Dopo la disgrazia ecco soccorrere le cause dello scetticismo, se non addirittura del cinismo, e della superficialità, se non addirittura dell’ignoranza. Hanno incominciato a riemergere i discorsi degli ex amministratori di Olbia, come Nizzi, che ha lasciato intendere che non esiste una via di mezzo tra la speculazione edilizia senza scrupolo e le demolizioni. Come se non si potesse prevedere uno sviluppo urbanistico che mantenesse almeno un minimo di scrupolo, rappresentato dalla fascia di rispetto di dieci metri dai corsi d’acqua previsti dalla legge. Scherziamo? Sai quanti metri quadri di prezioso terreno edificabile sarebbe andato perduto? Per cui si minacciano le ruspe. O speculazione, o demolizione. Cosa scegliete?
Ma in queste ore, con le acque calme, i paladini dell’ignoranza e del menefreghismo rifanno capolino. Vuoi vedere che la colpa è degli uccelli protetti, che non si possono fare i lavori di pulizia dei corsi d’acqua, dichiara un altro sindaco, questa volta del Nuorese. Ma quando mai! Qualcun altro tira in ballo la Forestale, che non fa tagliare gli ontani, le belle piante che ornano i corsi d’acqua sardi. E che hanno una importante funzione di sostegno degli argini. E che comunque si possono benissimo tagliare con una semplice autorizzazione. Poi ne esce fuori un altro, che prende ad esempio il muro che in Giappone ha salvato un paese dallo tsunami, che il cemento non è così male. Come a dire, costruiamo e poi facciamo altri muri. Una analogia che non calza neppure come i cavoli a merenda.
Ora il rischio di tutta questa ondata di scetticismo e ignoranza è quello di finire per contrapporre in una sterile dicotomia natura vs artificialità. Premetto che ci sono degli ambiti così antropizzati che soltanto con dei correttivi artificiali si può porre rimedio e difendersi dallo strapotere della natura. Detto questo mi rendo conto che quando c’è di mezzo la fregola del dio denaro non si può dare per scontato nulla, anche le nozioni scientifiche più banali vengono rimosse.
Mi propongo, pertanto, di fare un ripassino sul tema “alluvioni perché”.
Ed è bene ricordare due elementi. Primo. Se avesse piovuto ad Olbia come ad Orgosolo ora staremo piangendo un disastro molto maggiore, una carneficina. Secondo. Il centro storico di Olbia, con le case più antiche, non è stato minimamente interessato dall’alluvione. Dunque, se Orgosolo e il centro storico olbiese sono restati intatti, significa che l’evento pluviometrico non è stato così “millenario” come si sono affrettati a dichiarare i governanti sardi. Evidentemente è la città moderna che soffre di una predisposizione all’evento.
In generale quando si antropizza un ambito naturale occorre mettere in conto una dialettica perenne con le forze della natura. Sottovalutare questa conflittualità perenne è da stolti, o da furbi, a seconda dei punti di vista e di chi ci guadagna. Olbia è stata costruita negando la presenza della natura, annientandola. Non è stato previsto minimamente l’effetto di una pioggia torrenziale che, lo ricordiamo per non dare nulla per scontato, non riguarda l’abitato, ma il bacino imbrifero che converge sulla città. In pratica è pericoloso quello che piove su Monte Pino e sugli altri monti che coronano la pianura paludosa di Olbia. Ma l’antropizzazione della città ha riguardato anche le campagne circostanti, punteggiate di lottizzazioni con case e strade.
Questi fenomeni antropici moderni si sommano alle cause storiche che hanno determinato l’aridità della Sardegna, predisponendola alle alluvioni e agli incendi, che si rincorrono alimentandosi a vicenda. Come il disboscamento, tema notoriamente a me caro. Una cinta boscata attorno alla città avrebbe impedito il disastro. Perché gli alberi, specie quelli autoctoni, regimano il corso delle acque. La pioggia cade sulle chiome che proteggono il suolo, che con il tempo si è fatto soffice e spugnoso e assorbe l’acqua. Terreno che viene trattenuto dalle radici. La pioggia si incanala lentamente verso i ruscelli che sono in grado di raccogliere l’acqua anche nella massima piena. Diverso se la pioggia cade direttamente sul terreno denudato. Scivola via velocemente e si raccoglie in fiumane straordinarie che scendono a valle. Ma se al terreno nudo, che comunque ha una sua capacità di assorbimento, sostituiamo l’asfalto e il cemento, ecco che la pioggia non viene assorbita dal terreno e, rimbalzando sul selciato duro e impermeabile, acquista velocità innaturale. Se a questo aggiungiamo che il naturale decorso delle acque viene ostruito dalle case e in particolare dalle strade, abbiamo la formazione di dighe le quali spesso cedono alla furia delle acque. Si accumula l’acqua a monte di queste ostruzioni e scende giù a valle con ondate anomale. Il disastro di Olbia, si chiarirà meglio, pare causato in gran parte proprio da quest’ultimo fenomeno.
Altri centri come Pirri, Capoterra, Terralba, Villagrande, e tanti altri, hanno ciascuno delle specificità a rischio: terreni paludosi, disboscamento a monte, corsi d’acqua capricciosi troppo vicino, torrenti tombati sotto il paese senza considerare bene la portata d’acqua massima. Ma Olbia sembra sintetizzare gran parte di questi fattori di rischio, tutti insieme.
