Ieri sera sono stato a Serdiana nella comunità di Don Ettore Cannavera dove era previsto l’incontro con il candidato del centro sinistra Francesco Pigliaru. CI sono andato per curiosità, non avevo mai visto Pigliaru di persona personalmente, ci sono andato con il piglio giornalistico, di quello che deve fare “Il pezzo per Sardegnablogger” e ci sono andato per passione e per coerenza. La politica mi appassiona e mi trasporta a dover fare mille considerazioni e gioca con l’appartenenza delle scelte. C’era molta gente e tutti decisamente già profondamente convinti di essere dalla parte giusta. Questi incontri, infatti, pur essendo aperti a tutti, finiscono per essere solo ed esclusivamente per i propri militanti e simpatizzanti, un po’ come i congressi di partito. Dove tutti, alla fine, devono trovare il consenso sui fondamentali. Ho scoperto, però una cosa, ascoltando Don Ettore Cannavera. Che il centro sinistra, intanto, ha bisogno dell’abbraccio della chiesa ed è quindi sicuramente cosa altra dal PCI in cui militava, per esempio Amendola o Paietta. Lo dico per dire, per carità, siamo cresciuti, ma affermare che Pigliaru ha lo stesso nome di Papa Francesco e che la Barracciu ricorda Benedetto XVI quando come ilvecchio pontefice anche lei ha fatto un passo indietro mi sembra, davvero, un’esagerazione. Un’iperbole. Detto questo ci sono stati interventi preparatori, alcuni interessanti, altri sinceramente utili a tirare fuori in me la considerazione morettiana “con questa classe dirigente non vinceremo mai”, sino a giungere all’intervento finale del candidato Presidente. Il quale, camicia bianca e cravatta blu, ha subito preso la parola e ha cominciato a raccontare la sua “avventura”. L’accento vagamente sassarese contrastava con gli interventi precedenti, tutti marcatamente cagliaritani, il suo voler spiegare e ribadire concetti anche difficili riportava, necessariamente, alla sua esperienza cattedratica ma, alla fine, qualcosa di politico (e di sinistra) Pigliaru lo ha detto. Non solo sull’istruzione o sulla macelleria sociale determinata da una cassa integrazione in deroga (argomenti ripresi anche dai quotidiani locali con enfasi) ma sul modo di fare politica. Mi ha colpito, infatti, un passaggio davvero interessante che riguarda le scelte di un Presidente, sia esso del Consiglio, regionale, provinciale o sia anche un semplice sindaco. Le scelte della squadra, quella dei ministri o degli assessori. “il delitto”, ha detto Pigliaru “Non è lo stipendio percepito, che comunque andrebbe adattato alla realtà sociale odierna, ma i soldi che i cattivi ministri e i cattivi assessori fanno perdere alla comunità in scelte sbagliate,se non scellerate. Questa è la vergogna e - ha concluso Pigliaru - nessuno paga per i soldi stanziati in opere sbagliate, in scelte che vanno contro il risanamento. Davanti a milioni di euro buttati o elargiti agli amici degli amici, lo stipendio del ministro o dell’assessore è poca cosa. Già. Pochissima cosa. Ho avuto come l’impressione che Pigliaru, se dovesse vincere, ha una squadra di assessori pronti a dimezzarsi lo stipendio e pianificare gli interventi senza sperperare i soldi pubblici. Questo è un concetto bellissimo e vorrei, davvero, fosse di sinistra. Dall’altra, però, guardandomi attorno, in quella sala ho notato, oltre a pochissimi giovani presenti, anche altre facce. Alcune speravano nel miracolo e nella benedizione del papa, altre sorridevano in silenzio. Prima facciamolo vincere il professore che a governare ci pensiamo noi, dobbiamo restituire le cose alla politica. Ecco, vorrei sbagliarmi ma questa è stata la mia impressione. Gente, da anni, abituata a manovrare, spostare, virare per non andare da nessuna parte. Se non ad essere prontissima nello scegliere la barca su cui salpare. Non per spirito d’avventura e amore per la politica. No, questi signori – e ieri sera erano presenti – non salgono mai sulla nave per tracciare la rotta o mettersi al timone e neppure per ricevere ordini dal capitano. Questi signori si recano subito nel reparto ancore e si guardano bene dal mollarle per provare a navigare. Il Professor Pigliaru lo sappia. Nella sua nave questi signori sono già saliti. E oltre a non mollare le ancore sono comunque vicini ad una scialuppa di salvataggio. Di una nave ancora in porto.
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Vorrei silenzio. Vorrei che la gente possa valutare serenamente, senza soppesare strette di mano, senza quantificare sorrisi, senza vedere cravatte sgargianti, giacche stirate e aliti freschi di caramelle alla menta. Vorrei vedere i candidati al naturale, vorrei riuscire a pizzicarli, durante uno dei tanti momenti ufficiali, con la bolla col chewing gum che scoppiando si spiaccica sulla faccia o scorgere nei loro visi una caccola che fa capolino da una narice e della quale non si sono accorti. Vorrei evitare di sentire che verranno costruiti ponti anche laddove non ci sono fiumi. Voglio assenza di rumori! D’accordo, l’elettore è una belva da domare e addomesticare, ma credo sia abbastanza inutile tutto questo rumoreggiare da parte di individui che sgomitano per dare segno di sé, della loro presenza. Anche se tutto ciò rientra in una prassi ormai consolidata e della quale loro non hanno alcuna colpa, io sono già abbondantemente sazia! E fra idealisti che vogliono cambiare tutto e mascalzoni che non vogliono cambiare niente, è davvero difficile scegliere. Ma è nell’ordine delle cose, perché la preferenza elettorale è, ahimè, influenzata ed influenzabile dall’immagine, fatta di ciò che i candidati dicono, di come lo dicono e di come si mostrano. Questo perché i votanti fanno riferimento esclusivamente ad aspetti legati a questioni marginali, al politico che fa la battuta in gallurese, che si apre l’ufficio di pubblicità elettorale e che si mostra amicone, trascurando altri fattori della personalità ben più importanti in virtù dei quali affidargli, ragionatamente, uno scranno nel consiglio regionale. Forse noi elettori veniamo sopravvalutati. Forse tutto ‘sto dispendio di energie non è giustificato, e giustificabile, per quelli che depositeranno bianca e immacolata, la loro scheda elettorale nell’urna. O per quelli che staranno a casa e che si prenderanno in giro pensando di non votare, ignorando il fatto che non votare è impossibile dal momento che disertando le urne raddoppieranno tacitamente il valore del voto di un ostinato, che invece in cabina elettorale ci andrà. O per coloro i quali si lamentano continuamente della gestione e poi, stupidamente, continuano a dare il proprio voto a chi li delude. Propensione a non rischiare abbastanza insulsa, benché diffusa, nonostante il disinganno pregresso. Possibile che non si riesca a superare la paura delle novità e si abbia bisogno di una dose massiccia di rassicurazioni? Quasi come se i nuovi eletti dovessero diventare padri di una grande famiglia di figli bisognosi di certezze. Tra gli elettori c’è anche una fetta di persone prive di difese immunitarie culturali, esseri umani che trascorrono mezza giornata davanti alla TV, soggetti che navigano poco in rete e quel poco lo dedicano ad attività di sollazzo. Qualcuno che preferisce l’intrattenimento all’informazione. Però, non dimentichiamolo, c’è anche una bella fetta di elettori consapevoli che già sa a chi dare il proprio voto, a torto o a ragione. Ebbene io confido proprio su questi per augurare a Cappellacci, e tutto il suo entourage, la disfatta che merita. Perché se l’è costruita con cura certosina, perché con quel sorrisino birichino ha sapientemente spacciato i suoi fallimenti per vittorie. E principalmente perché, come dice Guerri, non si vota per qualcuno, ma si vota contro qualcun altro. Io questa cosa che ce l’avete tutti con la destra non mi piace. Io sono di destra. Nel senso che non mi piacciono i comunisti. Come quali comunisti? I comunisti, quelli con la puzza sotto il naso, quelli che comprano i libri di Feltrinelli, che era uno davvero comunista. Come cosa c’entra? Hai presente Michela Murgia? Pubblica con Einaudi? Embè? Sempre libri sono e questo Einaudi, minimo era amico di Feltrinelli, altrimenti mica pubblicava libri di una comunista. Non è candidata con i comunisti? Si, però anche lei vuole vedere in galera Cappellacci. Una fissazione la vostra. Se non si vincono le elezioni chiamate i giudici e volete mettere in galera tutti. Avete presente quei giudici di Cagliari? Ecco, quelli ce l’hanno solo con Cappellacci e quelli di destra, gli unici in galera. Come il pranzo del matrimonio? Ecco, lo sapevo, voi siete per le coppie gay, mica amate quelle cose normali dove due si sposano e fanno il ricevimento. Voi i bambini ve li volete mangiare davvero. Hanno ragione i libri di storia a scriverla questa verità. Come le penne? Quali penne? Mica servivano per scrivere, che non erano comunisti. Erano per bellezza. Ce l’avete con il bello voi. Lo dice sempre Sgarbi che di bellezza ne capisce. Io voto Cappellacci sardo vero. Vuole la zona franca. Cosa vuol dire? Che non paghiamo più tasse, non paghiamo la benzina (e su questo qualcuno dei comunisti potrebbe essere d’accordo) e apriamo campi da golf e discoteche che ne abbiamo bisogno. Ve lo ricordate Pigliaru? Quel comunista candidato adesso. Ai tempi di Soru si inventò il master and back, una cosa per studenti falliti. Perché mica bisogna studiare che è tempo perso. Dobbiamo pensare ai soldi, a muovere l’economia ed è per questo che Cappellacci è per la continuità territoriale ed è arrabbiato con quelli del gabbiano Linvingston. Ha ragione. Prima mettono gli aerei e poi se ci sono pochi sardi cancellano il volo. Ma Cappellacci ha alzato la voce e si sono subito zittiti. Come? Hanno detto che Cappellacci era d’accordo? Comunisti. Una compagnia che si si mette il nome di un libro non può essere che comunista. Insomma a me lo dite a chi dobbiamo credere se non a Cappellacci? Aveva promesso 100.000 posti di lavoro. Ne ha persi 100.000? E quella la colpa è di quel comunista di Letta. L’Alcoa? Comunisti confusi, come i minatori e come i pastori. Non hanno capito che il futuro è il golf. Da Birori a Villaimius: 2000 buche per fare business. Che abbiamo le colline giuste, noi. Basta a fare i camerieri e i pastori. Il futuro è quello di autisti con le macchinine elettriche che sono anche di moda e abbiamco anche quello, Carboni, che di queste cose ne capisce. Insomma, io voto Cappellacci. Perché è solo indagato, mica condannato e io sono per l’innocenza di tutti. Mica come i comunisti. In galera solo negri e tossici. E anche zingari e rumeni, non si sa mai. Bisogna pulirla questa terra. I sardi sono sempre unici. Viva il ballo sardo, il dialetto, la zona franca, la costa smeralda che porta i soldi, le lanuneddas che ce le abbiamo solo noi, i pabassini e il nostro orgoglio. Io voto Cappellacci. Mica possiamo rischiare di trovarci una donna presidente o un ex assessore di Soru alla regione. Che non possiamo lasciare la nostra terra a questi che vogliono solo spiagge senza neppure una villetta. Spiagge isolate, senza baretti, senza gente che ride e scherza. Io da piccolo giocavo con le lego e con il piccolo meccano e non ho mai provato, per fortuna, a leggere il piccolo principe. Non mi piacciono i sogni. Non mi piacciono quelli che vogliono cambiare tutto per non cambiare niente. Come? E’ il ritratto di Cappellacci? Sapete cosa vi dico? Comunisti. Invidiosi ma, soprattutto, intellettuali. Si, intellettuali che è peggio di comunisti. Lasciate che a votare ci vada al popolo e statevene a casa a scrivere che tanto, per fortuna, di noi non vi legge nessuno. «Per vincere si deve barare». Così dice il vecchio con gli occhiali spessi osservando e analizzando i sondaggi, le impressioni, gli articoli sui quotidiani, i blog dedicati a questo gioco terribile e avvincente: le elezioni regionali. «Non è mai come si vedono le cose in politica», aggiunge scrutando lo sguardo acerbo dei ragazzi sudati e stanchi. «Ecco, si candidano delle persone per raggranellare qualche voto, spanderlo nel territorio, per la semplice dimostrazione di presenza in quel luogo. Poi, chiaramente, si votano anche altri candidati, magari non nostri. E’ importante, per esempio che qualcuno, proprio dei nostri, non venga nella maniera più assoluta eletto. Sarebbe un danno, per il partito.» Parla muovendosi senza procurare nessun rumore. Storie di altri tempi. Eppure presenti ancora oggi. «Voi potete scrivere qualsiasi cosa sul programma, tanto le gente non legge. Sono le persone che contano. Quelle giuste. Dobbiamo fare come i democristiani. Ve li ricordate i democristiani?» Ci sono facce confuse e assorte. Facce troppo giovani e fresche per rimescolare certi ricordi. « Le preferenze. Bei tempi. Si doveva votare la quaterna. Ad ognuno veniva data una serie di numeri da ricopiare nella scheda. Solo uno era il numero sempre presente. Quello che sarebbe stato davvero eletto. Gli altri erano semplici portatori d’acqua. Avete capito?» I democristiani. I loro metodi. L’elezione del segretario nei congressi fumosi e gonfi di parole. La balena bianca che spiaggiava tra gli interventi di Moro e quelli di Fanfani. E le truppe cammellate che giungevano dalla Puglia o dalla Calabria o dalle Marche per sostenere il candidato di turno. Gli uomini al servizio del partito. «Ora se qualcuno ha scritto una legge dove è possibile votare un partito e non il presidente espresso da quel partito una ragione ci sarà», dice l’uomo con gli occhiali spessi e voce roca, rotonda, avvolgente. Troppo avvolgente. «La partita è persa. Per vincere dobbiamo barare. Per esempio, votiamo Progres, o gentes oppure comunidades ma non votiamo per il suo candidato presidente Michela Murgia. Votiamo per Pigliaru e così faremo vincere la coalizione di sinistra. E Cappellacci