Ventitré quartieri e diciassette piani di risanamento. Significa che l'ottanta per cento della città è nata fuori dalla regole, un mattone abusivo sopra l'altro. Questa città si chiama Olbia ed ha visto triplicare la sua popolazione in cinquant'anni, un'ipertrofia demografica indotta dal grande fenomeno turistico e dai servizi nati attorno ad esso. Olbia è la città che, caso più unico che raro, ha visto un magistrato disporre il sequestro di un intero piano di risanamento: quello di Pittulongu, pregiato tratto di costa violentato da una feroce speculazione edilizia. Era il 2005 ed il pubblico ministero Renato Perinu fece sigillare un intero quartiere, In quel momento, erano in essere 270 licenze edilizie e si continuava a costruire selvaggiamente, sfruttando una singolare permuta di metri cubi con un'area del centro. Tolti di là per essere aggiunti di qua, vicino al mare, dove valgono molto di più.
Per convincere i più dubbiosi sugli effetti devastanti provocati dalle barriere di cemento sul naturale corso delle acque, prendete uno di questi scettici e portatelo proprio sulla collina alle spalle di Pittulongu. Vedranno un fiume scendere giù a valle, in un percorso ad ostacoli tra villette e urbanizzazioni improvvisate, esplodere con una rabbia mostruosa quando le precipitazioni diventano uragano tropicale. Pittulongu è l'emblema della sciagurata corsa all'edificazione senza criterio, Pittulongu è il luogo dove ho visto case e prati costruiti sul corso del torrente e dove, con i miei occhi, ho visto giardini perimetrati da alti muri di cinta trasformarsi in piscine, in catini riempiti d'acqua in poche ore, abbandonati precipitosamente da chi ci viveva al primo acquazzone violento. Il resto della città non è molto diverso.
Si dirà che contro la furia devastatrice della natura nessuno nulla può. Forse è proprio così. Sarà anche scontato ed odioso dirlo adesso, ma non era difficile prevedere che prima o poi Olbia sarebbe stata vittima di un disastro come quello avvenuto nelle ultime ore. Non è mica la prima volta che si vede la città sommersa, travolta dalle piogge torrenziali e inerme contro l'esplodere del cielo.
Però Olbia un piano urbanistico non ce l'ha. Per le vittime ci saranno funerali solenni e i carri funebri saranno accompagnati da rabbia e recriminazioni.
Poi ce ne dimenticheremo, come sempre, tornando a convincerci di poter piegare la natura ai nostri voleri.
Per convincere i più dubbiosi sugli effetti devastanti provocati dalle barriere di cemento sul naturale corso delle acque, prendete uno di questi scettici e portatelo proprio sulla collina alle spalle di Pittulongu. Vedranno un fiume scendere giù a valle, in un percorso ad ostacoli tra villette e urbanizzazioni improvvisate, esplodere con una rabbia mostruosa quando le precipitazioni diventano uragano tropicale. Pittulongu è l'emblema della sciagurata corsa all'edificazione senza criterio, Pittulongu è il luogo dove ho visto case e prati costruiti sul corso del torrente e dove, con i miei occhi, ho visto giardini perimetrati da alti muri di cinta trasformarsi in piscine, in catini riempiti d'acqua in poche ore, abbandonati precipitosamente da chi ci viveva al primo acquazzone violento. Il resto della città non è molto diverso.
Si dirà che contro la furia devastatrice della natura nessuno nulla può. Forse è proprio così. Sarà anche scontato ed odioso dirlo adesso, ma non era difficile prevedere che prima o poi Olbia sarebbe stata vittima di un disastro come quello avvenuto nelle ultime ore. Non è mica la prima volta che si vede la città sommersa, travolta dalle piogge torrenziali e inerme contro l'esplodere del cielo.
Però Olbia un piano urbanistico non ce l'ha. Per le vittime ci saranno funerali solenni e i carri funebri saranno accompagnati da rabbia e recriminazioni.
Poi ce ne dimenticheremo, come sempre, tornando a convincerci di poter piegare la natura ai nostri voleri.