anno (il numero dei bianchi in quella fascia è venti volte più alto); il governo dell’Anc ha costruito 1,8 milioni di case, ma nel frattempo oltre due milioni di persone sono rimaste senza tetto; solo nel 2006 più di un sudafricano su quattro viveva in baracche situate nelle township, quasi tutte senza acqua ed energia elettrica; nel 2005 oltre il 40% delle nuove linee telefoniche non erano più in servizio; solo il 4% delle aziende quotate in Borsa sono possedute o controllate da neri; il 70% delle terre sudafricane è ancora monopolio dei bianchi (che sono poco meno del 10% della popolazione). Infine, triste ornamento sulla triste torta: dal 1990, l’anno della scarcerazione di Mandela, ad oggi, l’aspettativa di vita dei sudafricani neri è calata di tredici anni.
Insomma, a leggere i resoconti dei protagonisti di quei trattati è evidente l’errore della dirigenza dell’Anc: il combattere aspramente (vincendola) la battaglia politica ma, nel contempo, combattere con meno vigore e intelligenza la battaglia economica. Di fatto l’Anc ha ceduto la sovranità economica del Paese in quei negoziati o, come ben scrive Rassol Snyman, un attivista anti-apartheid: “Non ci hanno mai liberati. Hanno solo tolto la catena che avevamo al collo e ce l’hanno messa alle caviglie”.
A volte le lontane lezioni in lontane terre possono servire come monito anche per le faccende economiche domestiche; e ha ragione Amartya Sen: la libertà è, soprattutto, libertà di scegliere.