perde.» L’uomo dagli occhiali spessi sorride mentre nessuno parla. Forse li ha convinti. In fondo perde Cappellacci e la Murgia sarà ricompensata, magari assessore alla cultura: una scrittrice sarda diventata famosa in Italia. Il ragazzo con capelli in ordine e giubbotto spesso controlla timidamente il territorio, si toglie le mani da tasca e si avvicina al tavolo, dove l’uomo dagli occhiali spessi ha appena parlato. «Un giorno», dice il ragazzo con i capelli in ordine, «si perdeva una partita. L’avevamo giocata con sufficienza, convinti di stravincere. L’allenatore ad un certo punto cominciò a sgolarsi e le urla le sentimmo sino dentro l’anima. Ci disse che potevamo prendere anche altri dieci goal, ma non potevamo mai passare la palla agli avversari e si perdeva tutti insieme così come si vinceva. , Il mio amico si gettò in area di rigore e aspettò il fischio dell’arbitro. Che non arrivò. Mi avvicinai e gli dissi di alzarsi. Non si passa la palla all’avversario e, soprattutto non si ruba. Non mi è mai piaciuto perdere e quella volta incredibilmente vincemmo. Il secondo gol lo segnò proprio quello che aveva tentato di barare. La palla gli arrivò grazie ad un mio passaggio. Eravamo una bella squadra costruita intorno alle persone. Si può vincere in tanti modi, ma occorre sempre giocare le partite con le regole certe. Senza sperare negli aiuti degli altri». Il ragazzo con i capelli in ordine ha finito di parlare. Tutti soppesano il silenzio. Poi, mentre sta per uscire, si rimette le mani in tasca e aggiunge: «Ma chi ve lo dice chi è oggi il candidato migliore? Non c’è vittoria con nessuna strategia se non c’è la passione e chi ha la voglia forte, la convinzione, la speranza non la baratterà mai con niente e con nessuno. Lo ripeto a tutti: si vince solo se si gioca insieme. In campo e in panchina. Michela giocherà la sua di partita. Come tutti. Si vince e si perde, ma il popolo arbitro non può fischiare un rigore inesistente e il popolo delle tribune non ama guardare una partita truccata. Io, la palla, per esempio, non l’ho mai passata se non giocava con la mia squadra. Coerenza e senso etico. E passione. Ne abbiamo ancora bisogno. Non abbiamo invece bisogno degli uomini di partito e dei metodi delle diverse balene bianche ormai in via d’estinzione.» “Con fierezza e dignità.” (Dedicato a Pasquale Chessa e al suo articolo apparso oggi sulla Nuova Sardegna) Mi chiedo che senso abbia continuare a giocare sulle parole e sui concetti. E’ vero, esiste un problema di “etica”, parola abusata e probabilmente passata di moda, ma c’è un passaggio giuridico importante che i cittadini sardi dovrebbero conoscere prima del voto. Ugo Cappellacci, attuale Presidente della Regione e candidato per il centrodestra in qualità di Presidente, è attualmente indagato. Mettiamo per un attimo da parte le considerazioni “etiche” e chiaramente “vintage” di appannaggio del popolo di centrosinistra (non sono d’accordo su questa semplificazione, ma serve per comprendere il concetto) e pensiamo (chiaramente non lo auguro, ma è una proiezione di un futuro possibile) ad una vittoria di Ugo Cappellacci. Per chi ha lo stomaco forte non ci sono problemi. C’è gente abituata a digerire ben altro e quindi disposta ad essere governati da un indagato, magari anche condannato in primo grado, tanto c’è l’appello e la cassazione e passeranno i cinque anni. Ecco, su questo punto la stampa isolana è a dir poco pressapochista, dice e non dice (certa stampa non dice proprio niente) gli elettori sono impegnati in altro e nessuno conosce un’atroce verità. Non è una verità etica, beninteso. Ma è una Legge dello Stato italiano. In questo curioso paese, occorre una legge che dica e scriva a chiare lettere una verità a dir poco semplice: un condannato, un pregiudicato non può rappresentare il popolo sovrano. Il punto b dell’articolo 8 del Decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 recita: «coloro che, con sentenza di primo grado, confermata in appello per la stessa imputazione, hanno riportato una condanna ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo, dopo l'elezione o la nomina sono sospesi dalle cariche indicate all’articolo 7 comma 1. le cariche sono quelle di Presidente della regione, assessore e consigliere regionale. Attenzione: basta la condanna con sentenza di primo grado, confermata in appello e non si deve, dunque attendere la cassazione. Il risultato immediato è, qualora sia il Presidente della regione ad essere condannato, lo scioglimento del consiglio regionale. Capisco che tutto ciò sembra poco interessante e sinceramente noioso ma è l’atroce verità. L’Onorevole Ugo Cappellacci (cui auguro, chiaramente di risolvere brillantemente i suoi problemi giudiziari dimostrando la sua completa estraneità dai capi di imputazione purtroppo molto imbarazzanti) se diventasse il nuovo Governatore e se, nel contempo venisse condannato in primo e secondo grado dovrà abbandonare la sua carica e la regione Sardegna dovrà ripartire, per l’ennesima volta con nuove elezioni e con un chiaro e complicato vuoto istituzionale e politico. Ecco perché era importante un passo indietro, ecco perché si è insistito molto su questo punto. Per amore della Sardegna. Ugo Cappellacci (ribadisco, presunto innocente) rischia, invece, con la sua candidatura, di voler non prendere in considerazione e sottogamba non un problema etico o politico, ma un problema giuridico. La sua è una candidatura a rischio ed è un gravissimo errore. Almeno per me. Sull’etica, poi, possiamo scrivere altre pagine, sicuramente più appassionate e meno noiose di questa. Ma da questa verità dobbiamo partire. Dovremmo imparare tutti, quando si tratta del futuro dei nostri figli ad essere un po’ più “Severini”. [Maria Dore] Nel marzo 2006 mi trovavo semi spensierata nel Sud ovest della Francia. In quel mese il governo di Dominique de Villepen riuscì a far scatenare l’ira di migliaia di studenti a causa della legge sulle assunzioni dei giovani. Una genialata che dava il via libera ai licenziamenti facili a danno dei giovani con meno di 26 anni, con lo scopo – si diceva assurdamente - di “diminuire il tasso di disoccupazione”. Ricordo come le ire dei francesi avessero come mira, oltre il premier, un ministro che quella legge la voleva fortemente, l’allora sconosciuto, per noi italiani, Nicolas Sarkozy. Nello stesso periodo, L’Italia si apprestava a dare battesimo alla creatura dell’invece tristemente noto Roberto Calderoli, il porcellum, venuto al mondo in una fredda giornata di Dicembre non in una mangiatoia, ma all’interno della Casa delle Libertà. In Francia, la legge chiamata contratto per il primo impiego, venne ritirata il 10 Aprile, 13 giorni dopo lo sciopero generale che coinvolse studenti, lavoratori e sindacati, uniti nelle piazze. Sul fronte italiano, sono passati otto anni quella legge è ancora lì. Otto anni di ingrasso con ben tre elezioni politiche all’attivo, nonostante ossessive ammonizioni di cani e altri porci affinché l’orrida creatura venga sacrificata. L’uccisione del porcellum sta quasi assumendo le sembianze di un annoso rito collettivo, di quelli terribilmente noiosi, a cui tutti dicono di voler prestare fede, ma che in realtà non coinvolge veramente nessuno. E a volte penso che quell’opera resterà lì, per chissà quanto ancora. Confesso un mio peccato: la questione in realtà non mi toglie il sonno. Perché il mio timore è che anche qualora ci venga riconcesso il privilegio dell’espressione delle preferenze, si riproponga sempre lo stesso quadro, ovvero Berlusconi che sbanca in Molise e la Carfagna in Campania. In ogni caso, se il rito deve compiersi, sbrigatevi, così potremo dirottare l’entusiasmante dibattito sulle cose annunciate, mai compiute ed entrate nel mito, su altri temi, tipo la Salerno – Reggio Calabria o l’uscita di Chinese Democracy dei Guns N’ Roses. "L’importanza dei luoghi comuni" è il titolo di uno dei raccontini di Marcello Fois (Einaudi, 139 pagine, 12,50 euro; così gli faccio anche un po' di pubblicità.. ). Ovviamente il titolo e la sostanza del racconto non c'entrano niente con l'editoriale che il notissimo scrittore nuorese ha pubblicato sulla Nuova Sardegna in merito alla candidatura di Francesco Pigliaru alla carica di Governatore dell'Isola. Però è sintomatico di quanto, a volte, i titoli rimangano gloriosamente appiccicati ai propri autori, impedendo agli stessi - letteralmente - di vedere con intelligente spessore di onestà intellettuale ciò che stava e sta accadendo nell'agone politico sardo. Il famosissimo scrittore nuorese, tra le diverse cose, accusa Pigliaru di aver accettato di ”mettere una pezza” alla situazione del PD ponendosi nelle condizioni di essere percepito come “l’uomo che ha sostituito la Barracciu”. E al Pd contesta che “giocarsi un pezzo da novanta come Pigliaru a poco più di un mese dalle elezioni, significa far correre i cento metri a un maratoneta". Ora, a mio avviso quando non si legge compiutamente la situazione perché non se ne hanno gli strumenti intellettuali, o perché si è - legittimamente - di parte e si cerca di utilizzare qualsiasi argomento (anche i più poveri di contenuto) per delegittimare scelte degli altri schieramenti, o perché si ha molto tempo a disposizione e ti va di buttar giù qualsiasi cosa ti venga su, come i rutti dopo aver mangiato cipolla... ecco quando non si legge compiutamente la situazione bisognerebbe contare fino a 150, respirare profondamente e iniziare a pensare, se se ne è capaci. Perché non capire il miracolo che è successo in un pezzo importante della politica isolana e ridurlo a insulso lavorio di "rattoppo" è veramente da ciechi: insomma, a differenza degli altri schieramenti, il PD ha fatto le primarie. Le ha fatte male, in fretta, ma le ha fatte. Si sarebbe potuto fare meglio, ma le ha fatte. Ha vinto Francesca Barracciu e la vincitrice ha iniziato la sua campagna elettorale. Male, l'ha iniziata male e io sono uno di quelli che non è stato certamente tenero nei suoi confronti, e verso il PD tutto, in tante altre occasioni (vedi Fondazione Banco di Sardegna). Ma la Barracciu ha incontrato l'interesse della Magistratura e, nello stesso tempo, la pubblica indignazione e la protesta di tante donne e uomini che a sinistra trovano le ragioni e le regioni della propria appartenenza politica e che hanno rifiutato la presenza di persone coinvolte in faccende che ritengono poco o per nulla etiche. E' questa presenza forte, diffusa nel web, nella controinformazione, questa voce pubblica - a mio avviso - ad essere stata determinante nel far scegliere un altro candidato. Insomma, la faccio breve: sarà stato un processo lungo, tortuoso, difficile, pieno di ostacoli e resistenze dentro lo stesso PD... ma ancora l'elettorato di sinistra - a differenza di altri schieramenti - conta parecchio in momenti cruciali come questo. e lo ha dimostrato. E, in condizioni disastrose, si è scelto il meglio che si poteva scegliere: Francesco Pigliaru, a questo punto, può essere anche un maratoneta, o anche un lanciatore di giavellotto, un saltatore in lungo o in alto... ma bisognerebbe avere l'onesta intellettuale (quando questa è ovviamente a disposizione delle possibilità delle intimità soggettive) di riconoscere che il PD (e l'intero schieramento di centrosinistra) fino a ieri non aveva neanche la pista, no dico un atleta, la pista!!! E ora ha l'una e l'altro. E si portino argomenti seri nella discussione, per favore, altrimenti è meglio continuare, con i propri raccontini, ad alimentare le tasche degli editori che sicuramente non sono mai stati a sinistra nelle ragioni degli italiani. Avendo, infine, la sensibilità e l'onestà di ricordare quanto le file di altri schieramenti di cui si dimostra pubblica simpatia stiano arruolando file intere di ex pd, a partire dall'ex presidente dell'assemblea regionale. Uno dei tratti tipici di certa mentalità politica è la visione apocalittica dello sviluppo storico-economico. A volte si può ritrovare una tale ricerca di assoluto in una forma così accentuata che la politica diventa una questione quasi religiosa. Un’ossessione per la purezza che quasi si trasforma in un’ossessione per la purificazione, una lotta implacabile contro le forze del Male. Quella di certa politica è la logica del tutto-niente, del vincere o perire. E in mezzo niente, perché le vie di mezzo sono state bruciate. Noi siamo la luce e voi il buio; noi la verità e voi la menzogna; noi la purezza e voi l'infame lordume; noi la soluzione e voi il problema; noi la speranza del radioso futuro e voi la disperata sopravvivenza del passato inferno. E' quella che si chiama pedagogia dell'intolleranza e che viene supportata da una logica di tipo binario (o - o), culla e ristoro per qualsiasi gnosticismo (pseudo)rivoluzionario. Ma è anche espressione di infantilismo politico, una seria incapacità di leggere la complessità del reale per sedersi sulla semplicità del "racconto", una versione dei fatti unilaterale e spesso senza contraddittorio, semplice nella descrizione della genesi dei problemi quanto semplicistica nelle soluzioni proposte. E allora l'attesa messianica della Salvatrice assume una veste di maggior comprensione, una spiegazione che lega la disperazione per il precipizio in cui si è caduti e di cui si scorgono solo altissime mura scivolose e la possibilità estrema di risalirle solo grazie alla presenza dell'Alter, solo alla scelta assolutistica della solitaria corsa. Se solo l'Alter avesse avuto la compiacenza di scendere dal Trono messianico e discutere con gli "italiani", qualcosa di buono si sarebbe potuto fare, tutti insieme. Se solo gli Alter degli altri partiti avessero avuto la compiacenza e l'intelligenza politica di discutere con Alter senza aspettare la Magistratura e lo sprone della