Francesco prova a disegnare con le parole: «Dobbiamo alzare la sfida verso questa concorrenza, dobbiamo farlo con la massima convinzione sapendo che le risorse sono scarse. Qualcuno ha vinto dentro questa crisi globale. Sono coloro i quali hanno scommesso sulla formazione. E sull’istruzione.» Futuro in sobrietà. Come uscirne da questa crisi? Pigliaru si gioca una carta: le pari opportunità.
«Il problema delle pari opportunità non è legato solo all’equità ma è un problema di sviluppo, perché nel mondo moderno senza pari opportunità non c’è sviluppo e noi dobbiamo preparare i nostri figli, il nostro futuro a questa sfida. Questa sfida si vince con l’istruzione.» Questo giocare con istruzione e formazione è una delle rivoluzioni gramsciane di Pigliaru e tutti sono attenti a questo passaggio squisitamente politico. E di sinistra. Applausi tiepidi. Che vagano verso la convinzione.
«La Sardegna,» dice Pigliaru, «Ha il più alto tasso di dispersione scolastica, i giovani vengono scoraggiati, non hanno più voglia di continuare gli studi anche perché, di fatto, non esiste l’ascensore sociale. Noi dobbiamo avere il coraggio di saper guardare al domani, non dobbiamo più fare interventi miopi che cercano di sanare l’emergenza ma, in realtà, non risolvono nulla. Dobbiamo pensare ad un piano straordinario per le scuole, costituendo un fondo finanziario e costruire scuole modello da collocare nelle aree a maggiore dispersione scolastica. Dobbiamo costruire e sistemare le scuole. Questo è l’intervento serio nell’edilizia, questo è l’intervento che crea occupazione e guarda al futuro».
Non ha molte pause, sa di essere ascoltato e usa un piglio veloce, poco cattedratico, interessante, coinvolgente. Applausi che virano. Verso sinistra.
«Noi, ai giovani che si laureano dobbiamo poter dare una risposta subito. Entro quattro mesi. Un tirocinio, uno stage, un lavoro, dobbiamo costringerli a scommettere sulla loro gioventù, sul loro futuro. Dobbiamo incoraggiarli a diventare imprenditori. Possiamo, per esempio, andare a vedere tutte i migliori esempi sparsi in tutte le regioni italiane – le best pratics – e importarle. Chi ci impedisce di diventare la migliore regione d’Italia?»
Già. Chi ce lo impedisce?
Parla Francesco e sa di essere tra amici. Parla di sburocratizzazione, di ricchezza nella nostra agricoltura, di un turismo che rappresenta solo il 7% del prodotto interno lordo e, chiaramente, non è sufficiente, parla del piano paesaggistico regionale e si dice soddisfatto della risposta del governo italiano, ma sarebbe più felice se a difendere e migliorare quel piano – fortemente voluto da Soru e dalla sua giunta in cui Pigliaru era assessore – fossero i sardi.
«Dobbiamo guardare al futuro, dobbiamo rinnovare la Sardegna e noi stessi, dobbiamo rinnovare la politica e dobbiamo combattere i privilegi ovunque si annidino, dentro qualsiasi parte politica si nascondano».
Questa la conclusione. In poco più di un’ora. A regalare passione e provare a rimettere in moto un’auto da troppo tempo in garage. Da apparire quasi arrugginita. Il problema non è, infatti, il pilota. E’ un po’ come la Ferrari di questi ultimi anni in mano ad Alonso. Un fuoriclasse, il migliore, ma l’auto non è all’altezza. La gente, dopo gli applausi lascia lentamente il teatro. Facce quasi rilassate. Il popolo del centro sinistra quasi soddisfatto. Pochi giovani. Che ritrovo, invece in piazza Castello a sorridere e giocare con i cellulari. In lontananza, intravvedo vecchie rughe, di gente segnata, di gente che conosce bene come dividere il territorio. Di questi occorre avere paura. Francesco Pigliaru dovrebbe cominciare a riconoscerli. Ed evitarli. Chissà.