Si conta, si conta spesso anche oltre cento, quando le idee non sono ancora chiare, quando l'ira o qualsiasi altro stato d'animo possono prevalere sulla ragione e relativo ragionamento.
L'ho fatto anch'io, ultimamente, e sono arrivato esattamente al numero 1825.
E 1825 sono i giorni esatti, scientificamente esatti, che ci separano ormai da quel febbraio 2009, quello in cui la maggioranza dei sardi decise chi avrebbe dovuto governarli per cinque lunghi anni.
{Parentesi: la scena che mi appare oggi, è quella di 1 milione e 600 mila sardi che, come quei pazzi che cercano di fuggire verso la libertà e per farlo devono oltrepassare ben 100 cancelli, ecco, nel 2008 erano quasi al 99°, ma decisero di tornare indietro perché “già stanchi”}
I sardi scelsero, e scelsero in massa. Quella campagna elettorale, che forse in troppi hanno scordato in fretta, la ricordo come una delle più viscide e infamanti mai viste prima. Un governatore dimesso e sfiduciato dalla sua stessa parte politica, la stessa che raccontava in giro di “fucili puntati alla tempia”, di uno strano “uomo nero” che si aggirava per i corridoi dei palazzi regionali. Uno che voleva fare tutto da solo, dicevano.
Ma chi era lì, non troppo distante da quei fatti che sia gli addetti ai lavori che i media, tutti i media, rilanciavano distorti e arricchiti di leggenda sulla pance aizzate dei sardi sempre più disperati, chi era lì vedeva scorrere tutta un'altra realtà, tutt'altre ragioni da quelle raccontate ai sardi.
Disegnavano scenari ferali, lugubri, i La Spisa, i Maninchedda, gli Artizzu e i Diana di turno, le vastissime assenze mediatiche dell'allora governatore erano ben occupate da chiunque avesse qualcosa contro di lui, dal contadino all'ultimo degli uscieri regionali, non passava giorno che non si dicesse, a canali e giornali unificati, che la Sardegna si stava impoverendo, desertificando.
La crisi dell'edilizia era già allora macroscopica, evidente, l'invenduto e i fallimenti la fetta più grossa del comparto, e gli speculatori, insieme alla maggioranza dei sardi che il Piano Paesaggistico non lo avevano nemmeno letto, i muratori di paesi e città, i manovali e gli impresari, i cacciatori e gli accozzati, i sistemati in enti inutili, i primari e direttori spendaccioni, tutto quel mondo di sottopotere asservito che girava ed ahimè, ancora gira peggio di prima nel substrato del “pubblico”, dai precari con contratto rinnovabile sino ai Professori della "deformazione professionale Parrucchieri", cominciarono a preoccuparsi seriamente. Era arrivato in regione un uomo non più disposto a tacere sugli sprechi e le ruberie inflitti ai sardi. Giacomo giacomo, fecero le gambe di tanti, tantissimi di questi personaggi. Gli enti inutili si cominciarono ad eliminare, senza lasciare a spasso nessuno. Negli uffici della regione sparirono le televisioni ed approdarono i computers. Il parco auto regionale si ridimensionò dell'80% e l'uomo nero pretese- udite udite- “che gli uscieri andassero alle poste con la panda e una volta per tutte, non ad ogni raccomandata e con la 164” come accadeva sino ad allora.
Alle otto del mattino scarse, tutti i giorni compresi molti che sarebbero dovuti essere destinati alle maturate ferie, quell'uomo nero era lì, puntuale e serio, a fare il suo dovere nei confronti dei sardi. La regione era un via vai di sindaci, assessori e professionisti di ogni dove, al telefono trovavi sempre l'assessore o il dirigente preposto, sul sito in tempo reale le Chi era lì sapeva, vedeva esattamente che quel “fucile puntato alla tempia” di cui molti parlavano, altro non era che la legittima ed onesta pretesa che chi era stato eletto per realizzare un preciso programma (e non certo per ostacolarlo), non facesse gioco sporco. Più di una volta, Soru, si trovò costretto a minacciare le dimissioni per queste precise ragioni. Quel fucile era l'unica arma, là dentro, usata in difesa dell'interesse generale contro quello, ed in questi giorni lo vediamo emergere, molto più personale e personalistico di certa politica. Ma aveva un difetto, quell'arma legittima, aveva una data di scadenza. Un data stabilita semplicemente dal termine temporale necessario a raggiungere e maturare diritto a quel famoso “vitalizio” che elargiamo, letteralmente, a cani e porci basta che siano passati su una di quelle poltrone. Due anni, sei mesi e un giorno. Così durò quel fucile, molto meno la fedeltà del PD e di molti del csx a quel programma, a quelle promesse fatte ai sardi in campagna elettorale.