pubblica indignazione per fare scelte dotate di un minino di colla col reale, qualcosa di buono si sarebbe potuto fare, tutti insieme. Buona competizione a tutti, ora. .Della prossima riconferma di Ugo Cappellacci alla guida della Regione Sardegna tutto si potrà dire, tranne che sia il frutto di un inganno. I sardi sanno perfettamente chi è o, perlomeno, hanno tutti i mezzi per conoscere i metodi di un'azione politica ridotta a propaganda H24. La sua nuova vittoria sarà perciò molto diversa da quella del 2009: allora la maggioranza dei sardi gli credette in buona fede, stavolta lo seguirà per la sconfortante povertà delle alternative, per avere dimenticato i fallimenti di questa legislatura o perché, semplicemente, quella maggioranza di sardi se ne fotte e le sta bene un presidente così. Della campagna elettorale del 2009, a Cappellacci è rimasto appiccicato il ruolo indegno di valletto del mattatore: Berlusconi a condurre i comizi, lui sempre un passo indietro, con le mascelle tirate in larghissimi sorrisi. Perché il programma politico era il sorriso. Ancora una volta, i sardi credettero che la formula di un governatore amico del presidente potesse risolvere tutti i problemi. Un'immagine potentemente simbolica del modo prevalente di intendere la politica: se sono amico di qualcuno che conta, sono a posto. In realtà è l'esatto contrario. Un presidente nominato dal capo di un partito nazionale è una palla al piede, una condanna a morte per la Regione che lo abbia scelto. Perché tante altre regioni che politicamente e demograficamente contano molto più della Sardegna hanno presidenti nominati da Berlusconi, secondo le logiche di un centrodestra composto da un padrone e tanti servi. E le ragioni di quei pezzi d'Italia conteranno sempre più di quelle della lontana e folkloristica Sardegna, proprio perché nello scacchiere sono pedine che valgono di più. Ma un presidente calato direttamente da Arcore, beneficiario di riflesso dell'immenso potere mediatico di Berlusconi, presidente lo diventa perché si impegna ad esaltare incondizionatamente figura e azione del capo e a tacere quando questo capo danneggi il suo popolo con atti politici a lui avversi. Così funzionano le nomine e non è che ci voglia una fine analisi di Vanni Sartori per capirlo. Ma, in cinque anni, i sardi non lo hanno capito e si apprestano ad incoronare nuovamente Cappellacci. Si chiama Democrazia. Ora, mi dicono che il governatore abbia pubblicato sul sito della Regione un bilancio di tutti i successi del suo mandato, compresi la Flotta Sarda e la Sassari Olbia. Proprio la vicenda della Sassari-Olbia è la più solare dimostrazione di come un presidente della Regione asservito sia condizione indispensabile perché Berlusconi lo designi per quel ruolo. Ma lo stesso potremmo dire per il G8 scippato a La Maddalena e per la disastrosa privatizzazione di TIrrenia, una delle più immani catastrofi subite dalla nostra economia negli ultimi decenni. Erano passati pochi giorni dalla vittoria di Cappellacci quando si deliberò in gran segreto di trasferire i 500 milioni di euro stanziati per la Olbia-Sassari ad un fondo controllato dalla presidenza del Consiglio, cancellando dunque l'investimento. Solo che le elezioni a quel punto erano già vinte ed il Presidente del Consiglio in carica sapeva perfettamente che il governatore da lui appositamente confezionato non avrebbe detto una parola contro di lui. Ecco a cosa serviva il Governo amico della Regione. La quattro corsie, inserita nelle opere straordinarie per il G8 di La Maddalena, sarebbe stata realizzata in tempi da record. Ora, un rinvio dopo l'altro, pare potrà essere ultimata non prima del 2018. La giunta Cappellacci ha tempestato le redazioni dei giornali di annunci farlocchi, spesso trasformando in una conquista epocale una semplice valutazione d'impatto ambientale favorevole. Basta un titolo di quotidiano compiacente ed un giornalista arrendevole perché il nulla di una pratica burocratica possa tramutarsi in un taglio di nastro. E di articoli infarciti di falsità dalla prima all'ultima lettera, in questi anni, ne abbiamo letti parecchi. Però non dimenticatevi mai che stiamo parlando della strada più pericolosa d'Italia, che ha ucciso novanta persone in quindici anni. Passarono pochi altri mesi e, utilizzando quale pretesto il terremoto a L'Aquila, la Sardegna e La Maddalena vennero incredibilmente scippate del vertice G8 di La Maddalena, un'occasione importante per facilitare la riqualificazione dell'Arcipelago e la transizione verso un turismo strutturato di un'economia precariamente fondata sulle basi militari. Obama e i padroni del mondo a La Maddalena non approdarono mai e tutte le centinaia di milioni di euro spesi per trasformare l'arsenale militare in un porto turistico valsero soltanto ad ingrassare le imprese coinvolte in un gigantesco giro di ruberie e mazzette. Poteva forse protestare o organizzare mobilitazioni popolari, il governatore nominato ad Arcore? E veniamo alla flotta sarda. Dal 2009 al 2012, il porto di Olbia Isola Bianca ha perso 2,2 milioni di passeggeri in transito, passando da 5,8 a 3,6 milioni di movimenti. Sappiamo tutti che a determinare questo collasso è stato il fenomenale incremento delle tariffe navali. Oltre due milioni di persone in meno che hanno messo in ginocchio, principalmente, le imprese turistiche cui si rivolge la classe media. Quella classe media che, valutati i prezzi esorbitanti dei biglietti, ha stabilito in questi anni di trascorrere le proprie vacanze altrove. Ho personalmente calcolato che con l'importo di un biglietto andata e ritorno Olbia-Genova, quest'estate, si trascorrevano quattro giorni di crociera tutto compreso nel Mediterraneo. Mentre tutto questo accadeva, il governo amico ha privatizzato nel 2011 Tirrenia, affidandola agli armatori che già detengono le rotte per la Penisola. Inevitabilmente, queste compagnie hanno fatto cartello e hanno ulteriormente incrementato i prezzi per le traversate. Ero a Cagliari, nella redazione del fallito quotidiano Sardegna24, quando l'Ansa aveva battuto l'annuncio dell'affidamento alla Cin di Tirrenia. Un collega giornalista, un minuto prima, aveva chiamato al telefono l'assessore regionale Cristian Solinas, il quale si disse fiducioso sulla possibilità che la temuta soluzione Cin potesse essere scongiurata. Solinas, assessore di quel Partito sardista capace di affidare il proprio vessillo a Berlusconi, durante la campagna elettorale. Insomma, il Governo preparò la privatizzazione di Tirrenia tenendone completamente all'oscuro Cappellacci a i suoi assessori. O, forse, la Giunta sapeva ma aveva le mani legate. Silenzi cui non ci si può sottrarre, quando si viene nominati. In quello stesso periodo, la Giunta noleggiò due navi della Saremar varando la cosiddetta Flotta Sarda. Secondo le fonti ufficiali, sarebbe stato il sistema per liberare la Sardegna dall'isolamento imposto dal cartello degli armatori. Io, su Sardegna 24, la ribattezzai la Frottola Sarda. Non era una mia opinione, era la matematica: due navi al giorno di proporzioni così modeste avrebbero potuto soddisfare meno del 5 per cento della richiesta complessiva di biglietti e, in definitiva, non potevano rappresentare una concorrenza tale da indurre i privati a ridurre le tariffe. Di fatto così avvenne, perché per buona parte dell'estate quelle navi viaggiarono semivuote e l'investimento della Regione si rivelò fallimentare, tanto da non essere ripetuto la scorsa estate. Anche per essere finito sotto la lente dell'Unione Europea, che accusò la Regione di avere interferito nel libero mercato. Ma fu un esempio significativo degli espedienti che la Regione fu costretta ad escogitare per difendersi dal disinteresse tossico di quel Governo, ben lungi dall'essere amico. Quella volta Cappellacci accusò il colpo e, manifestando il suo disappunto, si sospese dal Pdl. "Autosospensione": una formula senza significato, ben lontana dal poter essere interpretata come una presa di distanze definitiva da quel governo. Come quando una moglie abbandona la casa coniugale lasciandovi dentro tutti i vestiti. Non tarderà a tornarvi. E così è stato. Cappellacci è rientrato nella casa del padre, senza mai avere fornito una spiegazione plausibile sul perché quella rottura con il Pdl sia rientrata. Cosa è cambiato, da allora, nel panorama dei trasporti marittimi, per convincere i sardi a credere che le ragioni di quella sospensione siano state superate? Le tariffe sono forse state ridotte e rese accettabili? No, anche se è possibile che qualche organo d'informazione sponsorizzato da Tirrenia ve lo lasci credere. E la Zona Franca? Bocciata da tutti i principali economisti, è una trovata inserita nel 2009 per compiacere i sardisti e imbarcarli nel centrodestra. Ma, pur essendo un istituto di complessa e dubbia fattibilità, si è tornati a parlarne a mandato quasi scaduto, perché coincidesse con la montante campagna elettorale, Cappellacci, dopo avere annunciato la sua disponibilità a ricandidarsi nel marzo scorso, ha incassato la nuova nomina da Berlusconi. Che oggi non è più Presidente del Consiglio e, per giunta, è un pregiudicato, condannato per reati contro una pubblica amministrazione. Se cinque anni fa si contava sulla forza persuasiva di un capo del Governo che si dichiarava "amico" dei sardi, oggi tutti sanno che quell'amico - che amico lo è stato ben poco - non è neppure più al governo. I sardi hanno tutti gli strumenti di lettura per capire che il loro Presidente non può essere scelto ad Arcore. E che un Presidente nominato è un presidente con le mani legate e la bocca tappata. Però lo sceglieranno ancora. E dunque non ci sarà alcun inganno, questa volta. La dignità dei sardi. Io non ho padroni. Ho le mie idee, io. Sono quelle di Berlusconi. Mi piacciono. Sono un liberale, io. Nel senso che le persone serie tutte libere e i delinquenti in galera. Chi sono i delinquenti? I delinquenti, quelli neri, sporchi, che imbrattano le strade e rubano. Gli zingari, per esempio. Ecco gli zingari. In galera. Invece questo è un paese fatto male, vuole mettere in galera la gente per bene. Quelli che sono stati votati da dieci milioni di italiani. Non sono dieci milioni? Chi lo dice? Io non ho padroni. Mica credo ai giornalisti, io. Voto Cappellacci. Non l’ho scelto, ma è uno che ci ha portato la zona franca. Che significa? Sono un liberale e mi piace giocare a zona e, da piccolo avevo una ragazza di nome Franca. Ecco. Ho fatto le mie scelte. Io non ho padroni. Al massimo, suggeritori. Io non ho padroni. Ho le mie idee, io. Sono un democratico. Abituato a discutere di tutto, sono un cultore del dibattito. Ci sono nato nei dibattitti. E ci metto dentro tutti i democratici come me. Non mi interessa il colore della pelle. Tutti siamo uguali. Io, per esempio, credo alle primarie. Vado, voto e attendo. Perché, magari, qualcuno cambia le regole. Non sarebbe molto democratico ma serve per la democrazia. Per esempio, la Barracciu aveva vinto? Non vale. Dobbiamo aspettare da Roma o da Firenze la nuova risposta, quella democratica. Definitiva. Io non ho padroni. Sempre scelto da solo, io. Io non ho padroni. Ho le mie idee, io. Sono incazzato. Da anni ci deturpano tutto, non ci fanno mai parlare, non possiamo decidere, nessuno ci chiede cosa ne pensiamo, cosa siamo, cosa vogliamo fare. Per fortuna che c’è il web, lo streaming, tutto nella rete, tutto a portata di mano. Poi siamo giorni in attesa, il nostro guru non risponde. Perché è lui che decide, in nome della democrazia globale. Facciamo lo sciopero della fame, noi. Contro chi? Beh, questo non lo sappiamo. Non ci dicono mai niente, a noi. E’ Grillo che decide. Io non ho padroni. Mica sono un buffone, io. E poi, dopo le feste qualche giorno di digiuno male non fa. Sono un incazzato, io. L’isola di Budelli, quella della Spiaggia Rosa, è stata acquistata all’asta da un miliardario neozelandese. Prima era di una società fallita. Prima ancora era di altri e così via fino alla notte dei tempi. Budelli non è mai stata pubblica da quando esiste l’Italia. Però è protetta da mille vincoli e su di essa nulla può essere costruito. Nulla. È chiaro?
