DAL CASO ALCOA ALL'INDUSTRIA DEL SUGHERO
E’ opinione comune che le attività industriali debbano essere sostenibili sia dal punto di vista economico sia per l’uomo che per il pianeta. Ma troppo spesso le cose non vanno così da troppi decenni. Coloro che invocano “governi del cambiamento” dovrebbero saperlo, sperando che lo comprenda anche la candidata del centro sinistra in Sardegna alla carica di governatore, fresca di elezione. Prendiamo ad esempio la company statunitense dell’alluminio, il cui acronimo si legge ALCOA, la quale ha ottenuto dal sistema pubblico insostenibili incentivi di ogni genere che è persino assai complicato quantificare. Vogliamo parlare di questa pagina abietta della politica industriale in Sardegna? Ipotizzo di attirare lampi e fulmini, ma bisognerà pur parlarne. Non possiamo che essere con gli operai che lottano per difendere il lavoro, ma ci sarà pure un però. Semmai il problema è quello di trovare soluzioni agli operai che il lavoro lo perdono (ciò che la politica non sa affatto fare), piuttosto che continuare pesantemente a dopare un sistema intollerabile, che porterà tutti in fondo all’abisso. Alcoa è un’azienda energivora (la più energivora in Italia), per ogni tonnellata di alluminio prodotto consuma circa 30 megawatt/ora di energia, bruciando ogni anno qualcosa come 4,5 terawatt, circa un quarto dei consumi totali della Sardegna. Dall’Authority per l’energia elettrica e il gas questa multinazionale ha ottenuto, attraverso sconti sulle tariffazioni, 1,5 miliardi di euro che agli italiani e alle imprese vengono caricate sulle proprie bollette. Alcoa genera negli impianti di Portovesme un fatturato poco superiore a 550 milioni l’anno e nei tre lustri, da quando è ormeggiata in Sardegna, sono stati quantificati ulteriori incentivi per diversi miliardi. Un calcolo molto grossolano, basato sulla spesa totale negli ultimi 15 anni e sul numero di posti di lavoro salvati, indica che ogni dipendente sia costato alla fiscalità qualcosa come 200 mila euro l’anno. Si, 200 mila euro l’anno! Una follia, una stoltezza totale, vista oltretutto la sopportabile leggerezza dei salari pagati alle maestranze. Insomma una flebotomia che non riscontra eguali. Eppure nonostante questa perversa generosità non è bastato ad impedire la mobilità e la cassa integrazione. Adesso Alcoa molla baracca e burattini e trasloca altrove, dove l’energia è a buon mercato. Hanno capito che dopo la procedura d’infrazione Ue non c’è più trippa per gatti. Disertano lasciando sul campo 500 famiglie senza speranza e un territorio intossicato nell’ambiente e nel tessuto sociale; lasciano pozzi avvelenati e macerie umane. Loro i conti li sanno fare; siamo noi che non conosciamo la somma algebrica tra il segno “più” e il segno “meno”. In Gallura, di contro, il settore sugheriero occupa (tra diretti, indotto e stagionali) circa 2200 dipendenti. Produce un fatturato di 250/300 milioni l’anno che viene generato da un centinaio di aziende localizzate per lo più tra Tempio e Calangianus. Retribuisce stipendi e salari per circa 80 milioni e versa oneri e tributi stimati in 50 milioni. La produzione mondiale di sughero è di 340 mila tonnellate, quello sardo è appena il 5%, mentre in Gallura se ne lavora il doppio, registrando un pesante deficit di materia prima che gli imprenditori denunciano fin dagli anni sessanta del secolo scorso. Con il sughero raccolto nel mondo, posto che venga utilizzato per produrre solo tappi per uso enologico, si possono fabbricare circa 4/5 miliardi di pezzi contro una richiesta potenziale di 25 miliardi. Fra pochi anni la domanda potrebbe essere 10 volte l’offerta. Un mercato dagli sbocchi occupazionali e imprenditoriali notevoli. Il sughero ha trovato impiego fin dall’alba della storia; gli archeologi hanno rinvenuto reperti appartenenti all’epoca nuragica e dell’antico Egitto. E’ industria autoctona, unico esempio italiano di filiera produttiva che esaurisce tutto il suo ciclo, dalla materia prima al prodotto finito, nell’ambito di una regione. Da due secoli costituisce la peculiarità industriale, imprenditoriale e occupazionale dell’alta Gallura, producendo nel corso del tempo ricchezza e capacità di intrapresa, dando vita a industrie che nel settore rappresentano l’eccellenza a livello mondiale. Il sughero è