L'uomo nero era circondato da uomini grigi, da grigie eminenze occulte, da poteri tanto consolidati quanto trasversali, che infatti gli davano (ed ancora gli danno) contro da ogni posizione, lo accusavano di tutto, addirittura di avere un auricolare nell'orecchio tramite il quale ricevere ordini da chissà quale base di complotto planetario, di bloccare lo sviluppo del cemento costiero mentre lui speculava(¿), qualsiasi cosa andasse male in Sardegna, dalle liste d'attesa in sanità sino agli orari dell'autobus per Pian di Sorres, le responsabilità, in un modo o nell'altro, ricadevano su Renato Soru. Poi arrivò l'affaire Saatchi and Saatchi, biscotto che ancora e trasversalmente in parecchi si affrettarono ad inzuppare nel melmoso succo dell'infamia. Nessuno provò mai una sola relazione fra le accuse mosse a Soru e il suo comportamento. La Magistratura in primis.
Nessuno poté ne' può oggi provare nemmeno la più piccola di quelle accuse, eppure ancora quasi tutte, per molti sardi, gli pesano sopra la testa come una spada di Damocle.
Non ho dubbi ad affermare che Renato Soru sia stato e sia ancora il politico sardo più criticato, infamato, ingiuriato e vilipeso della storia autonomistica, ma la vera vergogna non sta in questo, la vera vergogna sta esattamente nei fatti che vedono oggi molti di quegli accusatori/giustizialisti col sedere degli altri, coinvolti in vicende giudiziarie reali e non leggendarie ben peggiori.
Le valutazioni e le offese poi sul piano personale, sul carattere e sulla personalità non certo stereotipa di Soru, sul suo modo di parlare più che su quanto dice e che pure capiscono tutti. Il liquidare, da parte di certe cariatidi del PD, tutto quel programma che la Sardegna attendeva da lustri per lasciare posto al “vuoto pneumatico” attuale.
Pensate solo se fosse stato Soru, a chiudere un bilancio regionale in rosso come quello che chiuse Cappellacci fra il 2003 ed il 2004, se fosse stato lui ad invitare Verdini e Carboni a Suelli e gli sceicchi in costa a comprare la Sardegna ai saldi, ad essere coinvolto nei fallimenti di varie società e comuni, di avere lasciato l'arsenico a Furtei e l'oro sardo in Australia e Vaticano, di avere distrutto la sanità, l'istruzione, il commercio e l'artigianato, i trasporti, il turismo ed il terziario, i servizi ed il futuro di molti sardi lasciati letteralmente in mutande come hanno fatto Cappellacci e C. in questi pochi anni. L'avrebbero impalato sulla pubblica piazza acclamati da un popolo la cui unica arte sembra, da secoli, essere quella di zapparsi più i piedi che la terra.
Lo spauracchio Soru funziona ancora, la Sardegna molto meno.
Soru fa ancora paura a molta gente, gente che non si è accorta che ormai, a prescindere da lui, di questo gioco sporco se ne stanno avvedendo in molti, che di questa politica carrieristica senza meriti ne' titoli, fatta di paillettes e propaganda continui, sarebbe ora di cominciare a fare a meno. Ma il problema più grosso per Soru, a parer mio, era e resta il suo partito, il PD, che non vuole lui e non vuole quel programma e che ci metterebbe due secondi, nel caso decidesse di candidarsi, a farlo fuori definitivamente. Perché, l'ho detto e lo ripeto, il Franza o Spagna pur che si magna a loro sta benissimo, che gliene frega di governare? Non lo sanno fare, ne' a sinistra ne' a destra, e per loro il primo cretino che passa va bene a “rappresentare”, tanto non servono grandi lauree, titoli o qualifiche professionali, per dividersi il bottino come da sempre fanno.