La parte costiera poi, compresa la Spiaggia Rosa, è già pubblica e non era in discussione alcuna privatizzazione. Quindi il miliardario ha comprato 160 ettari di macchia come ce ne sono tanti in Sardegna. Il Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena ha deciso però di intervenire e di farsi regalare l’isola con 3 milioni di Euro pubblici. Fino a qui avevo già detto nel post linkato sopra. Era il 5 novembre 2013. Poi è successo che: si è mosso Pecoraro Scanio, Alfonso Pecoraro Scanio. Ha fatto una raccolta di firme e una campagna di stampa ingannevoli, che hanno portato circa 90.000 persone (100.000 per la Questura, 120.000 per la Juve) a firmare perché Budelli non venisse svenduta e privatizzata. Maddeghè? 90.000 persone hanno abboccato in buona fede firmando un appello falso: che Budelli restasse pubblica. Budelli non poteva restare pubblica perché non lo era mai stata. Al massimo poteva diventarlo. La normativa sui tagli alla spesa pubblica però prevede che la Pubblica Amministrazione non possa acquistare terreni e immobili da privati. Quindi serviva un’eccezione, una deroga, una manovra all’italiana. È così successo che la Commissione Ambiente del Senato, su pressione di SEL, di certa stampa da mulino bianco e della lobby verde, ha deciso di stanziare 3 milioni di Euro per consentire al Parco di regalarsi un’isola. Di fronte a tale delirio c’è stata la reazione indignata del Comune di La Maddalena, di Federparchi (no, dico, Federparchi), del FAI e di Legambiente, che reputano inutile spendere soldi per 160 ettari di campagna già tutelati e ritengono quei tre milioni meglio spendibili in altre cose. La Commissione Ambiente della Camera li ha ascoltati e ha ribaltato lo scenario cassando l‘acquisto di Budelli e destinando quei soldi per metà alle bonifiche nell’ex Arsenale e per metà ad altre aree protette della Sardegna. Sembrava tutto a posto. Poi è arrivato Boccia, uno che ha il cognome che si merita. La Commissione Bilancio della Camera, da lui presieduta, ha ri-ribaltato la frittata tornando allo scenario precedente: il Parco può comprarsi Budelli. Alla faccia delle bonifiche nell’Ex Arsenale di La Maddalena inquinato dallo Stato (Ministero della Difesa) per quasi un secolo e depredato da fornitori dello Stato (la Cricca del G8) che dovevano risolvere un problema e l’hanno aggravato. Alla faccia della fatica a reperire i fondi mancanti per completare l’opera di pulizia. Alla faccia delle urgenze nella tutela ambientale in tutta la Sardegna, tra assetto idrogeologico, lotta agli incendi, desertificazione, scomparsa di specie ecc. Alla faccia della serietà. Di tutte le cose che si diranno sull’affaire Budelli, una vorrei restasse ben impressa nella testa di chiunque: da oggi nessuno potrà più dire che il Parco Nazionale faccia gli interessi della comunità maddalenina e, più in generale, dei sardi. Tre milioni di euro, destinati almeno in parte alle Bonifiche nell’Ex Arsenale militare, sono stati dirottati per consentire l’acquisto di un pezzo di campagna più protetto dell’Area 51. Questo significa che, in questa Italia, un capriccio irrazionale conta più dell’urgenza di ripulire un sito da sostanze inquinanti e renderlo finalmente fruibile per fini turistici, e per far girare un po’ l’economia della Gallura. Parco e Comune a La Maddalena fanno scintille da sempre e il colore politico non c’entra. Non c’è mai entrato una mazza. Il dramma di questo rapporto assurdo tra enti pubblici è tutto nei principi, nell’architettura giuridica che sorregge il Parco. Questo ente -oggi è definitivamente dimostrato- può desiderare e ottenere dallo Stato cose che vanno nettamente contro gli interessi vitali della comunità locale. Ricordo a tutti che senza bonifiche le opere realizzate per il G8 non potranno essere utilizzate da nessuno e continueranno a marcire come stanno già facendo, con grande scandalo della stessa stampa che, non capendo bene come stanno le cose, ha difeso l’acquisto di Budelli come se fosse una cosa intelligente. Il Parlamento, dal canto suo, ha dimostrato ancora una volta che molti dei suoi membri prendono decisioni senza capire nulla delle cose che votano, senza approfondire e senza preoccuparsi di danneggiare le comunità locali che invece dovrebbero difendere. Un’ultima riflessione la vorrei dedicare al mio ex partito, il PD. Questo minestrone di incapacità in cui annaspano molte persone perbene è riuscito, nella persona di certi suoi parlamentari sardi e non -contattati per l’occasione- a negarsi (si dice così quando cerchi qualcuno e questo fa finta di non essere in casa?) di fronte alle richieste di dialogo da parte del Comune e di molti suoi iscritti. Hanno preferito quasi tutti dare ascolto alle pressioni esercitate da Repubblica, che ormai è l’organo del Partito (credo che Silvio Lai sarà d’accordo con me). Il PD ha dimostrato ancora una volta di essere un partito che col territorio non ha nulla a che fare, ma che con le lobbies si intende benissimo, il che non è neanche illegale; è solo demenziale. Si, demenziale; perché il PD è quello stesso partito che poi i voti non li va a chiedere solo alle lobbies, ma li chiede alle comunità, ai militanti, ai dirigenti. Salvo poi ricordarsi di ascoltare solo la pancia delle lobbies facendo finta che al territorio è meglio non rispondere e non dare troppe spiegazioni. Fantozzi, a questi, gli fa un baffo. Della prossima riconferma di Ugo Cappellacci alla guida della Regione Sardegna tutto si potrà dire, tranne che sia il frutto di un inganno. I sardi sanno perfettamente chi è o, perlomeno, hanno tutti i mezzi per conoscere i metodi di un'azione politica ridotta a propaganda H24. La sua nuova vittoria sarà perciò molto diversa da quella del 2009: allora la maggioranza dei sardi gli credette in buona fede, stavolta lo seguirà per la sconfortante povertà delle alternative, per avere dimenticato i fallimenti di questa legislatura o perché, semplicemente, quella maggioranza di sardi se ne fotte e le sta bene un presidente così. Della campagna elettorale del 2009, a Cappellacci è rimasto appiccicato il ruolo indegno di valletto del mattatore: Berlusconi a condurre i comizi, lui sempre un passo indietro, con le mascelle tirate in larghissimi sorrisi. Perché il programma politico era il sorriso. Ancora una volta, i sardi credettero che la formula di un governatore amico del presidente potesse risolvere tutti i problemi. Un'immagine potentemente simbolica del modo prevalente di intendere la politica: se sono amico di qualcuno che conta, sono a posto. In realtà è l'esatto contrario. Un presidente nominato dal capo di un partito nazionale è una palla al piede, una condanna a morte per la Regione che lo abbia scelto. Perché tante altre regioni che politicamente e demograficamente contano molto più della Sardegna hanno presidenti nominati da Berlusconi, secondo le logiche di un centrodestra composto da un padrone e tanti servi. E le ragioni di quei pezzi d'Italia conteranno sempre più di quelle della lontana e folkloristica Sardegna, proprio perché nello scacchiere sono pedine che valgono di più. Ma un presidente calato direttamente da Arcore, beneficiario di riflesso dell'immenso potere mediatico di Berlusconi, presidente lo diventa perché si impegna ad esaltare incondizionatamente figura e azione del capo e a tacere quando questo capo danneggi il suo popolo con atti politici a lui avversi. Così funzionano le nomine e non è che ci voglia una fine analisi di Vanni Sartori per capirlo. Ma, in cinque anni, i sardi non lo hanno capito e si apprestano ad incoronare nuovamente Cappellacci. Si chiama Democrazia. Ora, mi dicono che il governatore abbia pubblicato sul sito della Regione un bilancio di tutti i successi del suo mandato, compresi la Flotta Sarda e la Sassari Olbia. Proprio la vicenda della Sassari-Olbia è la più solare dimostrazione di come un presidente della Regione asservito sia condizione indispensabile perché Berlusconi lo designi per quel ruolo. Ma lo stesso potremmo dire per il G8 scippato a La Maddalena e per la disastrosa privatizzazione di TIrrenia, una delle più immani catastrofi subite dalla nostra economia negli ultimi decenni. Erano passati pochi giorni dalla vittoria di Cappellacci quando si deliberò in gran segreto di trasferire i 500 milioni di euro stanziati per la Olbia-Sassari ad un fondo controllato dalla presidenza del Consiglio, cancellando dunque l'investimento. Solo che le elezioni a quel punto erano già vinte ed il Presidente del Consiglio in carica sapeva perfettamente che il governatore da lui appositamente confezionato non avrebbe detto una parola contro di lui. Ecco a cosa serviva il Governo amico della Regione. La quattro corsie, inserita nelle opere straordinarie per il G8 di La Maddalena, sarebbe stata realizzata in tempi da record. Ora, un rinvio dopo l'altro, pare potrà essere ultimata non prima del 2018. La giunta Cappellacci ha tempestato le redazioni dei giornali di annunci farlocchi, spesso trasformando in una conquista epocale una semplice valutazione d'impatto ambientale favorevole. Basta un titolo di quotidiano compiacente ed un giornalista arrendevole perché il nulla di una pratica burocratica possa tramutarsi in un taglio di nastro. E di articoli infarciti di falsità dalla prima all'ultima lettera, in questi anni, ne abbiamo letti parecchi. Però non dimenticatevi mai che stiamo parlando della strada più pericolosa d'Italia, che ha ucciso novanta persone in quindici anni. Passarono pochi altri mesi e, utilizzando quale pretesto il terremoto a L'Aquila, la Sardegna e La Maddalena vennero incredibilmente scippate del vertice G8 di La Maddalena, un'occasione importante per facilitare la riqualificazione dell'Arcipelago e la transizione verso un turismo strutturato di un'economia precariamente fondata sulle basi militari. Obama e i padroni del mondo a La Maddalena non approdarono mai e tutte le centinaia di milioni di euro spesi per trasformare l'arsenale militare in un porto turistico valsero soltanto ad ingrassare le imprese coinvolte in un gigantesco giro di ruberie e mazzette. Poteva forse protestare o organizzare mobilitazioni popolari, il governatore nominato ad Arcore? E veniamo alla flotta sarda. Dal 2009 al 2012, il porto di Olbia Isola Bianca ha perso 2,2 milioni di passeggeri in transito, passando da 5,8 a 3,6 milioni di movimenti. Sappiamo tutti che a determinare questo collasso è stato il fenomenale incremento delle tariffe navali. Oltre due milioni di persone in meno che hanno messo in ginocchio, principalmente, le imprese turistiche cui si rivolge la classe media. Quella classe media che, valutati i prezzi esorbitanti dei biglietti, ha stabilito in questi anni di trascorrere le proprie vacanze altrove. Ho personalmente calcolato che con l'importo di un biglietto andata e ritorno Olbia-Genova, quest'estate, si trascorrevano quattro giorni di crociera tutto compreso nel Mediterraneo. Mentre tutto questo accadeva, il governo amico ha privatizzato nel 2011 Tirrenia, affidandola agli armatori che già detengono le rotte per la Penisola. Inevitabilmente, queste compagnie hanno fatto cartello e hanno ulteriormente incrementato i prezzi per le traversate. Ero a Cagliari, nella redazione del fallito quotidiano Sardegna24, quando l'Ansa aveva battuto l'annuncio dell'affidamento alla Cin di Tirrenia. Un collega giornalista, un minuto prima, aveva chiamato al telefono l'assessore regionale Cristian Solinas, il quale si disse fiducioso sulla possibilità che la temuta soluzione Cin potesse essere scongiurata. Solinas, assessore di quel Partito sardista capace di affidare il proprio vessillo a Berlusconi, durante la campagna elettorale. Insomma, il Governo preparò la privatizzazione di Tirrenia tenendone completamente all'oscuro Cappellacci a i suoi assessori. O, forse, la Giunta sapeva ma aveva le mani legate. Silenzi cui non ci si può sottrarre, quando si viene nominati. In quello stesso periodo, la Giunta noleggiò due navi della Saremar varando la cosiddetta Flotta Sarda. Secondo le fonti ufficiali, sarebbe stato il sistema per liberare la Sardegna dall'isolamento imposto dal cartello degli armatori. Io, su Sardegna 24, la ribattezzai la Frottola Sarda. Non era una mia opinione, era la matematica: due navi al giorno di proporzioni così modeste avrebbero potuto soddisfare meno del 5 per cento della richiesta complessiva di biglietti e, in definitiva, non potevano rappresentare una concorrenza tale da indurre i privati a ridurre le tariffe. Di fatto così avvenne, perché per buona parte dell'estate quelle navi viaggiarono semivuote e l'investimento della Regione si rivelò fallimentare, tanto da non essere ripetuto la scorsa estate. Anche per essere finito sotto la lente dell'Unione Europea, che accusò la Regione di avere interferito nel libero mercato. Ma fu un esempio significativo degli espedienti che la Regione fu costretta ad escogitare per difendersi dal disinteresse tossico di quel Governo, ben lungi dall'essere amico. Quella volta Cappellacci accusò il colpo e, manifestando il suo disappunto, si sospese dal Pdl. "Autosospensione": una formula senza significato, ben lontana dal poter essere interpretata come una presa di distanze definitiva da quel governo. Come quando una moglie abbandona la casa coniugale lasciandovi dentro tutti i vestiti. Non tarderà a tornarvi. E così è stato. Cappellacci è rientrato nella casa del padre, senza mai avere fornito una spiegazione plausibile sul perché quella rottura con il Pdl sia rientrata. Cosa è cambiato, da allora, nel panorama dei trasporti marittimi, per convincere i sardi a credere che le ragioni di quella sospensione siano state superate? Le tariffe sono forse state ridotte e rese accettabili? No, anche se è possibile che qualche organo d'informazione sponsorizzato da Tirrenia ve lo lasci credere. E la Zona Franca? Bocciata da tutti i principali economisti, è una trovata inserita nel 2009 per compiacere i sardisti e imbarcarli nel centrodestra. Ma, pur essendo un istituto di complessa e dubbia fattibilità, si è tornati a parlarne a mandato quasi scaduto, perché coincidesse con la montante campagna elettorale, Cappellacci, dopo avere annunciato la sua disponibilità a ricandidarsi nel marzo scorso, ha incassato la nuova nomina da Berlusconi. Che oggi non è più Presidente del Consiglio e, per giunta, è un pregiudicato, condannato per reati contro una pubblica amministrazione. Se cinque anni fa si contava sulla forza persuasiva di un capo del Governo che si dichiarava "amico" dei sardi, oggi tutti sanno che quell'amico - che amico lo è stato ben poco - non è neppure più al governo. I sardi hanno tutti gli strumenti di lettura per capire che il loro Presidente non può essere scelto ad Arcore. E che un Presidente nominato è un presidente con le mani legate e la bocca tappata. Però lo sceglieranno ancora. E dunque non ci sarà alcun inganno, questa volta. Ecco alcune parole (rigorosamente in ordine alfabetico) che si sentiranno nel corso del 2014 in Sardegna. Alcune sono parole vecchie, stantie, altre nuove, nuovissime. Bisogna saper miscelare tutto, anche con una dose di ironia. Buon anno a tutti. ABBANOA. Un nome nuovo per qualcosa di antico: l’acqua. Più che nuova doveva essere di tutti. Molta confusione, molti debiti, molta, troppa burocrazia. Un gigante quasi inutile. Un disservizio caro, carissimo, da rivedere. Una delle prime cose da affrontare nel rinnovato