Le canalizzazioni della città sono assolutamente inidonee a raccogliere queste acque che non sono regimate a monte. La situazione è molto seria, anche perché non vi sono gli spazi per costruire degli argini artificiali idonei a contenere fiumane di questa natura. Forse occorrerà pensare a canalizzare l’acqua fuori dall’abitato con grandi opere idrauliche. A spese dei contribuenti, ovviamente. Milioni di euro, ovviamente. Perché l’amico dell’amico non poteva perdere quei dieci metri quadri di terreno edificabili. E c’è chi ci ha costruito una carriera politica, sopra quei dieci metri quadri edificabili. Alla faccia degli uccellini protetti e degli ontani.
Ma in queste ore, con le acque calme, i paladini dell’ignoranza e del menefreghismo rifanno capolino. Vuoi vedere che la colpa è degli uccelli protetti, che non si possono fare i lavori di pulizia dei corsi d’acqua, dichiara un altro sindaco, questa volta del Nuorese. Ma quando mai! Qualcun altro tira in ballo la Forestale, che non fa tagliare gli ontani, le belle piante che ornano i corsi d’acqua sardi. E che hanno una importante funzione di sostegno degli argini. E che comunque si possono benissimo tagliare con una semplice autorizzazione. Poi ne esce fuori un altro, che prende ad esempio il muro che in Giappone ha salvato un paese dallo tsunami, che il cemento non è così male. Come a dire, costruiamo e poi facciamo altri muri. Una analogia che non calza neppure come i cavoli a merenda.
Ora il rischio di tutta questa ondata di scetticismo e ignoranza è quello di finire per contrapporre in una sterile dicotomia natura vs artificialità. Premetto che ci sono degli ambiti così antropizzati che soltanto con dei correttivi artificiali si può porre rimedio e difendersi dallo strapotere della natura. Detto questo mi rendo conto che quando c’è di mezzo la fregola del dio denaro non si può dare per scontato nulla, anche le nozioni scientifiche più banali vengono rimosse.
Mi propongo, pertanto, di fare un ripassino sul tema “alluvioni perché”.
Ed è bene ricordare due elementi. Primo. Se avesse piovuto ad Olbia come ad Orgosolo ora staremo piangendo un disastro molto maggiore, una carneficina. Secondo. Il centro storico di Olbia, con le case più antiche, non è stato minimamente interessato dall’alluvione. Dunque, se Orgosolo e il centro storico olbiese sono restati intatti, significa che l’evento pluviometrico non è stato così “millenario” come si sono affrettati a dichiarare i governanti sardi. Evidentemente è la città moderna che soffre di una predisposizione all’evento.
In generale quando si antropizza un ambito naturale occorre mettere in conto una dialettica perenne con le forze della natura. Sottovalutare questa conflittualità perenne è da stolti, o da furbi, a seconda dei punti di vista e di chi ci guadagna. Olbia è stata costruita negando la presenza della natura, annientandola. Non è stato previsto minimamente l’effetto di una pioggia torrenziale che, lo ricordiamo per non dare nulla per scontato, non riguarda l’abitato, ma il bacino imbrifero che converge sulla città. In pratica è pericoloso quello che piove su Monte Pino e sugli altri monti che coronano la pianura paludosa di Olbia. Ma l’antropizzazione della città ha riguardato anche le campagne circostanti, punteggiate di lottizzazioni con case e strade.
Questi fenomeni antropici moderni si sommano alle cause storiche che hanno determinato l’aridità della Sardegna, predisponendola alle alluvioni e agli incendi, che si rincorrono alimentandosi a vicenda. Come il disboscamento, tema notoriamente a me caro. Una cinta boscata attorno alla città avrebbe impedito il disastro. Perché gli alberi, specie quelli autoctoni, regimano il corso delle acque. La pioggia cade sulle chiome che proteggono il suolo, che con il tempo si è fatto soffice e spugnoso e assorbe l’acqua. Terreno che viene trattenuto dalle radici. La pioggia si incanala lentamente verso i ruscelli che sono in grado di raccogliere l’acqua anche nella massima piena. Diverso se la pioggia cade direttamente sul terreno denudato. Scivola via velocemente e si raccoglie in fiumane straordinarie che scendono a valle. Ma se al terreno nudo, che comunque ha una sua capacità di assorbimento, sostituiamo l’asfalto e il cemento, ecco che la pioggia non viene assorbita dal terreno e, rimbalzando sul selciato duro e impermeabile, acquista velocità innaturale. Se a questo aggiungiamo che il naturale decorso delle acque viene ostruito dalle case e in particolare dalle strade, abbiamo la formazione di dighe le quali spesso cedono alla furia delle acque. Si accumula l’acqua a monte di queste ostruzioni e scende giù a valle con ondate anomale. Il disastro di Olbia, si chiarirà meglio, pare causato in gran parte proprio da quest’ultimo fenomeno.
Altri centri come Pirri, Capoterra, Terralba, Villagrande, e tanti altri, hanno ciascuno delle specificità a rischio: terreni paludosi, disboscamento a monte, corsi d’acqua capricciosi troppo vicino, torrenti tombati sotto il paese senza considerare bene la portata d’acqua massima. Ma Olbia sembra sintetizzare gran parte di questi fattori di rischio, tutti insieme.
Le canalizzazioni della città sono assolutamente inidonee a raccogliere queste acque che non sono regimate a monte. La situazione è molto seria, anche perché non vi sono gli spazi per costruire degli argini artificiali idonei a contenere fiumane di questa natura. Forse occorrerà pensare a canalizzare l’acqua fuori dall’abitato con grandi opere idrauliche. A spese dei contribuenti, ovviamente. Milioni di euro, ovviamente. Perché l’amico dell’amico non poteva perdere quei dieci metri quadri di terreno edificabili. E c’è chi ci ha costruito una carriera politica, sopra quei dieci metri quadri edificabili. Alla faccia degli uccellini protetti e degli ontani.