Sono stato fra i primi a sconsigliarli di candidarsi stavolta e sono contento che abbia optato per questa scelta, ma lo scenario oggi è completamente cambiato da tre mesi fa, c'è il rischio concreto che l'aver buttato alle ortiche acque e bambini ieri lasci il centrosinistra privo di tutto oggi, di un programma credibile, di candidati credibili e di partiti credibili.
Continuo a ritenere Renato Soru e le sue idee per la nostra terra sostenibili ed attuabili, necessarie, ma inutili dentro un partito che va in tutt'altra direzione, senza meta, purché sia.
Se avesse voglia e coraggio da spendere, gli suggerirei di mettere quel programma sul tavolo e chiedere a tutti gli altri soggetti del csx e sfera indipendentista chi voglia realizzarlo insieme, vorrei che intorno a quel programma possano nascere coalizioni basate su di esso e non sui calcoli dei posti a disposizione, vorrei che davvero si fosse capaci di formare una nuova classe dirigente che sappia cancellare misfatti ed errori precedenti. Che tutto questo possa farlo il PD, o un solo partito o movimento in Sardegna è fantascienza. Oggi servirebbe che la trasversalità, ma quella costruttiva e positiva, faccia presa sui sardi e sui loro interessi comuni invece che sulla politica dei palazzi, che trovino essi quei pochi punti programmatici dai quali nessuno può non ripartire e trovare insieme la strada che ci porti fuori da questo pantano, da questa palude che non ci metterà tanto ad inghiottirci tutti.
Ma conosco l'uomo, la sua fedele cocciutaggine agli impegni presi, la sua voglia di costruire un partito che sia veramente espressione e casa di tutti, che non potrà mai essere il PD, questo PD, ritengo sia questa, l'unica parte di un sogno che non condivido con lui.
Se Renato, ma anche tutti gli altri sardi non “indottrinati”, avessero la ancora la pazienza, la forza e la voglia di costruire una nuova politica, una nuova coscienza di massa non recintata o eterodiretta di cittadini consapevoli, allora quella luce in fondo alla galleria sarà più chiara.
Chi l'avrebbe pensato, che quel “Megliu Soru”, usato per come diciamo a Sassari, sarebbe poi diventato il miglior consiglio per Renato, sino ad oggi davvero “mal'accompagnato”?!
L'ho fatto anch'io, ultimamente, e sono arrivato esattamente al numero 1825.
E 1825 sono i giorni esatti, scientificamente esatti, che ci separano ormai da quel febbraio 2009, quello in cui la maggioranza dei sardi decise chi avrebbe dovuto governarli per cinque lunghi anni.
{Parentesi: la scena che mi appare oggi, è quella di 1 milione e 600 mila sardi che, come quei pazzi che cercano di fuggire verso la libertà e per farlo devono oltrepassare ben 100 cancelli, ecco, nel 2008 erano quasi al 99°, ma decisero di tornare indietro perché “già stanchi”}
I sardi scelsero, e scelsero in massa. Quella campagna elettorale, che forse in troppi hanno scordato in fretta, la ricordo come una delle più viscide e infamanti mai viste prima. Un governatore dimesso e sfiduciato dalla sua stessa parte politica, la stessa che raccontava in giro di “fucili puntati alla tempia”, di uno strano “uomo nero” che si aggirava per i corridoi dei palazzi regionali. Uno che voleva fare tutto da solo, dicevano.
Ma chi era lì, non troppo distante da quei fatti che sia gli addetti ai lavori che i media, tutti i media, rilanciavano distorti e arricchiti di leggenda sulla pance aizzate dei sardi sempre più disperati, chi era lì vedeva scorrere tutta un'altra realtà, tutt'altre ragioni da quelle raccontate ai sardi.
Disegnavano scenari ferali, lugubri, i La Spisa, i Maninchedda, gli Artizzu e i Diana di turno, le vastissime assenze mediatiche dell'allora governatore erano ben occupate da chiunque avesse qualcosa contro di lui, dal contadino all'ultimo degli uscieri regionali, non passava giorno che non si dicesse, a canali e giornali unificati, che la Sardegna si stava impoverendo, desertificando.