Consiglio Regionale. BARRACCIU : Nel bene e nel male è la protagonista del 2013 e lo sarà anche dei primi mesi del 2014. Ha sbagliato quasi tutte le sue mosse e non è riuscita a sfoderare un briciolo di passione. Solo unghie verso chi l’ha affossata. Ma lei, da ottima politica d’altri tempi ha trattato. Per la Sardegna? Probabilmente per se stessa. A maggio ci saranno le elezioni europee e più avanti quelle nazionali. Dalla panchina scalpita e il PD langue. CAPPELLACCI E’ un mistero come una persona così mediocre sia riuscita a convincere Berlusconi per la seconda volta a candidarsi come governatore della Regione Sardegna. Al primo giro ha maramaldeggiato con il sorriso. Oggi ci racconta tutto nel libretto “detto, fatto”. Soprattutto fatto ma rischia di rivincere nonostante i suoi guai giudiziari e la possibilità di un’eliminazione giuridica con la mannaia “Severino”. DODDORE Nel senso di Doddore Meloni. Se lo meriterebbe un libro Doddore. Per la sua idea così scombussolata, così narcisistica e incredibile, per quel suo maluentu che lo ha trasportato nel sequestro di persona più disneyano della Sardegna. Bisognerebbe raccontarla, prima o poi questa storia. Ci vorrebbe un buon disegnatore di fumetti. ELEZIONI. Quelle del 2014. Soprattutto le regionali. Saranno il monopolio delle notizie dei prossimi mesi. Scontri e veleni, amicizie interrotte, inimicizie sedate, candidati senza macchia e molta paura, candidati imputati e impuniti che continueranno a mostrare il loro sorriso. Se i sardi fossero davvero diffidenti, chi ha un avviso di garanzia dovrebbe non prendere un voto. Ma tutto quello che si racconta sui sardi, si sa, è solo in parte vero. FUOCO. Ce la dovrebbero spiegare questa storia degli incendi, prima o poi. Del business degli incendi, dell’estate passata a sentire il rumore dei canadair che volteggiano i nostri cieli. Ce la dovrebbero spiegare la storia di una Sardegna desertificata per scelta e non per grazia divina. Il libro di Fiorenzo Caterini “colpi di scura e sensi di colpa” prova a spiegarla questa strana storia e quel libro merita la lettura. GIGGIRRIVA . Lo hanno cercato come futuro governatore, risolutore dei problemi dei minatori, mediatore tra l’ALCOA e gli operai, speranza di un nuovo riscatto e un nuovo scudetto. Gigi Riva è stato un grande giocatore di pallone. Grandissimo. E nel 2014 compirà settanta anni. Non chiediamogli altro. HOTEL. Sono quelli sparsi nei litorali della nostra isola. Sempre più vuoti e sempre più in crisi. Lavorano ormai solo pochissimi mesi l’anno, nonostante il clima e le potenzialità di una terra che non riesce a ridisegnare un futuro. Non c’è solo mare dalle nostre parti. Vero. Ma neppure il mare sappiamo più offrire. INDIPENDENTISMO. Parola che usano tutti. Cappellacci, per dire, parla di zona franca e scrive in sardo al Presidente del Consiglio Letta. Speriamo tutti in una nuova Catalogna ma, al massimo, riusciamo a costruire uno spot su “affora sa bluetongue”. Sull’indipendenza dovremmo riuscire, un giorno, a fare un dibattito serio e distinguere la storia, la cultura ed il folklore. L’ultimo, a quanto pare ci riesce molto bene. LINGUA BLU . Al di la dello spot impresentabile e davvero esilarante, qualcuno dovrebbe spiegare il business dietro la lingua blu e la peste suina. Questo voler, a tutti i cosi, tenercele queste strane epidemie. Dovremmo riuscire ad analizzare meglio le questioni e provare a debellarle senza “aiutini” e senza spot elettorali. L’assistenzialismo procura voti ma non risolve i problemi. MURGIA. Nel senso di Michela. Io a Michela voglio bene. Perché sa narrare, sa raccontare e sa scrivere molto bene. Sa cucire le storie e sa cucinare. Passare una giornata con Michela Murgia arricchisce e riporta al buonumore. Ci scommetterei su Michela Presidente. Ho solo paura possa incrinarsi la voglia di narrare e discettare. Non vorrei perdere una grande scrittrice. Non so. Però io, a Michela voglio molto bene. E ci scommetterei. NARRARE. E’ il verbo più bello di questa terra. Che riesce ancora a confrontarsi con le parole. Ci sono belle cose in giro, belle storie, bei romanzi. Dovrei citarli tutti ma non voglio. Conosco gli scrittori e conosco il loro/mio narcisismo. Però, davvero, leggete i libri degli scrittori sardi. Dentro questa terra riusciamo ancora a narrare. OSTENTARE. E’ il verbo del 2013 e spero definitivamente scomparso nel 2014. L’ostentazione dei politici, quelli che regalavano le mont-blanc, acquistavano libri rari, quadri d’autore: voler dimostrare di essere i migliori, i più raffinati, mentre i sardi si disperavano e si disperano per un posto di lavoro. Piccoli borghesi cinici e bari. Una classe politica che ostenta il nulla dovrebbe essere spazzata con forza dagli elettori. Questo però è solo un mio auspicio. PARTITO DEMOCRATICO SARDO. Diciamocelo. Nel Pd sardo si fa a gara per chi vince l’oscar del miglior Paperino. Sconclusionati, pasticcioni, vendicativi, “babbasoni”, inutilmente seri, poco pragmatici, senza nessuna strategia con la speranza di vincere le elezioni senza mettere nessuna squadra in campo. Magari funziona, ma la gente, ormai, ha deciso per altri lidi ed altri litorali. Alla prossima. QATAR. Quelli degli stazzi, in attesa dei milioni, nella speranza di costruire un nuovo Eden, una nuova costa Smeralda. Bisognerebbe spiegare a lor signori che la dignità non si acquista come a MONOPOLI per mettere mattoncini come se fossimo a LEGOLAND. ROMANZI. Se sappiamo narrare e sappiamo scrivere riusciamo anche a pubblicare. Sono molti i romanzi di scrittori sardi e molti parlano della Sardegna. Avere un presidente scrittore servirebbe a dimostrare che le parole, a volte, hanno anche un peso politico. Chissà. Magari qualcuno, su questa storia ci scriverà un libro. Prima o poi. STAZZO. E’ la parola gallurese per me più bella, più malinconica, più poetica. Mi piacciono i nomi “lu vaccileddi” “Austinacciu” “Scupetu” “la rena bianca” “Pirrigheddu”, “Lu lamaddjoni” . Sono parole che sono poesia e ricordi. E terra gialla, verde, dura, forte. E’ Sardegna. La mia Sardegna. TERRA. Dovremmo amarla e coccolarla meglio la nostra terra. Annusarla in tutti i suoi profumi, fotografarla negli occhi in tutti i suoi colori. Dovremmo abbracciarla e non consegnarla a nessuno la nostra dolce e cruda terra. UTA. Sarà l’anno dell’apertura del nuovo carcere di Cagliari e la chiusura del vecchio Buoncammino. Il nuovo complesso è stato costruito a Uta, molto lontano dalla città. Lo ritengo un grosso e imperdonabile errore. Non dobbiamo avere paura dei detenuti. Dobbiamo avere paura degli errori. Ma questa è un’altra storia. VACANZE. Questa storia della Sardegna luogo di vacanza mi sembra un’enormità. Dovremmo rivedere i canoni della nostra terra e dovremmo smettere di stare zitti quando qualcuno ci dice: “Vivi in Sardegna, beato te”. Accompagnatelo davanti al mare, mettetegli una valigia in mano e ditegli, senza urlare troppo: “Adesso nuota”. O al massimo, telefona a Cappellacci e chiedigli della sua magnifica continuità territoriale. ZIU PEPPEDDU. In fondo, in ogni anno c’è sempre un saggio che ci racconta le piccole cose, le piccole storie. Zio Peppeddu è la metafora di tutte le storie e di tutte le parole di un’isola che ha polmoni buoni per potersi permettere di respirare per i fatti suoi. Dovremmo solo avere più coraggio. Questo ci racconta zio Peppeddu. Ma lo racconta piano. Buon 2014 Io sono di sinistra (omaggio a Giorgio Gaber) di Giampaolo Cassitta Io sono di sinistra – e lo sono sempre stato – perché mi piacciono le curve e perché amo le cose difficili e complicate. Io sono di sinistra perché da piccolo, quando i miei amici si azzuffavano, preferivo le parole e tentavo in tutti i modi di spiegare che era sbagliato litigare. Ma lo facevo anche perché avevo paura di rompermi gli occhiali. Io sono di sinistra perché delle canzoni ho sempre amato le parole, anche perché ero e sono davvero negato a suonare la chitarra. Io sono di sinistra perché il primo racconto che ho è letto è “dagli Appennini alle ande” tralasciando tutte le altre pagine del libro cuore. In quel racconto ho capito quanto nessun viaggio fosse definitivo. Io sono di sinistra perché il mio primo libro è stato “le avventure di Tom Sawer” e leggendolo ho capito quanto fosse importante crescere, fin da bambini. Io sono di sinistra perché ho sempre pensato a Lucio Battisti come un grande cantante, un buon dispensatore di emozioni e “il mio canto libero” è la canzone della mia prima dichiarazione d’amore ad una ragazza. Io sono di sinistra perché a quella ragazza, dopo la famosa dichiarazione (vuoi mettermi con me?) non riuscivo a dire altro. Io sono di sinistra perché da piccolo avevo le lentiggini e pensavo fosse segno di grande intelligenza (poi mi sono sparite e ho furbescamente glissato sulle lentiggini e sul loro significato) Io sono di sinistra e mi piace ascoltare Claudio Baglioni, le Orme, la Pfm, Laura Pausini, i Rem, i Credence, oltre ai classici di “sinistra” troppo facili da amare. Io sono di sinistra e so abbracciare, sorridere, scherzare. Io sono di sinistra e mi piace bere il Ferrari millesimato, l’armagnac e il Brunello di Montalcino e, a dire il vero non ho mai amato l’Albana e il bracchetto. Io sono di sinistra e mi piace Giorgio Albertazzi, Alberto Sordi e Dustin Hoffman, non solo Nanni Moretti. Io sono di sinistra e leggo Amado, Baricco, Sepulveda, ma amo Fallaci e Stephen King. Io sono di sinistra ma sono stato molto male quando Bersani ha dovuto abbandonare il campo, quando è arrivato Letta, quando mi hanno fregato due euro alle primarie, quando hanno smesso di pensare al paese reale e hanno cominciato a parlare di “sistema paese” Io sono di sinistra perché preferisco il “noi” e non mi piace chi utilizza il “loro” per giustificarsi, per dare le colpe, per dire “anche loro lo fanno”. Io sono di sinistra e ho vissuto male la battaglia finale di Francesca Barracciu, le zuffe tra presunti compagni (e dire che Soru ha anche gli occhiali) le lotte intestine, i capibastone, il linguaggio mafioso, il non voler capire che fuori esiste un altro mondo e non è quello bello e impossibile di una sinistra perdente. Io sono di sinistra perché i soldi pubblici sono di tutti e il privato non è politico. Quando la Barracciu capirà questo sarò davvero contento e la smetta con il mantra di essere stata silurata “in quanto donna” perché non è vero. Io sono di sinistra perché il rispetto, la dignità, la passione, gli ideali, le visioni non hanno sesso e non ci sono quote da dividere equamente tra uomini e donne, alti e magri, corti e lunghi, brutti e belli, con o senza occhiali. Essere di sinistra significa aver compreso che queste sono divisioni settarie e controproducenti per la costruzione di un progetto. Io sono di sinistra perché ho compreso di non essere dalla parte giusta, ma di essere da una parte, di non essere dalla parte migliore, ma di avere un progetto diverso dalla destra, di non essere il depositario della cultura, ma di avere qualcosa diametralmente opposto da raccontare rispetto a quelli di destra, di non avere la soluzione ma diverse soluzioni e queste cose ed altre ancora vorrei raccontare. Io sono di sinistra – e lo rimarrò per sempre – perché sono innamorato del mio mare, della mia terra, degli occhi di chi lavora, degli occhi di chi non lavora, degli occhi degli ultimi e dei penultimi, degli occhi di chi sorride e di chi non ha più la forza, delle canzoni e delle parole, delle musiche e dei silenzi, dei sorrisi e degli abbracci, delle cose serie e delle cazzate. Tutte cose che, sicuramente, amano anche a destra. Con una differenza: la prospettiva. Ecco, io sono di sinistra perché la mia prospettiva davanti ad uno scoglio è sentire il mare, il rumore sordo della vita forte che abbraccia la battigia e non immaginare di costruirci una villa per racchiudere quel mare e farlo esclusivamente mio. Io sono di sinistra e auguro a tutti un buon 2014. Un anno non facile, al di la delle amene formalità. Vi auguro però di viverlo intensamente senza nascondere le vostre emozioni e condividerle con gli altri. Provate ad essere “noi” piuttosto che “io” rimanendo con le vostre convinzioni. Io rimarrò sempre di sinistra con la consapevolezza di poter guardare avanti o di fianco e capire di non essere solo ma di essere diverso da chi cammina alla mia destra. In ogni caso è bello pensare che dove finiscono le nostre diversità possa iniziare un confronto, serio , leale, aspro, di passione per le cose e per gli uomini. Buon 2014. Buon tutto a tutt di Gavino Minutti Non amo chi sventola nodi scorsoi come fossero vessilli; non amo i processi mediatici e rifuggo i professionisti del giustizialismo in servizio permanente; non amo gli eunuchi che sbavano libido sulle disgrazie altrui mentre candeggiano i propri malvezzi costruendovi carriere e fortune economiche. Ho talmente assimilato l’assunto che una persona è innocente fino a prova contraria, accertata e definitiva, che reputo che il peggior veleno per un paese sia quello di affidare la selezione della classe politica alla magistratura. Questo è un problema serio per la democrazia con cui la sinistra italiana dovrà prima o poi fare i conti. Abbattuta la “preda” grossa ed eliminati i nemici dichiarati, dissi in tempi non sospetti, toccherà poi agli amici che non piacciono nei salotti esoterici. L’avviso di garanzia garrito come randello politico deve seriamente far riflettere tutti. Non conosco Francesca Barracciu; non l’ho votata alle primarie perché non ho avuto modo di apprezzare la sua “proposta” politica e perché percepii allora l’idea che fosse scortata da una compagnia di giro troppa variopinta. Ma se il suo partito l’aveva preferita con un così ampio suffragio ritengo non fosse solo perché lo stato maggiore era incolonnato