materia prima ecosostenibile, riciclabile; è ignifugo, isolante, dalle altissime performance tecniche; è decisamente un materiale del futuro. La quercia da sughero connota il paesaggio sardo, è tratto distintivo silvo-agronomico e ambientale dell’isola; costituisce habitat ideale di numerosissime specie di fauna. Una moltitudine di proprietari in tutta la Sardegna ne trae reddito, legname e alimento per il bestiame. Una pianta generosa, forte; vive mediamente 300 anni, spesso sopravvive persino al fuoco. Si autoriproduce, colonizza aree e terreni marginali, non sottrae territorio alle attività agricole e al pascolo, non necessità di irrigazione. La produzione di sugherete, con le nuove tecniche agronomiche, potrebbe essere decuplicata in qualche decennio, generando, solo nella manifattura, oltre 10.000 nuovi posti di lavoro, mentre migliaia di operai verrebbero impiegati nelle operazioni di forestazione, mantenimento e cura delle superfici boscate e nelle operazioni di tracciabilità e certificazione di qualità. Dal sughero attualmente vengono fabbricati oltre 400 articoli: dal tappo, ai tessuti impiegati nell’alta moda, ai pannelli isolanti, ad arredi per la casa, prodotti per l’edilizia, suppellettili, artigianato artistico, tappezzeria per l’industria automobilistica, navale e persino le capsule spaziali utilizzano il sughero per le schermature contro i raggi cosmici. Anche gli sfridi come la polvere sono utilizzati come fonte energetica nel riscaldamento degli opifici. Ricerche ancora in fase di validazione, sviluppate da un’azienda di Maranello, sta testando una fibra di carbonio dalle prestazioni sorprendenti: le carrozzerie delle automobili costruite con fibra di carbonio ottenuta dal sughero, oltre ad una elevata capacità di assorbimento degli urti, pare riduca (se non addirittura sopprima) la forza centripeta dei veicolo in curva.
Purtroppo da oltre dieci anni questo comparto produttivo versa in una crisi di crescita industriale, commerciale, d'innovazione; è un settore stanco, che necessiterebbe di rivitalizzazione e nuovi stimoli. Da un decennio il comparto non riceve non solo sostegni e incentivi finanziari, ma nessun genere di attenzione da parte delle politiche regionali e nazionali sui piani di forestazione, sulla creazione di reti d’impresa, etc., mentre i maggiori competitor, come i portoghesi, godono di sostegni ad ogni livello, nella ricerca, nel marketing, nella difesa delle produzioni nazionali. Da noi è tutto affidato al destino delle resistenze individuali di industriali, artigiani e operai. Nessuno se ne occupa adeguatamente, come la crisi imporrebbe. I galluresi, è noto, sono popolo ammansito e questo per la stampa non produce turature, mentre i sindacati non hanno da battagliare con la cassa integrazione, poiché il 90% delle aziende non vi ha accesso. L’area industriale che accoglie le oltre 110 imprese sugheriere, sembra Kabul piuttosto che il contenitore le cui aziende esportano prodotti in tutto il mondo. L’unico centro di ricerca, il solo in Europa, la Stazione Sperimentale del Sughero, invece di essere dotato di risorse per svolgere ricerca, sviluppo e innovazione, è stato gettato da Soru nel calderone di Agris che si occupa di tutto e di niente, dai somarelli albini al fico d’india. Il Distretto industriale, istituito con Decreto dell’Assessore all’Industria nel 1997, è lettera morta, non ha una governance e le imprese (di cui oltre la metà micro-imprese artigiane) fanno internazionalizzazione e marketing motu proprio. Basterebbero poche decine di milioni l’anno a sistema (non parliamo dei miliardi di Alcoa) per rilanciare un comparto dalle potenzialità industriali, occupazionali notevoli, generando lavoro diffuso in tutto il territorio regionale. Sarebbe sufficiente una qualche frazione di quelle risorse dissipate per dare occupazione anche nel Sulcis, areale sughericolo di primaria qualità. Una quota di quei 500 dipendenti, ad esempio, potrebbero trovare occupazione ed un lavoro moderno e qualificato, che ridesse la rispettabilità massacrata da scelte delittuose di politica industriale. L’industria del sughero come ambasciatrice della Sardegna nel mondo, esempio di sostenibilità economica, industriale e ambientale, concreta e pronta alternativa alla dissennata dilapidazione delle risorse.