La crisi dell'edilizia era già allora macroscopica, evidente, l'invenduto e i fallimenti la fetta più grossa del comparto, e gli speculatori, insieme alla maggioranza dei sardi che il Piano Paesaggistico non lo avevano nemmeno letto, i muratori di paesi e città, i manovali e gli impresari, i cacciatori e gli accozzati, i sistemati in enti inutili, i primari e direttori spendaccioni, tutto quel mondo di sottopotere asservito che girava ed ahimè, ancora gira peggio di prima nel substrato del “pubblico”, dai precari con contratto rinnovabile sino ai Professori della "deformazione professionale Parrucchieri", cominciarono a preoccuparsi seriamente. Era arrivato in regione un uomo non più disposto a tacere sugli sprechi e le ruberie inflitti ai sardi. Giacomo giacomo, fecero le gambe di tanti, tantissimi di questi personaggi. Gli enti inutili si cominciarono ad eliminare, senza lasciare a spasso nessuno. Negli uffici della regione sparirono le televisioni ed approdarono i computers. Il parco auto regionale si ridimensionò dell'80% e l'uomo nero pretese- udite udite- “che gli uscieri andassero alle poste con la panda e una volta per tutte, non ad ogni raccomandata e con la 164” come accadeva sino ad allora.
Alle otto del mattino scarse, tutti i giorni compresi molti che sarebbero dovuti essere destinati alle maturate ferie, quell'uomo nero era lì, puntuale e serio, a fare il suo dovere nei confronti dei sardi. La regione era un via vai di sindaci, assessori e professionisti di ogni dove, al telefono trovavi sempre l'assessore o il dirigente preposto, sul sito in tempo reale le Chi era lì sapeva, vedeva esattamente che quel “fucile puntato alla tempia” di cui molti parlavano, altro non era che la legittima ed onesta pretesa che chi era stato eletto per realizzare un preciso programma (e non certo per ostacolarlo), non facesse gioco sporco. Più di una volta, Soru, si trovò costretto a minacciare le dimissioni per queste precise ragioni. Quel fucile era l'unica arma, là dentro, usata in difesa dell'interesse generale contro quello, ed in questi giorni lo vediamo emergere, molto più personale e personalistico di certa politica. Ma aveva un difetto, quell'arma legittima, aveva una data di scadenza. Un data stabilita semplicemente dal termine temporale necessario a raggiungere e maturare diritto a quel famoso “vitalizio” che elargiamo, letteralmente, a cani e porci basta che siano passati su una di quelle poltrone. Due anni, sei mesi e un giorno. Così durò quel fucile, molto meno la fedeltà del PD e di molti del csx a quel programma, a quelle promesse fatte ai sardi in campagna elettorale.
L'uomo nero era circondato da uomini grigi, da grigie eminenze occulte, da poteri tanto consolidati quanto trasversali, che infatti gli davano (ed ancora gli danno) contro da ogni posizione, lo accusavano di tutto, addirittura di avere un auricolare nell'orecchio tramite il quale ricevere ordini da chissà quale base di complotto planetario, di bloccare lo sviluppo del cemento costiero mentre lui speculava(¿), qualsiasi cosa andasse male in Sardegna, dalle liste d'attesa in sanità sino agli orari dell'autobus per Pian di Sorres, le responsabilità, in un modo o nell'altro, ricadevano su Renato Soru. Poi arrivò l'affaire Saatchi and Saatchi, biscotto che ancora e trasversalmente in parecchi si affrettarono ad inzuppare nel melmoso succo dell'infamia. Nessuno provò mai una sola relazione fra le accuse mosse a Soru e il suo comportamento. La Magistratura in primis.
Nessuno poté ne' può oggi provare nemmeno la più piccola di quelle accuse, eppure ancora quasi tutte, per molti sardi, gli pesano sopra la testa come una spada di Damocle.
Non ho dubbi ad affermare che Renato Soru sia stato e sia ancora il politico sardo più criticato, infamato, ingiuriato e vilipeso della storia autonomistica, ma la vera vergogna non sta in questo, la vera vergogna sta esattamente nei fatti che vedono oggi molti di quegli accusatori/giustizialisti col sedere degli altri, coinvolti in vicende giudiziarie reali e non leggendarie ben peggiori.
Le valutazioni e le offese poi sul piano personale, sul carattere e sulla personalità non certo stereotipa di Soru, sul suo modo di parlare più che su quanto dice e che pure capiscono tutti. Il liquidare, da parte di certe cariatidi del PD, tutto quel programma che la Sardegna attendeva da lustri per lasciare posto al “vuoto pneumatico” attuale.