da quella parte, non solo perché avrebbe assicurato un punto di sintesi tra fazioni in lotta come nella guerra dei cent’anni, fra tregue e repentine imboscate. Ritengo che un consenso largo come quello conseguito alle primarie del 30 settembre sia anche frutto di meriti propri, di ostinato lavoro e di capacità di farsi largo in un mondo dove vince solitamente chi fa pipì in piedi. Come ho già detto in un altro post, Francesca Barracciu ha diritto al sostegno del suo partito e saremo lieti nel momento in cui la sua pratica verrà archiviata, perché verrà riconosciuta persona perbene. Questa battaglia, com’è giusto che sia, la dovrà combattere non da possibile Governatrice, ma da altre postazioni. Ma la cosa malinconica e deprimente di questa vicenda non è solo com’è stata gestita l’incombenza dai vertici regionali e nazionali del partito, ma il suo epilogo. Penso ad esempio al ruolo svolto da Soru sulla candidatura della Barracciu, il quale ha giocato la parte del fido consigliere, di guida saggia e di sponsor tecnico ufficiale; poi primo a scaricarla ed infine il colpo d’ala, di genio. La botta del politico accorto, dove viene fuori la propensione dell’uomo all’innovazione e al cambiamento, del condottiero che solo qualche lustro addietro faceva fantasticare mezza Sardegna, che faceva persino piangere vecchi compagni, risvegliando in loro l’orgoglio dell’appartenenza, della diversità, del sogno e del riscatto dei sardi. Il comandante che ha afferrato il tempo d’oggi e compreso la direzione da intraprendere, cosa fa? L’agente assicuratore. Una polizza per Francesca Barracciu che se avesse fatto il famigerato passo indietro da tutti invocato, gli verrebbe salvaguardato il futuro, qualcosa di importante che potesse risarcire una carriera politica andata oramai a carte quarant’otto. Neppure nella peggiore epopea della prima repubblica credo si sia raggiunto un tale livello di indecenza dei politici nei riguardi dei comuni mortali. In qualunque buco di ufficio o in qualsiasi lercio lavoro se uno è investigato di appropriarsi indebitamente di denaro, che si fa? come minimo si attendono gli esiti, forse in certi casi non verrebbe denunciato per carità cristiana, ma certamente non gli verrebbe garantito alcunché. La politica invece in barba ad ogni più elementare principio di buon senso, come agisce? Soprattutto quella politica che dice di voler “cambiare verso all’Italia”, viceversa assicura un generoso stipendio o un lauto vitalizio. Se questi sono i prodomi della svolta, del cambio di passo, temo che Renzi durerà ancor meno di quanto egli incominci a temere. Pensierini di fine anno. La politica è l’arte dell’imponderabile e della complessità. E’ dire azzurro dove il grigio impazza, è affermare il proprio interesse per cose di cui niente ci interessa, è giocare con il sorriso mentre siamo tutti con il coltello in tasca. Questo è quello che ci rimane. Ma non è la politica. In realtà questo tipo di fare politica è la risultante di anni trascorsi a chiuderci gli occhi, a non respirare, a credere che questa sia “la politica”. A credere a uomini piccoli, insignificanti, senza neppure un’idea utile per trascorrere, non dico la legislatura, ma perlomeno la giornata. Uomini vili, senza spina dorsale, senza cultura. Senza, soprattutto, la cultura della politica. Uomini (e donne, chiaramente) con un’etica imparata sui sunti Bignami, sul voler trattare tutto e a tutti i costi. Uomini (e donne, chiaramente) non disponibili ad essere al servizio degli altri ma solo ed esclusivamente al servizio di se stessi o, al massimo degli amici. Se devo lasciare voglio, pretendo, chiedo, esigo di poter capire chi entra al mio posto, chi metterete nei banchi della regione, del comune, del parlamento. Io esigo, io credo, io ritengo. Gente misera, inetta, abituata ad utilizzare il pronome “io” e mai, dico mai e neppure per sbaglio, provare a presentarsi con il “noi”. Gente insignificante, arrogante, falsa, gente che ha contribuito a mischiare i colori. A far dire alla gente (la stessa gente che, quando fa comodo inneggiano e quando non serve dileggiano) “tanto son tutti uguali”. Ma non è così e se lo fosse l’altra sponda dovrebbe solo vergognarsi di tutti i candidati indagati, rinviati a giudizio e di quelli ancora (per poco) onorevoli sdraiati nei pancacci delle patrie galere. Non siamo uguali. Non dovremmo esserlo. Non possiamo e non dobbiamo mischiarci nella stessa tavolozza delle opportunità. Oggi la politica ha perso. La politica vera, quella delle scelte per tutti, quella di Martin Luther King, di Montesquieu, di Voltaire, di Gramsci, di Mazzini, quella dei sogni da realizzare, quella dei partigiani, del sangue mai rappreso delle lotte quotidiane. Quella politica ha perso. E noi con lei. Non abbiamo bisogno di stare ad ascoltare. E’ venuto il tempo di gettare la tavolozza, di riprendere una tela nuova, bianca e ricominciare a disegnare. Scegliendo bene i colori. Perché il rosso è rosso e il nero è nero. E non di mischiano. Mai. Tutti noi siamo oramai consci che il livello della classe dirigente italiana e di quella nazionale (sarda) siano forse al più basso della storia della Repubblica.
Tutti noi siamo coscienti che la politica è oramai una guerra tra bande e di interessi particolaristici che hanno perso ogni spessore morale e ideale. Pensate a che fine penosa hanno fatto i missini, eredi orgogliosi di una tragica storia, ridotti a buffoni della corte di un Re-clown. Non molto diversa è la fine dei comunisti o quella dei democristiani. Anche se nel senso comune i politici oggi sono tutti uguali, una differenza ancora esiste e lo dimostrano le vicende di Cappellacci e di Francesca Barracciu. La situazione di Cappellacci è ben più grave di quella di Barracciu. Ma mentre questa ha dovuto rinunciare, sotto la pressione di un elettorato che trova intollerabile che il proprio candidato sia sfiorato da un'ombra giudiziaria, Cappellacci è li e il suo elettorato tace. La differenza "antropologica" tra destra e sinistra c'è e la fa il suo elettorato. Siamo tutti colpevoli ma qualcuno è peggio degli altri. La questione degli avvisi di garanzia va affrontata prima o poi. Ma non può farla questa classe politica che non ne ha lo spessore. Ma non è possibile che basti la denuncia di chiunque su qualunque presunta malversazione per distruggere la carriera e la dignità di una persona (i casi sono innumerevoli). Neanche San Francesco uscirebbe indenne dal nostro sistema giudiziario-mediatico. Questo è un vulnus per la democrazia. Ma la responsabilità più grande è dei partiti stessi che hanno perso la nostra fiducia. E ora ci espongono al rischio della fine della democrazia rappresentativa. Si conta, si conta spesso anche oltre cento, quando le idee non sono ancora chiare, quando l'ira o qualsiasi altro stato d'animo possono prevalere sulla ragione e relativo ragionamento. L'ho fatto anch'io, ultimamente, e sono arrivato esattamente al numero 1825. E 1825 sono i giorni esatti, scientificamente esatti, che ci separano ormai da quel febbraio 2009, quello in cui la maggioranza dei sardi decise chi avrebbe dovuto governarli per cinque lunghi anni. {Parentesi: la scena che mi appare oggi, è quella di 1 milione e 600 mila sardi che, come quei pazzi che cercano di fuggire verso la libertà e per farlo devono oltrepassare ben 100 cancelli, ecco, nel 2008 erano quasi al 99°, ma decisero di tornare indietro perché “già stanchi”} I sardi scelsero, e scelsero in massa. Quella campagna elettorale, che forse in troppi hanno scordato in fretta, la ricordo come una delle più viscide e infamanti mai viste prima. Un governatore dimesso e sfiduciato dalla sua stessa parte politica, la stessa che raccontava in giro di “fucili puntati alla tempia”, di uno strano “uomo nero” che si aggirava per i corridoi dei palazzi regionali. Uno che voleva fare tutto da solo, dicevano. Ma chi era lì, non troppo distante da quei fatti che sia gli addetti ai lavori che i media, tutti i media, rilanciavano distorti e arricchiti di leggenda sulla pance aizzate dei sardi sempre più disperati, chi era lì vedeva scorrere tutta un'altra realtà, tutt'altre ragioni da quelle raccontate ai sardi. Disegnavano scenari ferali, lugubri, i La Spisa, i Maninchedda, gli Artizzu e i Diana di turno, le vastissime assenze mediatiche dell'allora governatore erano ben occupate da chiunque avesse qualcosa contro di lui, dal contadino all'ultimo degli uscieri regionali, non passava giorno che non si dicesse, a canali e giornali unificati, che la Sardegna si stava impoverendo, desertificando. La crisi dell'edilizia era già allora macroscopica, evidente, l'invenduto e i fallimenti la fetta più grossa del comparto, e gli speculatori, insieme alla maggioranza dei sardi che il Piano Paesaggistico non lo avevano nemmeno letto, i muratori di paesi e città, i manovali e gli impresari, i cacciatori e gli accozzati, i sistemati in enti inutili, i primari e direttori spendaccioni, tutto quel mondo di sottopotere asservito che girava ed ahimè, ancora gira peggio di prima nel substrato del “pubblico”, dai precari con contratto rinnovabile sino ai Professori della "deformazione professionale Parrucchieri", cominciarono a preoccuparsi seriamente. Era arrivato in regione un uomo non più disposto a tacere sugli sprechi e le ruberie inflitti ai sardi. Giacomo giacomo, fecero le gambe di tanti, tantissimi di questi personaggi. Gli enti inutili si cominciarono ad eliminare, senza lasciare a spasso nessuno. Negli uffici della regione sparirono le televisioni ed approdarono i computers. Il parco auto regionale si ridimensionò dell'80% e l'uomo nero pretese- udite udite- “che gli uscieri andassero alle poste con la panda e una volta per tutte, non ad ogni raccomandata e con la 164” come accadeva sino ad allora. Alle otto del mattino scarse, tutti i giorni compresi molti che sarebbero dovuti essere destinati alle maturate ferie, quell'uomo nero era lì, puntuale e serio, a fare il suo dovere nei confronti dei sardi. La regione era un via vai di sindaci, assessori e professionisti di ogni dove, al telefono trovavi sempre l'assessore o il dirigente preposto, sul sito in tempo reale le Chi era lì sapeva, vedeva esattamente che quel “fucile puntato alla tempia” di cui molti parlavano, altro non era che la legittima ed onesta pretesa che chi era stato eletto per realizzare un preciso programma (e non certo per ostacolarlo), non facesse gioco sporco. Più di una volta, Soru, si trovò costretto a minacciare le dimissioni per queste precise ragioni. Quel fucile era l'unica arma, là dentro, usata in difesa dell'interesse generale contro quello, ed in questi giorni lo vediamo emergere, molto più personale e personalistico di certa politica. Ma aveva un difetto, quell'arma legittima, aveva una data di scadenza. Un data stabilita semplicemente dal termine temporale necessario a raggiungere e maturare diritto a quel famoso “vitalizio” che elargiamo, letteralmente, a cani e porci basta che siano passati su una di quelle poltrone. Due anni, sei mesi e un giorno. Così durò quel fucile, molto meno la fedeltà del PD e di molti del csx a quel programma, a quelle promesse fatte ai sardi in campagna elettorale. L'uomo nero era circondato da uomini grigi, da grigie eminenze occulte, da poteri tanto consolidati quanto trasversali, che infatti gli davano (ed ancora gli danno) contro da ogni posizione, lo accusavano di tutto, addirittura di avere un auricolare nell'orecchio tramite il quale ricevere ordini da chissà quale base di complotto planetario, di bloccare lo sviluppo del cemento costiero mentre lui speculava(¿), qualsiasi cosa andasse male in Sardegna, dalle liste d'attesa in sanità sino agli orari dell'autobus per Pian di Sorres, le responsabilità, in un modo o nell'altro, ricadevano su Renato Soru. Poi arrivò l'affaire Saatchi and Saatchi, biscotto che ancora e trasversalmente in parecchi si affrettarono ad inzuppare nel melmoso succo dell'infamia. Nessuno provò mai una sola relazione fra le accuse mosse a Soru e il suo comportamento. La Magistratura in primis. Nessuno poté ne' può oggi provare nemmeno la più piccola di quelle accuse, eppure ancora quasi tutte, per molti sardi, gli pesano sopra la testa come una spada di Damocle. Non ho dubbi ad affermare che Renato Soru sia stato e sia ancora il politico sardo più criticato, infamato, ingiuriato e vilipeso della storia autonomistica, ma la vera vergogna non sta in questo, la vera vergogna sta esattamente nei fatti che vedono oggi molti di quegli accusatori/giustizialisti col sedere degli altri, coinvolti in vicende giudiziarie reali e non leggendarie ben peggiori. Le valutazioni e le offese poi sul piano personale, sul carattere e sulla personalità non certo stereotipa di Soru, sul suo modo di parlare più che su quanto dice e che pure capiscono tutti. Il liquidare, da parte di certe cariatidi del PD, tutto quel programma che la Sardegna attendeva da lustri per lasciare posto al “vuoto pneumatico” attuale. Pensate solo se fosse stato Soru, a chiudere un bilancio regionale in rosso come quello che chiuse Cappellacci fra il 2003 ed il 2004, se fosse stato lui ad invitare Verdini e Carboni a Suelli e gli sceicchi in costa a comprare la Sardegna ai saldi, ad essere coinvolto nei fallimenti di varie società e comuni, di avere lasciato l'arsenico a Furtei e l'oro sardo in Australia e Vaticano, di avere distrutto la sanità, l'istruzione, il commercio e l'artigianato, i trasporti, il turismo ed il terziario, i servizi ed il futuro di molti sardi lasciati letteralmente in mutande come hanno fatto Cappellacci e C. in questi pochi anni. L'avrebbero impalato sulla pubblica piazza acclamati da un popolo la cui unica arte sembra, da secoli, essere quella di zapparsi più i piedi che la terra. Lo spauracchio Soru