Io, questa storia dei comunisti l’ho vissuta intensamente. Ci ho provato a dire che non era solo ideologia, ma serietà e sacrifici. Studiare, imparare, ricordare, stare attenti, saper citare Gramsci, affermare che anche Berlinguer era una persona solare. Ci ho provato a dire che io, Magistrato per vocazione e per amore, ero anche profondamente comunista. Sinceramente comunista. Quando tutti gli altri si vestivano da John Travolta io ero un comunista che suonava la chitarra in spiaggia e strimpellava De Gregori, Dalla, De André e, seppure fossimo in numero dispari, rimanevo sempre solo: io e la mia chitarra. Gli altri a pomiciare. Io ad ascoltare il mare e le onde. Ero un comunista contemplativo. E coglione. Son passati gli anni e di comunisti, di quelli veri, non ce ne sono più. Gianvittorio, il mio carissimo e stronzo amico, dice che son rimasto solo io. A continuare a credere nella legalità, nell’etica, nella giustizia. Senza il proletariato. Anche lui ormai dissolto.
Questa storia dei comunisti mica l’ho capita. Del processo mediatico grillino. Che durerà un anno e forse più: trionfi la giustizia cinquestelle. Continuo a fare il magistrato e provo a mettere ordine in un disordine catastrofico. Ho ancora i miei vecchi dischi e gli antichi libri. Ogni tanto suono la chitarra sul terrazzo davanti al mare. E mi sento un po’ coglione. Ma colpevole di essere comunista no. Quel piccolo vezzo mi è rimasto. E me ne vanto.
(Claudio Marceddu, Magistrato inventato, protagonista di due libri e del prossimo, in uscita a settembre, sempre che Grillo sia d’accordo)