Pensate solo se fosse stato Soru, a chiudere un bilancio regionale in rosso come quello che chiuse Cappellacci fra il 2003 ed il 2004, se fosse stato lui ad invitare Verdini e Carboni a Suelli e gli sceicchi in costa a comprare la Sardegna ai saldi, ad essere coinvolto nei fallimenti di varie società e comuni, di avere lasciato l'arsenico a Furtei e l'oro sardo in Australia e Vaticano, di avere distrutto la sanità, l'istruzione, il commercio e l'artigianato, i trasporti, il turismo ed il terziario, i servizi ed il futuro di molti sardi lasciati letteralmente in mutande come hanno fatto Cappellacci e C. in questi pochi anni. L'avrebbero impalato sulla pubblica piazza acclamati da un popolo la cui unica arte sembra, da secoli, essere quella di zapparsi più i piedi che la terra.
Lo spauracchio Soru funziona ancora, la Sardegna molto meno.
Soru fa ancora paura a molta gente, gente che non si è accorta che ormai, a prescindere da lui, di questo gioco sporco se ne stanno avvedendo in molti, che di questa politica carrieristica senza meriti ne' titoli, fatta di paillettes e propaganda continui, sarebbe ora di cominciare a fare a meno. Ma il problema più grosso per Soru, a parer mio, era e resta il suo partito, il PD, che non vuole lui e non vuole quel programma e che ci metterebbe due secondi, nel caso decidesse di candidarsi, a farlo fuori definitivamente. Perché, l'ho detto e lo ripeto, il Franza o Spagna pur che si magna a loro sta benissimo, che gliene frega di governare? Non lo sanno fare, ne' a sinistra ne' a destra, e per loro il primo cretino che passa va bene a “rappresentare”, tanto non servono grandi lauree, titoli o qualifiche professionali, per dividersi il bottino come da sempre fanno.
Sono stato fra i primi a sconsigliarli di candidarsi stavolta e sono contento che abbia optato per questa scelta, ma lo scenario oggi è completamente cambiato da tre mesi fa, c'è il rischio concreto che l'aver buttato alle ortiche acque e bambini ieri lasci il centrosinistra privo di tutto oggi, di un programma credibile, di candidati credibili e di partiti credibili.
Continuo a ritenere Renato Soru e le sue idee per la nostra terra sostenibili ed attuabili, necessarie, ma inutili dentro un partito che va in tutt'altra direzione, senza meta, purché sia.
Se avesse voglia e coraggio da spendere, gli suggerirei di mettere quel programma sul tavolo e chiedere a tutti gli altri soggetti del csx e sfera indipendentista chi voglia realizzarlo insieme, vorrei che intorno a quel programma possano nascere coalizioni basate su di esso e non sui calcoli dei posti a disposizione, vorrei che davvero si fosse capaci di formare una nuova classe dirigente che sappia cancellare misfatti ed errori precedenti. Che tutto questo possa farlo il PD, o un solo partito o movimento in Sardegna è fantascienza. Oggi servirebbe che la trasversalità, ma quella costruttiva e positiva, faccia presa sui sardi e sui loro interessi comuni invece che sulla politica dei palazzi, che trovino essi quei pochi punti programmatici dai quali nessuno può non ripartire e trovare insieme la strada che ci porti fuori da questo pantano, da questa palude che non ci metterà tanto ad inghiottirci tutti.
Ma conosco l'uomo, la sua fedele cocciutaggine agli impegni presi, la sua voglia di costruire un partito che sia veramente espressione e casa di tutti, che non potrà mai essere il PD, questo PD, ritengo sia questa, l'unica parte di un sogno che non condivido con lui.
Se Renato, ma anche tutti gli altri sardi non “indottrinati”, avessero la ancora la pazienza, la forza e la voglia di costruire una nuova politica, una nuova coscienza di massa non recintata o eterodiretta di cittadini consapevoli, allora quella luce in fondo alla galleria sarà più chiara.
Chi l'avrebbe pensato, che quel “Megliu Soru”, usato per come diciamo a Sassari, sarebbe poi diventato il miglior consiglio per Renato, sino ad oggi davvero “mal'accompagnato”?!