E’ opinione comune che le attività industriali debbano essere sostenibili sia dal punto di vista economico sia per l’uomo che per il pianeta. Ma troppo spesso le cose non vanno così da troppi decenni. Coloro che invocano “governi del cambiamento” dovrebbero saperlo, sperando che lo comprenda anche la candidata del centro sinistra in Sardegna alla carica di governatore, fresca di elezione. Prendiamo ad esempio la company statunitense dell’alluminio, il cui acronimo si legge ALCOA, la quale ha ottenuto dal sistema pubblico insostenibili incentivi di ogni genere che è persino assai complicato quantificare. Vogliamo parlare di questa pagina abietta della politica industriale in Sardegna? Ipotizzo di attirare lampi e fulmini, ma bisognerà pur parlarne. Non possiamo che essere con gli operai che lottano per difendere il lavoro, ma ci sarà pure un però. Semmai il problema è quello di trovare soluzioni agli operai che il lavoro lo perdono (ciò che la politica non sa affatto fare), piuttosto che continuare pesantemente a dopare un sistema intollerabile, che porterà tutti in fondo all’abisso. Alcoa è un’azienda energivora (la più energivora in Italia), per ogni tonnellata di alluminio prodotto consuma circa 30 megawatt/ora di energia, bruciando ogni anno qualcosa come 4,5 terawatt, circa un quarto dei consumi totali della Sardegna. Dall’Authority per l’energia elettrica e il gas questa multinazionale ha ottenuto, attraverso sconti sulle tariffazioni, 1,5 miliardi di euro che agli italiani e alle imprese vengono caricate sulle proprie bollette. Alcoa genera negli impianti di Portovesme un fatturato poco superiore a 550 milioni l’anno e nei tre lustri, da quando è ormeggiata in Sardegna, sono stati quantificati ulteriori incentivi per diversi miliardi. Un calcolo molto grossolano, basato sulla spesa totale negli ultimi 15 anni e sul numero di posti di lavoro salvati, indica che ogni dipendente sia costato alla fiscalità qualcosa come 200 mila euro l’anno. Si, 200 mila euro l’anno! Una follia, una stoltezza totale, vista oltretutto la sopportabile leggerezza dei salari pagati alle maestranze. Insomma una flebotomia che non riscontra eguali. Eppure nonostante questa perversa generosità non è bastato ad impedire la mobilità e la cassa integrazione. Adesso Alcoa molla baracca e burattini e trasloca altrove, dove l’energia è a buon mercato. Hanno capito che dopo la procedura d’infrazione Ue non c’è più trippa per gatti. Disertano lasciando sul campo 500 famiglie senza speranza e un territorio intossicato nell’ambiente e nel tessuto sociale; lasciano pozzi avvelenati e macerie umane. Loro i conti li sanno fare; siamo noi che non conosciamo la somma algebrica tra il segno “più” e il segno “meno”. In Gallura, di contro, il settore sugheriero occupa (tra diretti, indotto e stagionali) circa 2200 dipendenti. Produce un fatturato di 250/300 milioni l’anno che viene generato da un centinaio di aziende localizzate per lo più tra Tempio e Calangianus. Retribuisce stipendi e salari per circa 80 milioni e versa oneri e tributi stimati in 50 milioni. La produzione mondiale di sughero è di 340 mila tonnellate, quello sardo è appena il 5%, mentre in Gallura se ne lavora il doppio, registrando un pesante deficit di materia prima che gli imprenditori denunciano fin dagli anni sessanta del secolo scorso. Con il sughero raccolto nel mondo, posto che venga utilizzato per produrre solo tappi per uso enologico, si possono fabbricare circa 4/5 miliardi di pezzi contro una richiesta potenziale di 25 miliardi. Fra pochi anni la domanda potrebbe essere 10 volte l’offerta. Un mercato dagli sbocchi occupazionali e imprenditoriali notevoli. Il sughero ha trovato impiego fin dall’alba della storia; gli archeologi hanno rinvenuto reperti appartenenti all’epoca nuragica e dell’antico Egitto. E’ industria autoctona, unico esempio italiano di filiera produttiva che esaurisce tutto il suo ciclo, dalla materia prima al prodotto finito, nell’ambito di una regione. Da due secoli costituisce la peculiarità industriale, imprenditoriale e occupazionale dell’alta Gallura, producendo nel corso del tempo ricchezza e capacità di intrapresa, dando vita a industrie che nel settore rappresentano l’eccellenza a livello mondiale. Il sughero è materia prima