funziona ancora, la Sardegna molto meno. Soru fa ancora paura a molta gente, gente che non si è accorta che ormai, a prescindere da lui, di questo gioco sporco se ne stanno avvedendo in molti, che di questa politica carrieristica senza meriti ne' titoli, fatta di paillettes e propaganda continui, sarebbe ora di cominciare a fare a meno. Ma il problema più grosso per Soru, a parer mio, era e resta il suo partito, il PD, che non vuole lui e non vuole quel programma e che ci metterebbe due secondi, nel caso decidesse di candidarsi, a farlo fuori definitivamente. Perché, l'ho detto e lo ripeto, il Franza o Spagna pur che si magna a loro sta benissimo, che gliene frega di governare? Non lo sanno fare, ne' a sinistra ne' a destra, e per loro il primo cretino che passa va bene a “rappresentare”, tanto non servono grandi lauree, titoli o qualifiche professionali, per dividersi il bottino come da sempre fanno. Sono stato fra i primi a sconsigliarli di candidarsi stavolta e sono contento che abbia optato per questa scelta, ma lo scenario oggi è completamente cambiato da tre mesi fa, c'è il rischio concreto che l'aver buttato alle ortiche acque e bambini ieri lasci il centrosinistra privo di tutto oggi, di un programma credibile, di candidati credibili e di partiti credibili. Continuo a ritenere Renato Soru e le sue idee per la nostra terra sostenibili ed attuabili, necessarie, ma inutili dentro un partito che va in tutt'altra direzione, senza meta, purché sia. Se avesse voglia e coraggio da spendere, gli suggerirei di mettere quel programma sul tavolo e chiedere a tutti gli altri soggetti del csx e sfera indipendentista chi voglia realizzarlo insieme, vorrei che intorno a quel programma possano nascere coalizioni basate su di esso e non sui calcoli dei posti a disposizione, vorrei che davvero si fosse capaci di formare una nuova classe dirigente che sappia cancellare misfatti ed errori precedenti. Che tutto questo possa farlo il PD, o un solo partito o movimento in Sardegna è fantascienza. Oggi servirebbe che la trasversalità, ma quella costruttiva e positiva, faccia presa sui sardi e sui loro interessi comuni invece che sulla politica dei palazzi, che trovino essi quei pochi punti programmatici dai quali nessuno può non ripartire e trovare insieme la strada che ci porti fuori da questo pantano, da questa palude che non ci metterà tanto ad inghiottirci tutti. Ma conosco l'uomo, la sua fedele cocciutaggine agli impegni presi, la sua voglia di costruire un partito che sia veramente espressione e casa di tutti, che non potrà mai essere il PD, questo PD, ritengo sia questa, l'unica parte di un sogno che non condivido con lui. Se Renato, ma anche tutti gli altri sardi non “indottrinati”, avessero la ancora la pazienza, la forza e la voglia di costruire una nuova politica, una nuova coscienza di massa non recintata o eterodiretta di cittadini consapevoli, allora quella luce in fondo alla galleria sarà più chiara. Chi l'avrebbe pensato, che quel “Megliu Soru”, usato per come diciamo a Sassari, sarebbe poi diventato il miglior consiglio per Renato, sino ad oggi davvero “mal'accompagnato”?! Questo post è stato scritto ad agosto ed analizza, su un piano esclusivamente politico, proposte, curriculum ed orizzonti di Francesca Barracciu. Prima che la nuova inchiesta sull'uso dei fondi destinati ai gruppi consiliari irrompesse nel panorama politico sardo, prima delle primarie del Pd e mentre infuriava il dibattito sulla campagna mediatica condotta dalla Barracciu su Facebook. FRANCESCA BARRACCIU, IL DETERGENTE DELLA POLITICA (di Francesco Giorgioni) Ci siamo molto divertiti, ognuno a suo modo, nel cercare le più esilaranti caricature della Francesca Barracciu ultima versione, quella postata sul suo profilo Facebook mentre era indaffarata a lavare i piatti. Io non conosco la Barracciu, ma la satira è stata per me e tanti altri reazione spontanea e comprensibile: a vederla come si presenta normalmente in pubblico, tutta tirata e truccata con cura, viene difficile immaginarsela con le unghie laccate scheggiate dalla collisione con una pentola Lagostina, nel lavandino spumoso di Last al limone della sua casa di Sorgono. Ma, come dicevo, io non conosco la Barracciu, se non attraverso il contatto Facebook stabilito un paio d'anni fa senza che mai ne sia seguita una diretta interazione: può darsi sia molto diversa da come mi appare. Può darsi sia molto diversa da quella bella signora che, poche settimane dopo le elezioni regionali del 2009, trovai accovacciata sotto il palco di un hotel di Sanluri, perché tutti la vedessero in prima fila mentre Renato Soru annunciava la nascita di Sardegna Democratica. Naturalmente, c'è stato anche chi si è spinto al limite estremo di attestare "solidarietà" alla Barracciu, come se le fosse capitata una disgrazia familiare o fosse stata coinvolta in un'indagine della magistratura. Solidarietà per essere stata vittima di quattro risate, solidarietà con pieno diritto di cittadinanza in un'Italia dove l'ansia di taluni di ingraziarsi un potente del prossimo futuro oscura la libertà profondamente democratica di ridere di un politico, quando costui sfida il ridicolo: una libertà bellissima, propria dei paesi civili. Chi fa della foto del lavandino un manifesto politico - spesso anche gente che ostenta un certo snobismo intellettuale - attribuisce alla Barracciu il merito e il coraggio di essersi mostrata per quel che sarebbe realmente, in una scena di umile quotidianità. Io penso sia l'esatto opposto, perché questa umile quotidianità è apparsa sul profilo Facebook della Barracciu solo da poche settimane a questa parte, cioè da quando ha annunciato la sua candidatura alle primarie. Prima gli album della candidata governatrice (le primarie le ha praticamente già vinte) raccontavano solo di interviste, occasioni istituzionali e locandine di convegni sulla violenza contro le donne o sulla difesa dell'agroalimentare sardo. Pecca di ingenuità o partigianeria chi obietta che, in fondo, sono solo post su una pagina Facebook: oggi i social sono il principale mezzo di comunicazione di un politico e il politico è pienamente consapevole del loro potere. Il problema di fondo è la resa della comunicazione politica della sinistra al modello berlusconiano. Il problema è nel vendere un'immagine rassicurante veicolandola a messaggi senza contenuto, nei flash subliminali sorretti dal luogo comune ma vuoti, nella personalizzazione della democrazia e, nello stesso tempo, nell'abbandono delle idee di cui dovrebbe alimentarsi. La Barracciu che diventa lavapiatti, e noi dovremmo restare a bocca aperta di fronte ad un futuro presidente della Regione capace di calarsi in un ruolo comune a migliaia di casalinghe; la Barracciu che passeggia per i sentieri del suo paese, e noi dovremmo dedurne il suo amore per il paesaggio e per l'irrinunciabile bene natura; la Barracciu che tracanna birra Ichnusa al bar, e noi dovremmo restare ammirati dall'emancipazione di questa donna e dal suo tributo ad un prodotto che di sardo ha solo il nome. Sono gesti e azioni che, ogni giorno, vengono compiuti da tanta gente, ma interpretati da un politico pare abbiano altro valore e conferiscano altissimo rango istituzionale. Se l'europarlamentare Francesca Barracciu chiede su Facebook il ritiro del Porcellum - come tutti fanno da anni - fioccano centinaia di like, benché l'istanza sia così condivisa da essere persino banale. Cosa c'entra tutto questo con la politica? C'entra con l'attuale succedaneo della politica. Una scimmiottatura che ha rinunciato ad essere sistema partecipato di risoluzione di problemi e indicazione di linee di sviluppo per decadere a tecnica di marketing, a spot pubblicitario di immediata lettura. Perché nulla o pochissimo c'è da capire. Nel piano di comunicazione della Barracciu c'è, a dirla tutta, la lezione di vent'anni di berlusconismo e la sudditanza culturale della sinistra al suo modello. Dei primi discorsi alla nazione di Berlusconi, nel 1994, mi colpì un particolare paradossale sfuggito a molti ma colto dagli esperti di linguaggio televisivo. Era la cornice con la foto della famiglia poggiata sulla sua scrivania ma rivolta verso la telecamera, dunque orientata in senso opposto a quello sensato. L'importante era che tutti vedessero moglie e figli felici e lui, attraverso meccanici processi cerebrali, diventasse il riferimento politico dei più tradizionali valori. Nella foto della Barracciu a testa china sulle stoviglie incrostate vedo esattamente lo stesso tentativo di estorcere una fiducia alla persona. Non al politico e a tutto ciò che dovrebbe rappresentare. Ma a me, elettore e uomo di sinistra, della asserita maestria di Francesca Barracciu nello sfregare le spugnette sulle pentole, della sua capacità di reggere una bevuta di birra e delle sue passeggiate non me ne può fregare di meno. Io voglio sapere se abbia o no un modello di sviluppo per la Sardegna. A me non interessa lei, a me interessano le sue idee. Se ne ha. A me interessa sapere cosa proponga di fare per ristabilire la continuità territoriale, secondo il principio che dovrebbe permettere ad un sardo di spostarsi verso la Penisola alle stesse tariffe richieste per viaggiare da una regione del Continente ad un'altra confinante; a me interessa sapere come intenda superare il cronico antagonismo tra coste ed entroterra, affinché anche chi non ha la fortuna del mare vicino possa partecipare del turismo estendendolo ai dodici mesi dell'anno; a me interessa sapere se per lei l'industria pesante abbia ancora un futuro; a me interessa sapere se per Francesca Barracciu sia ancora un bene da difendere il Piano paesaggistico regionale e cosa pensi della modifica in atto negli uffici dell'assessorato all'Urbanistica, specie oggi che nelle coste della Gallura milionari di ogni nazionalità, evidentemente bene informati, hanno ricominciato ad acquistare decine e decine di ettari fronte mare, in attesa dell'imminente sblocco al cemento; a me interessa sapere se i potentati della sanità privata cagliaritana godranno anche della sua protezione, qualora diventasse governatrice, e se avrà la forza per permettere l'apertura del San Raffaele di Olbia; a me interessa sapere se voglia rilanciare il trasporto pubblico per tutti, su gomma e rotaia, consentendo una mobilità efficace e a disposizione di ogni cittadino; a me interessa sapere cosa risponderebbe se, un giorno, l'editore di un giornale le chiedesse di insediare la Regione nei suoi palazzoni invenduti di Santa Gilla. Io vorrei sapere se Francesca Barracciu abbia una speranza da offrire a tutte quelle migliaia di sardi che trascorrono gli inverni in desolanti villaggi alpini dividendo una mansarda con una brigata di sconosciuti, e passano le giornate a servire nei tavoli dei ristoranti o a lavare piatti, ma senza postare su Facebook le loro fatiche. Io non ho nessuno da sostenere alle primarie: a me interessa parlare di politica e programmi, senza l'avvilente sintesi dello slogan pubblicitario trasformato in programma elettorale. Liberamente, perché di interviste accomodate e delle complici strizzate d'occhio tra direttori di giornali e candidati non se ne può già più. La notizia del furto in un bar a Monte Rosello, quartiere popoloso di Sassari, potrebbe essere relegata a quattro righe sul quotidiano locale. Interesserebbe solo i protagonisti: i ladri e lo sfortunato proprietario del locale. La rapina avviene proprio il giorno prima di Natale e il bottino è piuttosto consistente: l’incasso di circa cinquemila euro. I due rapinatori hanno atteso nascosti l’arrivo del titolare, gli hanno puntato la pistola e obbligato a consegnare l’incasso. La polizia indaga. Il problema è un altro. A commettere la rapina sono due personaggi molto noti a tutto il pubblico ancora festante: sono Berlusconi e Nonna Papera. Meglio, i due rapinatori, furbescamente, hanno usato due maschere, quella del vecchio miliardario e quella della simpatica vecchietta, nonna di tutti i protagonisti di Paperopoli. La notizia, dunque, è sintomatica: i rapinatori hanno utilizzato le maschere di due arzilli vecchietti o, come qualcuno ha chiosato, il vecchio miliardario in fondo, è una macchietta, una maschera da teatro di terz’ordine, buono, al massimo per fare rapine. E’ davvero un declino finire in tristi quartieri insieme ad una nonna. Una volta, il vecchio, usava le paillettes e paperine meno attempate. Il tempo corre. Inesorabilmente. Elezioni a Carnevale. Come creare problemi fino all'ultimo giorno. (di Fiorenzo Caterini)12/21/2013 La Giunta Regionale, guidata da Cappellacci, ha finalmente deciso la data delle elezioni. Si voterà il 2 marzo. Domenica di Carnevale. Si sta ironizzando molto su questa data carnevalesca, simbolo di una politica buffona e cialtrona, e la si butta sul ridere, pensando alle schede elettorali intraviste tra i fumi dell’alcol e dell’allegria. In realtà, il problema non è stato ancora realmente colto nelle sue conseguenze, ed è dannatamente serio. Ci sono realtà locali, in Sardegna, infatti, dove è tecnicamente impossibile, per ragioni logistiche e di ordine pubblico, garantire nei giorni di carnevale il regolare svolgimento delle operazioni elettorali. Possibile che ancora nessuno ci abbia pensato? A Tempio il traffico viene bloccato dalla mattina, e la cittadina si riempie di migliaia di persone per la sfilata dei carri. Ad Oristano una intera città si blocca per la Sartiglia, con migliaia di persone che assistono. A Bosa una fiumana di maschere vaga per le strade. In molti paesi del nuorese, come Mamoiada, Orotelli, Ottana, e tanti altri, il carnevale è ormai un impegno professionale che distoglierebbe tantissime persone dalle elezioni, oltre alle evidenti ragioni di sicurezza che sorgerebbero. Le Forze dell’Ordine, se le impegni