ecosostenibile, riciclabile; è ignifugo, isolante, dalle altissime performance tecniche; è decisamente un materiale del futuro. La quercia da sughero connota il paesaggio sardo, è tratto distintivo silvo-agronomico e ambientale dell’isola; costituisce habitat ideale di numerosissime specie di fauna. Una moltitudine di proprietari in tutta la Sardegna ne trae reddito, legname e alimento per il bestiame. Una pianta generosa, forte; vive mediamente 300 anni, spesso sopravvive persino al fuoco. Si autoriproduce, colonizza aree e terreni marginali, non sottrae territorio alle attività agricole e al pascolo, non necessità di irrigazione. La produzione di sugherete, con le nuove tecniche agronomiche, potrebbe essere decuplicata in qualche decennio, generando, solo nella manifattura, oltre 10.000 nuovi posti di lavoro, mentre migliaia di operai verrebbero impiegati nelle operazioni di forestazione, mantenimento e cura delle superfici boscate e nelle operazioni di tracciabilità e certificazione di qualità. Dal sughero attualmente vengono fabbricati oltre 400 articoli: dal tappo, ai tessuti impiegati nell’alta moda, ai pannelli isolanti, ad arredi per la casa, prodotti per l’edilizia, suppellettili, artigianato artistico, tappezzeria per l’industria automobilistica, navale e persino le capsule spaziali utilizzano il sughero per le schermature contro i raggi cosmici. Anche gli sfridi come la polvere sono utilizzati come fonte energetica nel riscaldamento degli opifici. Ricerche ancora in fase di validazione, sviluppate da un’azienda di Maranello, sta testando una fibra di carbonio dalle prestazioni sorprendenti: le carrozzerie delle automobili costruite con fibra di carbonio ottenuta dal sughero, oltre ad una elevata capacità di assorbimento degli urti, pare riduca (se non addirittura sopprima) la forza centripeta dei veicolo in curva.
Purtroppo da oltre dieci anni questo comparto produttivo versa in una crisi di crescita industriale, commerciale, d'innovazione; è un settore stanco, che necessiterebbe di rivitalizzazione e nuovi stimoli. Da un decennio il comparto non riceve non solo sostegni e incentivi finanziari, ma nessun genere di attenzione da parte delle politiche regionali e nazionali sui piani di forestazione, sulla creazione di reti d’impresa, etc., mentre i maggiori competitor, come i portoghesi, godono di sostegni ad ogni livello, nella ricerca, nel marketing, nella difesa delle produzioni nazionali. Da noi è tutto affidato al destino delle resistenze individuali di industriali, artigiani e operai. Nessuno se ne occupa adeguatamente, come la crisi imporrebbe. I galluresi, è noto, sono popolo ammansito e questo per la stampa non produce turature, mentre i sindacati non hanno da battagliare con la cassa integrazione, poiché il 90% delle aziende non vi ha accesso. L’area industriale che accoglie le oltre 110 imprese sugheriere, sembra Kabul piuttosto che il contenitore le cui aziende esportano prodotti in tutto il mondo. L’unico centro di ricerca, il solo in Europa, la Stazione Sperimentale del Sughero, invece di essere dotato di risorse per svolgere ricerca, sviluppo e innovazione, è stato gettato da Soru nel calderone di Agris che si occupa di tutto e di niente, dai somarelli albini al fico d’india. Il Distretto industriale, istituito con Decreto dell’Assessore all’Industria nel 1997, è lettera morta, non ha una governance e le imprese (di cui oltre la metà micro-imprese artigiane) fanno internazionalizzazione e marketing motu proprio. Basterebbero poche decine di milioni l’anno a sistema (non parliamo dei miliardi di Alcoa) per rilanciare un comparto dalle potenzialità industriali, occupazionali notevoli, generando lavoro diffuso in tutto il territorio regionale. Sarebbe sufficiente una qualche frazione di quelle risorse dissipate per dare occupazione anche nel Sulcis, areale sughericolo di primaria qualità. Una quota di quei 500 dipendenti, ad esempio, potrebbero trovare occupazione ed un lavoro moderno e qualificato, che ridesse la rispettabilità massacrata da scelte delittuose di politica industriale. L’industria del sughero come ambasciatrice della Sardegna nel mondo, esempio di sostenibilità economica, industriale e ambientale, concreta e pronta alternativa alla dissennata dilapidazione delle risorse.