nei seggi elettorali, non le puoi impiegare nei servizi d’ordine, a contenere la folla che si accalca per gli spettacoli carnevaleschi. Evidenti ragioni di ordine pubblico rendono incompatibili i mascheramenti diffusi con l’espletamento delle funzioni elettorali. Le chiusure del traffico nei luoghi delle varie sfilate impediscono il normale afflusso ai seggi. Per legge, inoltre, affollamenti e assembramenti sono condizionati e addirittura vietati nei giorni delle elezioni. Voglio vedere a carnevale. In pratica, in molti luoghi della Sardegna, verrebbero impedite le normali operazioni di voto. Le elezioni potrebbero risultare nulle, con gravi danni all’erario. Oppure dovrebbero annullarsi le sfilate, cosa che creerebbe danni enormi alle persone e alle immagini dei luoghi. Oppure rinviarle, e allora sarebbero i vescovi, la Chiesa, a protestare. Non sia mai. Insomma un pasticcio inestricabile, un garbuglio intricatissimo, un bordello. E’ disarmante la superficialità, il pressappochismo, la leggerezza con la quale si fanno queste scelte. Davvero il simbolo manifesto di un governo regionale distante dalla realtà, dalla vita dei cittadini, dalle cose quotidiane della comunità. Né si può indicare la svista, la distrazione, il refuso, che pure grave sarebbe. Quando si decidono le date delle elezioni, lo si fa, e lo si deve fare, con la massima a accuratezza e ponderatezza. Alla fine, qualcuno gli spiegherà come stanno le cose. Forse i prefetti, gli organi di polizia, i comuni, qualche istituzione insomma meno lontano dalla vita delle persone. E fisseranno un’altra data. Almeno si spera. Non importano le sfumature. Non importa se tocca solo i nuovi assunti. Importa il segnale, la scelta di inserire tra le priorità un certo argomento piuttosto che un altro. E non mi rassicura la marcia indietro del giorno dopo. Confonde un orizzonte, il senso di appartenenza, sradica paletti che speravamo eterni. Se in uno dei suoi primi interventi programmatici Matteo Renzi ha attentato alle fondamenta dello Statuto dei Lavoratori, minacciando un pilastro come l'articolo 18, bisogna chiedersi se basti indossare una maglietta col logo del Partito Democratico per rappresentare i valori storici della sinistra. Si rappresentano i valori di sinistra se, anche solo per una fascia ristretta di lavoratori, si rinuncia a difendere il loro diritto all'occupazione, qualora un giudice stabilisca che anche uno solo di loro sia stato licenziato ingiustamente? Quanti altri privilegi e ingiustizie avrebbe potuto affrontare al suo primo vero intervento da leader un vero leader della sinistra? Non mi interessano dettagli, non mi riguardano i raffronti col mercato del lavoro mondiale, non mi incantano i discorsi sulla crisi da vincere adottando misure radicali Mi interessa il primo segnale trasmesso dal nuovo Messia Renzi. Un macigno. Un cedimento, definitivo. Se una trentenne laureata, un giorno, respingesse le avance del datore di lavoro bavoso e questi dovesse licenziarla adducendo un qualunque altro pretesto, una legge proposta dal segretario del principale partito di sinistra lo metterebbe dalla parte della ragione. Il 23 marzo 2002, tre milioni di persone scesero in piazza a Roma per manifestare contro l'abolizione dell'articolo 18 avviata dal governo Berlusconi. Ecco cosa scriveva il giorno dopo Eugenio Scalfari su Repubblica: "Ma non era una folla, non era un'indistinta marea, erano persone che pur nella loro diversità anagrafica e sociale avevano alcuni tratti comuni: la compostezza, la maturità degli atteggiamenti, la tranquilla ma ferma decisione di difendere una causa giusta, in nome proprio e in nome di tutto un paese: la causa della democrazia contro la violenza, della certezza dei diritti contro l'arbitrio, della libera eguaglianza contro il privilegio. Per questo non era una folla quella accorsa da tutta Italia alla chiamata del sindacato, ma un soggetto sociale e politico". Era una causa giusta e la sinistra voleva difenderla. Voleva difenderla dall'aggressione di un governo di destra. Oggi non è più una causa giusta. O forse non è più sinistra. E forse non siamo più noi. Poco fa, l'inviato di Santoro in una piazza occupata dai Forconi ha dato voce ad uno dei manifestanti: un signore alto e pelato, infagottato dentro una giacca mimetica. Così ha spiegato la sua presenza al giornalista: "Sono un militare dell'esercito in congedo permanente, mi sono autorichiamato in servizio per difendere la mia Patria. Devo essere io ad intervenire contro chi la Patria la sta distruggendo". Alludeva ai politici, uniformandosi con un marchio autoritario ai canoni della protesta generalista di queste settimane. Nel sentire quel tono e quei propositi raggelanti, mi è tornato alla mente un episodio vissuto personalmente due settimane prima, a Madrid. Appoggiato alla parete di un ristorante di Calle del Carmen, aspetto che si liberi il tavolo da dieci persone contrattato col direttore di sala. Durante l'attesa mi incuriosisce la presenza di un signore baffuto, dall'aria bonaria, prodigo di pacche sulle spalle per il personale del ristorante, a sua volta deferente con l'ospite. Si vede, insomma, che è uno di casa. Qualche minuto dopo me lo ritrovo seduto accanto, a pochi centimetri dal tavolo di cui la nostra compagnia aveva finalmente preso possesso. È solo. "Siete italiani?" "Sì. Veniamo dalla Sardegna". Ci lancia un sorriso. "Molti anni fa sono stato in Sardegna per frequentare un corso alla Brigata Sassari. Sapete, io sono un colonnello in congedo dell'esercito argentino, anche se i miei genitori erano piemontesi". "Dunque ha combattuto nella guerra della Falkland?" gli domando sapendo di avere commesso una gaffe. Puntualmente, lui me la fa notare: "No, io ho combattuto nella guerra della Islas Malvinas". Gli spiego di aver servito la Patria alla Brigata e lui chiude la prima parte della nostra conversazione salutando col più classico "Fortza Paris!" Qualche minuto dopo, ecco presentarsi al nostro tavolo il maître Pablo. Ci mostra una bottiglia di un pregiato vino argentino, spiegando che ad offrircela è il colonnello. Ringraziamo e ce la scoliamo, mentre la nostra reciproca conoscenza progredisce attraverso una chiacchierata sempre più fitta. Mi consegna un suo biglietto da visita: si chiama Roberto. In breve, il colonnello ci racconta la sua vita. Dopo poche battute mi ha già classificato per comunista, ma il calmo fluire delle parole rende piacevole l'ascolto delle sue vicende terrene. La conversazione collettiva si trasforma in un confronto tra me e lui "Quando è stato in Sardegna?" "Era il 1980. Ero un ufficiale di Videla e venni mandato in Italia per tre mesi per seguire un corso alla Brigata Sassari. Conoscevo molti italiani che avevano rapporti con l'Argentina". "Quindi lei ha partecipato al colpo di Stato militare?" "Io ho servito la mia Patria impedendo che i terroristi la distruggessero". "E delle Madri di Plaza de Mayo cosa pensa?" "Sono le madri dei terroristi che volevano distruggere la mia Patria". Mi interessano le sue conoscenze italiane e cerco di approfondire il tema. "Ha conosciuto Licio Gelli, cui si attribuiva una partecipazione al golpe militare? "No, non è vero che Gelli veniva in Argentina e che abbia avuto un ruolo nell'avvento dei colonnelli. Però conoscevo bene Umberto Ortolani" "E di Papa Francesco che idea si è fatto?" "Nessuna idea. Perché lo conosco personalmente e ci ho parlato un sacco di volte. Levatevi da testa che sia uno di sinistra e ricordatevi sempre che è un Gesuita". Silenzio. Segue una lunga ed articolata spiegazione sull'insostenibile grado di corruzione dei regimi occidentali, compreso quello spagnolo che lo ospita. Auspica un ritorno al libero mercato che, secondo lui, è stato rovinato dalle interferenze degli apparati statali. "Eppure - osservo io - molti economisti e sociologi fanno notare come, negli ultimi tempi, il sistema capitalista si regga paradossalmente grazie agli aiuti statali, senza i quali molte grandi aziende sarebbero già crollate". "I sociologi? Nel mondo hanno la stessa importanza dei suonatori di chitarra". Arriviamo alle conclusioni. Domando cosa suggerisce di fare, il colonnello, per risollevare le sorti del pianeta. "L'unico sistema è una dittatura militare. Non ci sono altre strade e vedrete che succederà". La cena è finita. Si alza, stringe la mano a tutti e ci saluta calorosamente, accarezzando i nostri bambini. Racconta di un suo figlio omosessuale che vive col compagno in Francia. "E lei, non torna in Argentina?" "Non posso tornare in Argentina". Prima di andarsene, mi poggia una mano sulla spalla: "Sono un militare, ma non sono un fascista". La tanto sbandierata marcia su Roma dei “forconi”, che nelle intenzioni doveva scardinare il parlamento, ha portato in piazza poche migliaia di persone (tremila persone secondo le stime). L’Italia è diventato un paese incapace di protestare. E anche coloro che protestano, sembrano riferirsi alle ali estreme del dissenso puramente politico, piuttosto che alle categorie sociali più svantaggiate. Gli unici che sembrano resistere sono gli attivisti contro la TAV. E poco altro. Solo pochi anni fa, era il 2009, una fiumana di pacifica protesta invadeva Roma, con un movimento che venne battezzato “Popolo Viola”. Ma negli anni precedenti c’erano state altre grandi manifestazioni. Si ricorderanno i “No Global” di Genova e Firenze, con proteste che, a parte le infiltrazioni di gruppi violenti, si erano svolte sostanzialmente in modo pacifico su temi universali. Si ricorderà, ancora, negli anni passati, la grande protesta sindacale contro l’abolizione dell’art. 18 che tutelava il lavoratore contro il licenziamento. Tornando ancora indietro, si ricorderà il movimento dei cosiddetti “girotondi”. Insomma, la storia recente del nostro paese ci racconta di un popolo capace di scendere pacificamente in piazza e protestare per i propri diritti. Ora sembra che questa prerogativa stia andando smarrendosi. Le proteste di questi giorni sembrano tutt’altro che spontanee, con personaggi ambigui, figli proprio di quella vecchia politica, che le guidano. Lo stesso Berlusconi, il personaggio che in questo ventennio ha incarnato il peggio della politica italiana, oggi cavalca la protesta. Insomma, la politica che protesta contro la politica. Eppure stiamo vivendo il peggior periodo di crisi economica dagli anni ’70 a oggi, con l’aggiunta di una frattura etica tra il popolo e i governanti, che in questi anni hanno mostrato un distacco enorme, anche morale, dal sentire comune. Il momento culminato con la rielezione di un capo dello Stato con il chiaro ruolo di garante di un potere radicato e persino illegittimo, è uno degli episodi più scabrosi e tristi della storia della Repubblica italiana. E gli italiani? I precari? I disoccupati? Gli esodati? I cassintegrati? I giovani senza prospettive? I pensionati con quattro soldi al mese? Dove sono? Verrebbe da pensare che gli italiani sono talmente depressi che non hanno neppure voglia di scendere in piazza a protestare. O forse manca la controparte. Che è diventata uno spettro. Le banche, la finanza mondiale, gruppi di potere che guidano come marionette un governo privo di vera determinazione politica. Un disorientamento generale frantuma la società, la quale, alla fine, sembra accorgersi della politica solo quando aumenta il prezzo della benzina. Nel frattempo, arriva il Natale. Gli italiani, forse proprio per dimenticare precarietà e preoccupazioni, affollano i centri commerciali, i quali, nonostante la crisi, traboccano sempre di gente. L'immagine del portarsi le sedie da casa evoca tempi lontani, in bianco e nero. I tempi delle sagre, di quando si andava ad ascoltare i poeti duettare sui temi definiti dalla pro loco di turno. Ricorda anche quell'accovacciarsi dei vecchi, la sera, sull'uscio di casa, dopo una giornata intensa e solare nei paesi, ma anche nei centri storici delle città non occupate dalle auto, seduti infermi a scrutare un mondo lento e docile. Quando ho letto dell'arresto di un altro politico in sardegna (notizia non apparsa sul quotidiano La Repubblica e la dice lunga sull'interesse delle cose nostre oltre tirreno) e quando, soprattutto, ho letto dei convegni sul l'obesità finiti a "porcetti" (i politici sono sublimi costruttori di ossimori) in una palestra di proprietà della moglie, con i partecipanti impegnati a portarsi le sedie da casa ho pensato, davvero, di chiedere al giudice (solo intellettualmente, è chiaro) di soprassedere all'eventuale confronto con il signor Sisinnio. la giustizia niente può davanti all'inverosimile se non arrendersi e domandarne l'infermità totale. Poi, però ho riflettuto e mi sono chiesto: ma perché questi signori hanno preso migliaia di voti, perché sono lì, perché, probabilmente, si ripresenteranno ancora davanti alle nostre cabine a chiederci un voto? Perché hanno ragione. Avevo confuso e travisato le scene. Sono coloro i quali hanno votato questi signori ad avere necessità della pietà giuridica, ad essere incapaci di intendere e di volere. I vari Sisinnio, Diana, Belsito, Bossi, Cota, qualora le accuse fossero poi tradotte in condanne, rappresenterebbero la bassezza di questo paese. Dove tutti sanno, tutti hanno la certezza delle cose che accadono ma stanno lì, con la sedia pieghevole in mano, in attesa di sedersi ad un nuovo convegno, un nuovo spuntino, spostando velocemente l'asse del proprio interesse tra un porcetto, un melone, vino buono, mutande verdi, mont blanc e sperando, un giorno, di poter cambiare quella sedia pieghevole in una poltrona soffice dove ripetere le stesse terribili cose fatte dagli altri. Siamo un paese in movimento. Siamo un paese di uomini pieghevoli. E non è una bellissima immagine. |
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